“Amatissima” di Toni Morrison: il fenomeno della schiavitù degli africani fra il Cinquecento e l’Ottocento
“Il 124 era carico di rancore. Carico del veleno d’una bambina. Le donne lo sapevano, e così anche i bambini. Per anni ognuno aveva cercato a modo suo di sopportare il rancore di quella casa ma, nel 1873, le uniche vittime rimaste erano Sethe e sua figlia Denver. La nonna, Baby Suggs, era morta e i due ragazzi, Howard e Buglar, erano scappati via a tredici anni, non appena, al solo guardarsi allo specchio, questo si era frantumato (il segnale per Buglar), non appena erano apparse sulla torta le due minuscole impronte di una manina (il segnale per Howard). Nessuno dei due aveva aspettato di vedere altro (…) Erano svaniti entrambi all’improvviso, nel momento stesso in cui la casa si era resa colpevole di ciò di cui ognuno di loro riteneva l’unico insulto da non potersi sopportare o vedere una seconda volta”.

È questo l’incipit di un romanzo potente, ruvido, sferzante, “Amatissima” che è valso all’autrice Toni Morrison (Lorain, 18 febbraio 1931 – New York, 5 agosto 2019) il Premio Pulitzer nel 1988. Lo rileggiamo pubblicato in Italia da Edizioni Frassinelli.
La Morrison, Premio Nobel per la Letteratura nel 1993, ha concentrato molta della sua attività letteraria nello studio e nella elaborazione delle vicende legate alla storia degli afroamericani e soprattutto al fenomeno della schiavitù che ha interessato milioni di africani, catturati nei loro paesi di origine, trasportati nel nuovo mondo e venduti come merce di scambio per alimentare i commerci della corona inglese.
Si stima che fra il Cinquecento e l’Ottocento siano morte oltre 60 milioni di persone, ridotte in schiavitù, durante il Middle Passage, ovvero la traversata dell’Atlantico compiuta dalle navi negriere.
A questi sessanta milioni di schiavi morti la Morrison dedica questo suo romanzo, il cui spunto le arriva da una storia realmente accaduta: un articolo di cronaca pubblicato nel 1855 racconta la storia di Margaret Garner, una schiava fuggita dal Kentucky.
Quando la donna si rende conto che sta per essere catturata di nuovo, uccide la sua piccola figlia per evitare alla bambina di vivere la stessa vita di orrori da lei vissuta in stato di schiavitù. La donna reale viene in effetti catturata e ricondotta in Kentucky, dove all’epoca era ancora legale la schiavitù, mentre la protagonista del romanzo, Sethe, riesce a raggiungere l’Ohio, stato nel quale i neri potevano vivere liberi.
Intorno alla storia di Sethe, della sua bambina morta chiamata Beloved (“Amatissima”, ndr), ruotano le storie di altri personaggi che sono riusciti ad affrancarsi dalla schiavitù, come Paul D., come Baby Suggs, la suocera di Sethe, come Stamp Paid, un uomo buono che aiuterà molto Sethe e ciò che resta della sua famiglia. Ma soprattutto a fianco di Sethe c’è Denver, la sua figlia più piccola che vive schiacciata sotto il ricordo perenne della sorella morta e del suo fantasma che invade la quotidianità della loro abitazione, al 124 di Bluestone Road.
“Il 124 era carico di sentimenti così forti che ormai Sethe forse non s’accorgeva più della mancanza di niente. C’era stato un periodo in cui, tutte le mattine e tutte le sere, scrutava i campi nella speranza di avvistare i figli: se ne stava affacciata alla finestra, incurante delle mosche, il capo inclinato verso la spalla sinistra, gli occhi che scrutavano a destra, alla loro ricerca. L’ombra di una nuvola sulla strada, una vecchia, una capra che vagava senza pastoie e brucava tra i rovi – all’inizio le sembrava sempre che si trattasse di Howard…no, di Buglar. A poco a poco smise di farlo e i loro volti di tredicenni svanirono completamente per trasformarsi nei loro volti da bambini che vedeva solo in sogno”.
La costante presenza dello spirito di Beloved che riversava sulla casa e sui suoi abitanti tutta la sua rabbia per essere stata uccisa dalla madre, costringe alla fuga Howard e Buglar, gli altri due figli di Sethe. Dopo poco anche la nonna, Baby Suggs detta “la Santa”, si arrende alla vita, mettendosi a letto e aspettando la morte.
Denver invece è costretta a convivere con questa presenza che non viene scacciata via nemmeno dall’arrivo di Paul D., un altro nero scappato dal Kentucky, da sempre innamorato di Sethe, che si stabilisce per un po’ nella loro casa. Ma la presenza dell’uomo non piace allo spirito che quindi decide di manifestarsi “in carne e ossa”. Beloved ritorna dal regno dei morti e non dà tregua a sua madre, la vuole tutta per sé, la reclama e se ne impossessa nella carne e nell’anima, esaurendola e togliendole ogni brandello di razionalità.
Sarà solo la tenacia e la determinazione di Denver, costretta dagli stenti e dalla fame a chiedere aiuto alla comunità nera di Cincinnati, che permetteranno al fine di liberarsi del fantasma. Ma ad un prezzo altissimo, rappresentato dalla verità sulle vicende di Sethe e dei suoi figli.

“Amatissima” è un romanzo che sospende la trama fra il soprannaturale e il reale, spirito e carne si intrecciano spesso con crudezza, laddove il sangue si mescola con il latte e diventa nettare per la neonata Denver.
La drammaticità degli eventi narrati colpisce in faccia il lettore, la Morrison non risparmia crudeltà e orrore: ogni pagina è intrisa di una forza sovrumana che connota la brutalità con cui gli “uomini senza pelle” (così venivano definiti i bianchi) torturavano, violentavano, uccidevano gli uomini e le donne nere.
Lo stupro sistematico delle donne nere da parte dei padroni bianchi non era tanto riconducibile al desiderio o alla voglia di piacere che quegli uomini si prendevano, quanto dalla necessità di far riprodurre i neri, più figli neri significava più schiavi e quindi più merce di scambio. Ma la violenza non veniva usata solo nei confronti delle donne, come nel romanzo più volte testimoniato, ma anche da uomini bianchi verso uomini neri, come racconta Paul D. nelle sue peregrinazioni da un padrone all’altro, con le caviglie legate da catene e con il collare al collo, come gli animali.
Di fronte a questa orrenda brutalità, l’amore smisurato di Sethe per la figlia arriva al punto tale da portarla ad uccidere la bambina. La morte è meglio di una vita da schiava, è quello che crede fermamente la madre. E allora il rapporto madre-figlia diventa un altro asse portante di questo romanzo, rivelando pulsioni profonde di una maternità che crea e distrugge, dà la vita e la toglie, senza conoscere limiti.
Dunque schiavitù e maternità sono due istituzioni che secondo l’autrice risultano legate entrambe dall’idea di possesso. “Violenta e patriarcale la prima, amorosa e femminile la seconda” come afferma Alessandro Portelli nella postfazione al volume.
“It was not a story to pass on” è la locuzione con cui si conclude il romanzo e che può essere interpretata sia come “Non era una storia da tramandare” e quindi da nascondere alla coscienza collettiva, ma anche come “Non era una storia da ignorare” e che quindi andava raccontata per scuotere la coscienza collettiva. Noi propendiamo per la seconda interpretazione: questa non era una storia da ignorare, bensì da raccontare e condividere, per rendere giustizia a quei sessanta milioni di schiavi morti nell’Atlantico. La Storia ci insegna. Ascoltiamo la Storia.
Written by Beatrice Tauro