“Pinelli. L’innocente che cadde giù” di Paolo Brogi: la diciottesima vittima della strage di Piazza Fontana, una storia di verità negata
“Silvia ricorda: “La mamma ci disse: ‘se dovete piangere, piangete adesso. Dopo non si potrà più’. Cercava di contenere il suo dolore, lo chiedeva anche a noi figlie, pensava a chiedere giustizia per Pino”. Le due sorelle si guardano, ricordano con difficoltà quelle ore. Con Claudia che aveva detto di voler pregare per il padre e Silvia che le aveva detto: provaci”.
Grazie anche alle testimonianze di Silvia e Claudia, figlie di Giuseppe Pinelli, lo scrittore Paolo Brogi ha realizzato un saggio importante. Per non dimenticare. Edito da Castelvecchi editore nel 2019, Pinelli L’innocente che cadde giù ripercorre, passo dopo passo, la vicenda umana e politica che ha visto Giuseppe Pinelli cadere sotto i colpi di una giustizia ingiusta.
Ma chi era Giuseppe Pinelli, la cui morte è tuttora avvolta dal mistero? Era un marito attento, un padre affettuoso, un ferroviere che amava il proprio lavoro, ma soprattutto era un anarchico. Un uomo che credeva fermamente nella sua fede politica, professata da sempre e intesa come strumento per fare del mondo un posto migliore.
Giuseppe Pinelli, Pino per amici e familiari, non ha potuto però mettere in atto il suo ambizioso progetto, perché una mano armata da trame oscure ne ha stroncato, all’età di 41 anni, la ancor giovane vita.
“C’è poi chi ricorda cosa Pinelli avesse detto di recente, di fronte al suicidio del giovane studente Jan Palach, come estrema forma di protesta contro l’invasione della Cecoslovacchia da parte dei carri armati russi…”
Trascorsi oltre cinquant’anni dalla sua morte, sulla sua fine completa chiarezza non è stata ancora fatta. Nonostante la vicenda abbia avuto un rilievo mediatico di ampie proporzioni e la sua memoria sia stata riabilitata.
Ma, per riferire i fatti rendicontati, con rara dovizia di dettagli dall’autore, il quale partecipa il lettore al periodo che ha dato via allo stragismo, è d’obbligo dare un ordine agli eventi.
Innanzitutto una precisazione sul termine stragismo. Espressione coniata dal giornalista Leslie Finer e introdotta nel vocabolario politico per esprimere il concetto di strategy of tension. Ma, veniamo alle circostanze che hanno espresso una verità giudiziaria diversa dalla verità dei fatti.
La bomba esplosa alla Banca dell’agricoltura di Piazza Fontana il 12 dicembre 1969 a Milano, e la conseguente strage, definita la ‘madre di tutte le stragi’, fu solo un episodio della violenza che attraverserà l’Italia negli anni ’70 e anche in quelli a seguire, minando la stabilità democratica del paese, che diventerà simbolo di instabilità politica e sociale.
La strage di piazza Fontana fu un attacco duro e deciso al cuore dello Stato, con il tragico risultato di 17 morti e numerosi feriti.
Come è nell’ordine delle cose la vicenda suscitò grande clamore e preoccupazione fra la gente comune, oltre che disperazione fra i parenti delle vittime.
Ovviamente, nell’immediatezza della strage partì un’indagine capillare, al fine di scoprire i colpevoli di un gesto tanto vigliacco quanto efferato. Che identificò, fin da subito, i responsabili fra gli appartenenti al mondo anarchico milanese, facile bersaglio su cui concentrare sospetti e costruire ipotesi circa i mandanti e gli esecutori materiali della strage.
Testimonianze, indizi e prove raccolte andarono in un’unica direzione: ad essere responsabili della strage erano gli anarchici, nella persona di Pietro Valpreda, che sconterà ingiustamente tre anni di carcere. Ma questo poco importava, in fondo era solo un ballerino con tendenze anarcoidi. Però Valpreda era innocente, come avrà modo di dimostrare in seguito.
Anche Giuseppe Pinelli era un anarchico che faceva parte del circolo del Ponte della Ghisolfa: un gruppo di giovani additati come estremisti, colpevoli, invece, soltanto di ambizioni pacifiste.
Pinelli era solo un ragazzo quando, durante il secondo conflitto bellico nel ruolo di giovane staffetta, ha partecipato alla Resistenza. E, coerente con i suoi ideali di giustizia e di uguaglianza, anche in quel lontano 1969, Pinelli lo è sempre stato; non sconfessando mai il suo credo politico.
Anzi, andò oltre; non si avvicinò a una sinistra dal volto stantio e dal rosso diventato pallido nel tempo. E si spinse un po’ più in là, fino a diventare un prezioso esponente del mondo anarchico e sicuro riferimento di compagni in difficoltà.
“La ferrovia era un mito per lui, e agli amici raccontava i tratti umani di questo suo lavoro, mai cose tecniche, ma storie e vite di ferrovieri. L’equilibrio della piccola famiglia era tale che marito e moglie si scambiavano il lavoro casalingo”.
Anche lui, come Valpreda e altri, venne interrogato credendo che potesse aver preso parte alla strage di piazza Fontana, ed essere responsabile di episodi precedenti.
Ma, come si saprà in seguito, gli anarchici non c’entravano per nulla in quella brutta vicenda: furono solo il capro espiatorio verso cui scagliare responsabilità che erano di altri. Nella fattispecie, gente di chiara matrice fascista, che si fece scudo di vittime ignare degli intrecci poco limpidi della politica.
In un interrogatorio, basato su suggestioni e fatti non comprovati, Pinelli venne trattenuto in questura oltre il tempo massimo previsto per il fermo, addossandogli responsabilità prefabbricate in partenza.
Apparentemente era routine, che rientrava nei canoni di una normale attività investigativa, ma il risultato di quel ‘colloquio’ sarà una tragedia senza fine. Un ergastolo, che i suoi familiari dovranno scontare.
Non in un carcere, ma nel loro minuscolo appartamento di Milano, dove la moglie Licia crescerà le due figliolette di soli 8 e 9 anni.
Perché Giuseppe Pinelli ‘cadde’ dal quarto piano della questura di Milano mentre veniva interrogato.
In un primo momento si parlò di suicidio, secondo una versione dei fatti del tutto inattendibile, solo per dimostrare la colpevolezza dell’anarchico.
“Quel pomeriggio del 12 dicembre, sul tardi, Giuseppe Pinelli entra nella questura di Milano. Arriva con la sua Benelli dietro un’auto della polizia su cui hanno preso posto il commissario Luigi Calabresi e l’anarchico Sergio Ardau”.
Come riporta Paolo Brogi nel suo saggio, coraggioso e ben esplicitato, fin da subito vennero messi in atto depistaggi e menzogne circa la morte di Pinelli.
La verità non doveva venire a galla, sembravano recitare con le loro testimonianze gli esponenti delle forze dell’ordine presenti nel momento del ‘tuffo’ di Pinelli dal balcone.
L’ufficio dove l’anarchico fu trattenuto era quello del commissario Calabresi, anche se in quel momento lui era fuori ufficio. Successivamente il commissario verrà ucciso da appartenenti alla sinistra extraparlamentare, forse per ritorsione per la morte dell’anarchico.
Motivo per cui a Calabresi non si poté addossare alcuna responsabilità.
Furono svariati gli uomini arrivati da Roma nell’immediatezza della strage, e scelti fra le alte sfere istituzionali, servizi segreti in primis.
In seguito, i rappresentanti delle istituzioni vennero ascoltati dai giudici, i quali rilevarono molte discrepanze dalle loro deposizioni. Furono numerose le contraddizioni che saltarono fuori rivelando un comportamento a dir poco molto poco professionale; semmai dichiarazioni con l’unico scopo di mascherare una verità scomoda.
Ma quale era lo scopo di evidenti depistaggi messi in atto da persone, alcune delle quali rimaste anonime?
Quello di non attribuire la responsabilità della strage di Piazza Fontana, creata ad hoc per destabilizzare lo Stato democratico, ad individui appartenenti alla destra. E addossarla invece agli anarchici, che nulla avevano a che fare con l’esplosione della bomba.
Ma Licia, moglie di Giuseppe Pinelli era una donna forte, che mai si è rassegnata alla tragica e ingiusta morte del marito.
Combatterà con forza e determinazione, affinché fosse resa giustizia a quell’uomo che davvero non meritava di morire in una squallida e fredda serata di dicembre ‘cadendo’ dal quarto piano della questura di Milano.
Se in un primo momento si era parlato di suicidio, la morte di Pinelli in seguito venne archiviata come causa di un malore che colse l’uomo mentre era in prossimità della finestra.
“Insomma, a distanza di ventotto anni dai fatti, finalmente la magistratura cerca di capire quale ruolo sia stato svolto dagli Affari Riservati a Milano nei giorni della strage di piazza §Fontana e della successiva morte di Giuseppe Pinelli…”
Della triste vicenda, l’autore di Pinelli l’innocente che cadde giù ne fa un resoconto preciso e puntuale, con nomi e cognomi dei diversi ‘attori’ che hanno partecipato alla ‘sceneggiata’ messa in piedi per non prestare il fianco a una spiegazione chiara e limpida dei fatti.
Come poi si avrà modo di appurare, per il giorno della strage Pinelli aveva un alibi forte e certo, e corroborato da più di una testimonianza. Persone che erano in sua compagnia durante le quali la bomba deflagrava. Ma anche a questo non si è dato troppa importanza.
Perché ancora oggi, le modalità che l’hanno portato alla morte rimangono un mistero. Un mistero con cui i suoi familiari si sono dovuti confrontare per un tempo lungo, anzi lunghissimo, e che ne ha minato non solo lo spirito ma anche il fisico.
Un personaggio coraggioso e importante per tentare, almeno tentare, di far luce sui fatti talmente oscuri da essere impenetrabili è stata Camilla Cederna, giornalista d’eccezione, che ha raccolto testimonianze uscite successivamente in un suo libro.
Ai funerali, moglie, figlie e madre del Pinelli, oltre a compagni, amici e parenti, tutti attoniti, e pronti ad accompagnare per sempre in quel di Massa un uomo giusto e vittima di un’ingiustizia.
Strappato ai suoi affetti più cari senza alcun plausibile motivo in una fredda serata del dicembre 1969.
“Il ritratto invece di scolorire si fa sempre più vivo; il personaggio ambiguo presentatoci in questura spicca subito come un eroe positivo…” – Camilla Cederna
Con una ricchezza di informazioni estratte da archivi oggi desecretati, pronte a testimoniare che la democrazia stava per cadere per lasciare il posto a un possibile colpo di stato, Paolo Brogi ha dato alle stampe un saggio di ampia entità. Una palude di congetture e supposizioni dove si evince la mano di servizi segreti deviati e l’ombra della massoneria.
E ne ha fatto un resoconto dettagliato e ricco di interventi dal volto umano: dichiarazioni delle figlie, che insieme all’autore ripercorrono le fasi di una storia che ad oggi non ha avuto ancora giustizia, nonostante la verità storica riconosca la morte di Pinelli come una morte non accidentale ma causata da eventi imprescindibili alla sua volontà.
In un lavoro di giornalismo d’inchiesta, l’autore riporta i fatti con oggettività, ma anche con acceso spirito di partecipazione alla morte dell’anarchico. Vittima di un’indegna montatura per nascondere i veri responsabili dello stragismo fascista.
“Teneva discorsi, organizzava marce, era membro attivo di quel centro di tutela e di solidarietà dei perseguitati politici e delle loro famiglie, a chi è in carcere o di passaggio…” – Camilla Cederna
Written by Carolina Colombi
un ottimo libro da leggere come “memento” per non dimenticare – a 50 anni dal suo assassinio – l’anarchico Pino Pinelli e il cumulo di atrocità e depistaggi di quei giorni (e degli anni che seguirono) e le bugie di quella “calda” sera milanese d’inverno in cui “Pinelli cascò”. Un errore politico di enorme portata, che oltre ad accrescere il numero delle vittime di Piazza Fontana mise una pietra tombale sulla possibilità di appurare un giorno, sia pure in extremis, l’autentica verità sulla morte di Pinelli, fu anche l’uccisione del commissario Calabresi. Se fosse ancora vivo, il Commissario potrebbe testimoniare – come persona bene informata dei fatti – su quel che accadde davvero quella notte in questura a Milano. Ma l’insipienza di un ulteriore delitto politico lo ha impedito. Chi dovremo ringraziare per questo stolto piacere fatto ai “servizi segreti”?