“La canzone di Achille” di Madeline Miller: la ϕιλία con il mortale Patroclo
“Canta, o dea, l’ira d’Achille Pelide,/ rovinosa, che infiniti dolori inflisse agli Achei,/ gettò in preda all’Ade molte vite gagliarde/ d’eroi, ne fece il bottino dei cani,/ di tutti gli uccelli — consiglio di Zeus si compiva —/ da quando prima si divisero contendendo/ l’Atride signore d’eroi e Achille glorioso./ Ma chi fra gli dèi li fece lottare in contesa?/ Il figlio di Zeus e Latona; egli, irato col re,/ mala peste fe’ nascer nel campo, la gente moriva,/ perché Crise l’Atride trattò malamente.” – Omero, Iliade, traduzione di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi, 1990

“La canzone di Achille” è un romanzo scritto da Madeline Miller ed è edito per Marsilio editore nel 2013. Nata a Boston ma cresciuta a New York e Filadelfia, Madeline Miller ha studiato lettere classiche alla Brown University ed ha insegnato greco e latino per anni nei licei americani.
La canzone di Achille, la sua opera prima, ha visto la luce nel settembre 2011. La stesura ha occupato circa dieci anni. La scrittrice ha asserito di aver usato come fonti Omero, Ovidio, Platone, Eschilo, Sofocle, Apollonio Rodio e Virgilio.
Ma prima, partiamo dall’evento da cui la storia ebbe inizio.
L’Iliade canta attraverso le gesta degli uomini che furono chiamati alla guerra, a Troia, per recuperare (così almeno fu detto a tutti loro) la moglie di Agamennone: Elena.
La donna più bella del creato ben valeva espugnare la casa dei troiani. Ben valeva affrontare, non solo Priamo e il suo esercito, ma il principe Ettore che possedeva doti cantate dagli dei e inspirate dalle muse.
Così me lo immagino, Ettore vestito della sua armatura che abbraccia il suo bambino e nel frattempo informa Andromaca di quello che potrebbe accadere.
Andromaca lo sa già, non ha bisogno che lui glielo dica, la guerra imperversa da anni e ha visto altre famiglie soffrire la morte dei guerrieri di casa. Ma Ettore ha bisogno di controllare anche quello che accadrà dopo la sua morte.
Ettore va sul campo di battaglia, in quello che sarà il suo ultimo incontro, con la consapevolezza solo della portata del suo braccio e della lama della sua spada.
Di fronte a lui c’è un uomo, figlio di una dea, anche se Teti è solo una ninfa marina ma poco importa agli uomini quali possano essere le gerarchie degli dei, Achille è stato forgiato nella divinità. Il ragazzo è cresciuto sapendo che il suo destino sarebbe stato scritto e sussurrato da altri, la sua vita non gli apparteneva e l’unica cosa che poté controllare fu la sua volontà di scegliere la musica come compagnia e Patroclo come unica anima destinata a comprenderlo, seguirlo, amarlo, e consigliarlo. L’unica anima che per lui era come un libro aperto, da leggere con fiducia e serenità, senza temere che qualcosa di imprevisto potesse mettersi tra lui e il suo destino.
Achille sapeva che sarebbe morto in questa guerra e sapeva chi lo avrebbe ucciso e nonostante lui volesse che questo fato non si avverasse, non gli era permesso (lui lo sapeva) intromettersi tra i pieni degli dei.
Quale angoscia animava questi due uomini, uno di fronte all’altro sul campo di battaglia…
Uno non avrebbe visto crescere suo figlio, l’altro avrebbe dovuto arrendersi al volere di altri.
Lo scontro con Ettore è solo il termine della storia di Achille. Il finale della sua canzone cantata da altri.
L’Iliade è una storia di passioni. Il primo verso ci parla dell’ira furibonda di un uomo che era sul campo di battaglia, il giorno in cui tutti lo ricorderanno per la sua crudeltà, per un motivo solo. Un solo unico motivo.
Uccidere il principe Ettore per vendicare la morte di Patroclo. Forse, l’unico frangente in cui Achille aveva dimenticato la gloria e l’onore. L’amore lo ha reso immortale, non l’abilità in guerra.

Ma… chi era Achille? Non la sua nascita, non le sue doti, vogliamo sapere Chi fosse Achille. Forse, sarà un miraggio. Di sicuro, ha un taglio inedito il romanzo “La canzone di Achille”.
La narrazione è affidata a Patroclo. L’uomo che lo conosceva più di chiunque altro, ci restituisce un Achille vivace, scanzonato, carismatico e fortemente volitivo e conscio del suo destino. Abbiamo questa occasione per conoscere il Pelide prima, durante, e dopo la guerra davanti alle mura di Troia, perché non approfittarne?
La canzone di Achille suona come un controcanto di numerose voci che si sovrappongono una sopra l’altra, a volte formano un canone inverso, a volte somiglia al cinguettare di uccelli fra le fronde.
Patroclo è un ragazzino ripudiato dal padre quando incontra Achille. E, a quel tempo, l’eroe è solo un ragazzino troppo dio per chiunque, l’amicizia più ambita tra i ragazzi della sua età e, con ogni probabilità, il ragazzo più solo al mondo. Subito dopo Patroclo.
Dopo le prime diffidenze i ragazzi diventano amici. Patroclo dipende da Achille quasi in ogni cosa, vive in sua ammirazione senza rendersi conto di quanta forza “il migliore di tutti i greci” attinga da lui. Teti tenterà in ogni modo di separare i due ragazzi. La ninfa odia gli umani e ha molte ragioni per farlo ma sottovaluta il cuore di quel figlio che è una delle sue poche gioie e ne sottovaluta anche la sua lealtà.
Teti viene descritta in delle maniere che la fanno sembrare un quadro in eterno movimento, come le onde dell’oceano. Crudele come le burrasche d’inverno, sempre irrequieta, sempre guardinga. Più volte ho pensato alle pennellate di Van Gogh leggendo le sue descrizioni.
Il romanzo si sofferma su tutte le sfumature del rapporto tra i due giovani uomini. Le gelosie, le invidie, l’amore e tutto quello che di taciuto vive in una relazione.
Achille ripete spesso che non ha nessuna ragione di uccidere Ettore, non lo conosce nemmeno. Lo stima come guerriero ma non gli ha mai fatto nulla per cui meriti di morire per mano sua.
Ogni volta che lo ripete è una pugnalata al cuore, sia di Patroclo che del lettore. Patroclo si è sempre soffermato sull’inimicizia che la madre di Achille nutre per lui e non ha mai pensato che Teti non parli mai solo per rabbia; non ha mai compreso che oltre allo sdegno, la prima volta che si conobbero, Teti gli disse la verità: morirai presto.
Patroclo ha sempre pensato che non sarebbe sopravvissuto alla morte di Achille. Ma Achille sarebbe mai sopravvissuto alla perdita di Patroclo?
Il libro della Miller è una storia di passioni, tutti gli altri protagonisti della guerra sono presenti ma non sono loro il fulcro della narrazione.
A nessuno interessava della moglie di Agamennone. Non interessava più nemmeno ad Agamennone. Se non fosse che gli Uomini sono Uomini, Elena sarebbe potuta scappare in capo al mondo. Peccato che la passione è ciò che muove il motore del mondo.
Altrimenti cosa saremo se non i geni, gli idioti, i folli, gli affamati, i guerrieri e i mostri che siamo?
Sappiamo tutto di come L’Iliade è terminata. Conosciamo le follie, le vittorie e le sconfitte. Ma spesso ci dimentichiamo del lato umano, di cosa può fare un lungo interminabile assedio alla mente umana. Ci dimentichiamo che conoscere il proprio destino possa essere un peso. Può essere una sofferenza atroce la conoscenza.

Achille non amava Ulisse che sempre voleva sapere e sempre manipolava.
Inizio a pensare che nemmeno l’autrice lo stimi più di quel tanto che basta per riconoscerne il genio. Il secondo libro della Miller parla di Circe, di cui ho già scritto, e anche tra quelle pagine Ulisse non ne esce esattamente magnificato.
La memoria di Achille per millenni è stata tramandata. Molti sono gli eroi e i personaggi storici che hanno ricercato la sua tomba, la sua scintilla divina, la sua umanità scevra da abbellimenti. Uno tra tutti Alessandro Magno.
Mi piace anche immaginare Alessandro che si reca al monumento funebre che fu eretto per questo uomo dalla vita breve ma sfolgorante.
La canzone di Achille è un romanzo intenso dove, come appunto suggerisce il titolo, la vita è musica e la musica è emozione.
Infatti, sono le emozioni che vi canteranno, insieme alla Musa di Omero, la canzone di Achille.
Written by Altea Gardini