“Salomé” di Stefano Santachiara: il seme era già presente nel genio
Letto d’un fiato “Salomé” di Stefano Santachiara. Due cose sono certe, la qualità raffinata della scrittura e la ricchezza della documentazione che hanno portato a questa opera intensa, precisa e per nulla ambigua.

Stefano Santachiara, che non nasconde nulla della vicenda, è assolutamente esaustivo, tanto che, alla fine, Salomé diventa un personaggio che appartiene definitivamente al lettore.
Poco importa se l’opera sia di genere teatrale, cinematografico (sono molti i “primi piano” ed è veramente complesso il susseguirsi delle scene) o di pura narrativa. E se fosse, alla fine, un saggio? Non importa.
Essa è dedicata a una donna particolare, di cui è difficile trovare l’eguale nella storia della cultura.
Circa quarant’anni fa, lessi, di lei, “I miei anni con Freud”, ma di tale esperienza ben poco mi rimane. Questo non significa che non sia stata interessante.
La lettura del libro di Santachiara mi invoglia a leggere la sua autobiografia e, se capiterà, qualche suo libro di psicoanalisi. Salomé aveva il dono naturale dell’analisi psicologica, che le ha permesso di diventare una terapeuta, senza aver fatto, probabilmente, alcun studio di medicina.
In tutti i suoi rapporti con i vari Freud, Rilke, Nietzsche, Paul Ree etc… stupisce la sua estrema consapevolezza. Sapeva bene con chi aveva a che fare e non sbagliava mai tattica. Non significa che sia stata ingannatrice, ma che sapeva sempre chi aveva di fronte e quale sarebbe stato l’atteggiamento funzionale da adottare.
Da notare che Santachiara si adegua a questo mutare di forma di Salomé, variando talvolta il nome dei personaggi (Ljola, Lou, Salomé; Rilke, Rainer; Nietzsche, Fritz).
“Più in generale sono convinta che dovremmo preservare l’armonia interiore, preservando la nostra consapevolezza al di là delle categorie convenzionali. Ad esempio, io sento l’attività intellettuale come un’azione tesa a rafforzare la femminilità mentre il lavoro poetico mi sembra un atto maschile” (pag. 115).
Salomé appare come una creatura androgina, non troppo maschile, ma nemmeno più di tanto femminile.
Fisicamente è un essere molto aggraziato, ma psicologicamente è un “unicum”, che si comporta come un maschio che semina il suo seme, il suo input, la sua caratteristica genetica e questo sembra essere stato fatto con tutti i citati autori di cui sopra. Nessuno le rimane indifferente.
Ma è soltanto un’illusione. Lei è qualcosa d’altro che un essere che sparge il suo seme.

Nietzsche scrive i suoi libri fondamentali ispirato da lei. Così fa Rilke. Ma lei non è nemmeno una musa ispiratrice, o forse lo è solo in parte.
È soprattutto una catalizzatrice, una fonte di energia, un enzima che permette le successive reazioni chimiche. Le opere dei suoi amici geni non sono sue, il seme appartiene ad ognuno di loro, ma senza di lei non sarebbero state scritte. Lei ha favorito la loro nascita, non come semplice ostetrica, ma a seguito di un’essenziale induzione, che salvifica.
L’artista creatore, per citare un pensiero di Nietzsche riportato nel libro è: “un uomo che partorisce nello spirito”, ma questo avviene soltanto dopo una fecondazione. Il creatore partoriente è il genio, ma il suo seme è stato reso vivente da lei. Il seme era già presente nel genio, ma era inerte. Lei gli ha conferito quella forza che gli ha permesso di trasformarsi.
Salomé ha reso Rilke confidente con la natura. Solo “da poco” Rilke ammette di esserlo, da quando ha conosciuto Salomé. Occorre però difendere tale slancio creativo, da altri più ingannevoli.
Salomé: “… si vedono nelle esuberanze erotiche altrettanto illusioni ingannevoli e abbagli fatali…” (pag. 129). Questo è un bel dramma. L’Eros è visto come un mostro capace di divorare energia, una specie di Sirena fatale. Mentre si ama con passione non si crea. Si disconosce qualsiasi missione. L’unica risorsa rimane lui, quell’egoista di Eros.
In assenza di Salomé, il genio è solo, ma tale assenza di stimoli gli permette ora, e soltanto ora, di agire, di far crescere dentro di sé l’infante, senza più l’inevitabile spettro rappresentato dalla sessualità. La fecondazione è già avvenuta. La natura sta per avere il suo corso. E il poeta può finalmente partorire.
La stessa Salomé deve isolarsi, per poter ricaricarsi: “… camminavo ancora accanto a te ma solamente come un automa, senza poterti dare più vero calore, perché avevo consumato la mia energia nervosa…” (pag. 135). “Sì Rainer, è necessario che sviluppi la tua maturazione nella libertà e nella lontananza.” (pag. 135).
“Sono pervasa come te dalla convinzione che si debba vivere molto ritirati, in grande solitudine. Severità e riservatezza… potrei dire che a causa loro mi sono negata la maternità.” (pag. 142).
Il monachesimo artistico e spirituale di Salomé è di tipo ipercinetico, sempre volto a nuove avventure nel mondo: “Andreas: ‘Non cambi mai, sei continuamente alla ricerca di terre inesplorate. Come Cristoforo Colombo.’ – Salomé: (sorridendo) ‘Colomba’” (pag. 147).

La generosità di Salomé non è priva di tornaconto. Ella dà l’energia necessaria alla nascita dell’opera poetica, ma riceve tanto in cambio, senza depauperare nessuno.
È la natura che trasforma tale energia in materia massiva, e poi ancora all’incontrario, il corpo artistico partorito, esaurita la sua necessità vitale, produce nuova energia che, prima o poi, sarà riconvertita.
“Mi hai regalato un frammento di vita. Io ne avevo bisogno ancora più ardentemente di quanto tu non sappia.”
Così Salomé ringrazia Rilke l’ultima volta che lo incontra, quando il vate praghese, le dedica “un piccolo frammento, composto per te.” (pag. 182-183).
Grazie Salomé. Non hai mai partorito. Ma grazie a te il mondo è ricco di nuovi, formidabili, Esseri!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
“Salomé” di Stefano Santachiara, Digital Press, 2018