“Lucernario” di Jean-Luc Raharimanana: un viaggio in Madagascar nella succursale dell’inferno
Numerose sono le coordinate che guidano il lettore nel suo viaggio nella lettura. Pagina dopo pagina, questi punti di riferimento sono essenziali per orientarsi in una pluralità di mondi diversi, all’interno di una geografia letteraria in continuo mutamento.
Vie, città, nazioni costituiscono, così, uno spazio aperto che è mentale e allo stesso tempo fisico, frutto della fantasia dell’autore e realtà geografica di cui è possibile fare esperienza. Sono i luoghi dell’altrove, mondi fittizi che ci consentono di comprendere il nostro, di conoscerne le sfumature e giungere fino al cuore delle cose che, altrimenti, risulterebbe inaccessibile al solo sguardo.
È possibile conoscere un paese soltanto leggendo? Probabilmente no. Quel che la letteratura ci fornisce è una chiave di interpretazione del mondo, la possibilità di andare oltre le foto da cartolina o le testimonianze da tour guidato e scoprire realtà a noi sconosciute.
Come il Madagascar di Jean-Luc Raharimanana, scrittore e giornalista malgascio, nato ad Antananarivo nel 1967 e trasferitosi in Francia, vicino Parigi, dove tuttora insegna. Quella di Raharimanana è una produzione eterogenea che spazia dalle pièce teatrali alle raccolte di poesie e racconti e che trova nella “Grande Isola”, il Madagascar, il suo filo conduttore.
Non luogo paradisiaco dalla natura rigogliosa e dal mare cristallino, ma paese corrotto e violento: questo è il Madagascar raccontato da Raharimanana di cui è possibile trovare un’aspra e tagliente rappresentazione nella prima raccolta di racconti dell’autore, “Lucernario”.
Pubblicata in Francia nel 1996 e in Italia nel 2000 con Edizioni Lavoro, “Lucernario” è la prima opera del Madagascar tradotta in italiano. In dodici brevi racconti, scritti a partire dalla fine degli anni ’80, Raharimanana porta avanti un ritratto cupo del Madagascar, in cui predominano morte, squallore e depravazione.
Quella dell’autore è la descrizione di un inferno con vicoli bui e strade infossate popolate da uomini abietti che si lasciano andare ad inaudite efferatezze. Stupri, omicidi e soprusi si susseguono di fronte agli occhi del protagonista e del lettore, suscitando in entrambi un inevitabile senso di repulsione, un desiderio di fuggire dalla terribile realtà raccontata.
Ciò è evidente in “Lebbroso”:
“Lo straccio d’uomo si trascina nella notte. Uno straccio, uno straccio! Poter non tornare più in quella città di putrefatti, di decomposti, di paralizzati! [..] Allontanarsi da quella putrida città. Città in cui tanti uomini si fanno oggetto! Tante sofferenze per colorare una tela che sarà esposta nell’oscurità totale!”
Il Madagascar è, quindi, nei racconti di Raharimanana una prigione che con la sua oscurità intrappola ogni individuo e non lascia via di scampo. È una notte buia in cui la luce, evocata per antifrasi dal titolo dell’opera, non mostra che morte e devastazione, come i fari delle automobili che, sfrecciando, illuminano i cadaveri sul ciglio della strada. È il Madagascar della dittatura comunista di Ratsiraka, che a partire dagli anni ’70 determinò il declino economico del paese e represse con la violenza ogni forma di dissenso.
La violenza inaudita rappresentata senza filtri in “Lucernario” nasce, dunque, da una forte urgenza espressiva e dalla necessità di testimoniare le barbarie della dittatura che toccarono l’autore in prima persona e che lo costrinsero ad emigrare.
A tal proposito Raharimanana afferma:
“Volevo scioccare il lettore malgascio. A quel tempo era necessario parlare positivamente del Madagascar, dei suoi paesaggi, delle sue spiagge e delle sue belle ragazze. È stato insopportabile per me. C’era troppa violenza legata alla povertà. Era comune che le persone fossero linciate o bruciate vive perché avevano rubato. Mi è stato detto che ero un visionario. Ho appena aperto gli occhi. Da allora, la povertà è diventata diffusa.”
Non c’è traccia di bellezza nei luoghi descritti da Raharimanana. Le limpide onde del mare e le spiagge bianche non sono che una cornice dell’orrore, come in “Onda”, racconto in cui la natura rigogliosa si fonde, sinuosa, con i corpi dei due amanti nella notte, ma, poi, allo spuntare delle prime luce dell’alba, diventa teatro di atroci omicidi. Ed il mare inghiotte i corpi dei protagonisti e ne lacera le carni così come fa la terra in “Rettile”, toccante racconto in cui viene denunciata la violenza del colonialismo, attraverso l’immagine dei cadaveri gettati in una fossa da dove verranno estratte pietre preziose.
“Tutti questi corpi che sono caduti per la cupidigia degli altri, tutta questa gente massacrata per una luce cristallina che illuminerà solo anime depravate, tutte queste sofferenze, tutte queste sventure…”
Il dramma rievocato da Raharimanana nelle pagine di “Lucernario” travolge il lettore e lo trascina in un delirio di immagini dalla forte carica espressiva. La prosa, contraddistinta da un linguaggio crudo, segue un andamento musicale vicino al ritmo del canto ed instaura una connessione con la ritualità malgascia, di cui la morte è, del resto, l’elemento centrale.
Pur denunciando il degrado della società malgascia, Raharimanana risulta essere, dunque, profondamente legato alla sua terra, dando vita ad un linguaggio che colpisce il lettore e arriva al cuore delle cose, all’essenza autentica di un mondo sconosciuto e misterioso.
Written by Roberta Di Domenico
Commento accattivante. Non fa venir voglia che di leggere il libro..
Bellissima recensione!