“Storie d’Africa” di Piero Cannizzaro: cronaca di una triste realtà del fenomeno migratorio
“Nei sette giorni di mare, senza acqua, senza cibo, la cosa più feroce era l’odore del motore e dell’acqua marina. Insopportabile. Alcuni non ce l’hanno fatta a sopportare quell’odore e si sono buttati in acqua…”

Girato tra Senegal, Costa d’Avorio e Guinea, il lungometraggio Storie d’Africa del regista Piero Cannizzaro si snoda attraverso una serie di testimonianze. Crude e di difficile accettazione da parte dello spettatore, il quale viene coinvolto emotivamente dai drammatici racconti a cui partecipa.
Affermazioni che toccano nel profondo, ma soprattutto danno la cifra del malessere di un popolo, pronto a tutto pur di allontanarsi da una realtà dove povertà e miseria fanno parte della quotidianità.
Testimonianze, quindi, sottotitolate in italiano, di persone che raccontano, senza alcun freno inibitore, del loro vissuto dopo l’allontanamento dal proprio luogo d’origine.
Finanziato dalla Cooperazione Internazionale Italiana in collaborazione con l’Oim (organo per la migrazione), Storie d’Africa offre un diverso punto di vista del fenomeno migratorio rispetto a quello già noto al pubblico, una prospettiva che permette di guardare gli eventi, di cui la cronaca ogni giorno dà conto, in maniera differente.
Il docufilm fa parte del progetto CinemArena, durante il quale un furgoncino itinerante, su cui è montato un palco e uno schermo, raggiunge le baraccopoli di villaggi africani i quali ospitano gli sventurati, al fine di dare voce a coloro che spesso voce non ne hanno.
L’obiettivo del docufilm è principalmente uno: tentare di arginare il fenomeno, il quale genera un alto numero di vittime, innocenti che non hanno colpa alcuna se non quella di essere nati in un continente situato a Sud del mondo.
Alcune dichiarazioni vengono da protagonisti che hanno intrapreso un viaggio della speranza verso l’Europa, i quali attestano delle difficoltà incontrate per attraversare il deserto e raggiungere il Nord Africa; esperienza questa al limite della sopravvivenza.

Superata questa prova, quasi impossibile, come racconta una giovane che si è avventurata per darsi un futuro diverso dal presente in cui era costretta a vivere, ha raggiunto paesi quali Tunisia o Libia, che si affacciano direttamente sul Mediterraneo.
Qui, ad attenderla non ha trovato neppure un po’ dell’accoglienza che le era stata promessa, ma solo atrocità messe in atto da gente senza scrupoli.
Costretta a prostituirsi per sopravvivere, e come lei altre poverette che si arrischiano a raggiungere quei posti impervi, fa memoria delle violenze subite. In molti casi è dunque la prostituzione che si fa strumento per salvarsi la pelle.
Ma, dramma nel dramma, dopo essere state oggetto di stupri e brutalità inenarrabili, le giovani sono spesso costrette a far ritorno al punto di partenza. Ovvero, i loro villaggi. Nella maggior parte dei casi dopo aver pagato una cifra considerevole per giungere in Italia.
Ed è così che il Mediterraneo, per il popolo africano, diventa una meta tanto ambita quanto deleteria. Sono, infatti, molti coloro che vengono inghiottiti dalle acque grigie e fredde di un mare percepito come unica via di fuga. Un’ancora di salvataggio, che però non dà loro appoggio, anzi, spesso il Mediterraneo si rivela un acerrimo nemico, anche perché molti naufraghi non sanno nuotare.
A volte, come racconta un altro testimone, i meno fortunati scivolano dai barconi che li accolgono dopo sofferenze e traversie d’ogni genere, facendosi per loro lugubri tombe e non mezzi per conquistare un porto sicuro. Perché, sempre più spesso, barconi sovraccarichi trasportano il loro carico umano come fosse merce di pessima qualità.
Ancora, lo stesso testimone dà conto, con grande afflizione, della tristissima situazione in cui si è venuto a trovare dopo aver assistito alla morte del proprio zio, senza poter far nulla per andargli in soccorso. L’ha visto boccheggiare, e perdersi fra le acque scure e tempestose di un mare pronto a ingoiare vite umane, gettate spesso alla deriva da gente interessata solo a ricavare profitto da tali azioni.
Altra drammatica testimonianza è quella di un marito che ha visto la moglie stuprata e seviziata davanti ai propri occhi e a quelli del figlioletto. Dichiarazione, che tocca lo spettatore lasciandolo senza parole di fronte all’enorme brutalità del gesto messo in atto.
“Ma lei non deve farsene una colpa, la colpa è solo mia che li ho portati in questo viaggio…”
Ancora un’attestazione del malessere africano restituito dal docufilm sono le parole commoventi, raggelate da un retrogusto di amarezza, di un altro giovane, poco più che un ragazzo, il quale dichiara che, nonostante tutto, lui proverà ugualmente a raggiungere l’Italia.
Paese miraggio dei tanti derelitti che, prima di arrivare al mare devono attraversare il deserto, e purtroppo da quest’ultimo vengono inghiottiti, a volte senza lasciare alcuna traccia dietro di sé.
“So, so tutto. Ho capito la violenza che accompagna questi viaggi. Ma credo che ci proverò lo stesso. Qui non c’è nulla…”

Realtà dura, indubbiamente, quella che tramite il docufilm arriva a colpire come un pugno in pieno stomaco lo spettatore, soprattutto quello non del tutto informato sulle motivazioni che spingono la gente alla migrazione, ed è perciò incredulo di fronte a un disagio di così ampia portata.
Disagio, in primis, per i migranti, alcuni dei quali sono di buona volontà e hanno l’aspirazione di dedicarsi all’agricoltura e all’allevamento, come si evince dalle parole di un altro giovane. Se mai fossero aiutati dal mondo occidentale a entrare in possesso di moderni sistemi di coltivazione, al fine di praticare queste antiche attività, essenziali per la loro sopravvivenza.
Una nota positiva, in questo bailamme di disumanità, viene da un’altra persona, forse più illuminata dei precedenti, il quale racconta la sua esperienza. Sì, difficile e pesante come tutte le storie di migrazione sanno essere, ma che ha avuto un esito alquanto positivo. Dopo ventitré anni di soggiorno in Italia, durante il quale ha imparato il mestiere di fornaio, è tornato al suo paese d’origine. Qui, armato di volontà e anche di intelligenza, ha dato vita a una piccola attività, impiegando oltre che se stesso alcuni lavoranti, sottratti così all’atavica povertà, diventata purtroppo un modus vivendi.
Narrazioni queste, che portano inevitabilmente lo spettatore a provare un sentimento di empatia per la triste e difficile realtà del mondo africano. Realtà che andrebbe regolamentata, diversamente da quanto accade oggi; per il benessere della popolazione africana innanzitutto, e non ultimo anche per il benessere dell’Italia, paese le cui coste sono le più prossime e raggiungibili da barche e barconi che arrivano di continuo in maniera indiscriminata.
Infine, quale insegnamento trarre dal docufilm Storie d’Africa di Piero Cannizzaro?
Che la gente africana andrebbe aiutata a casa propria, offrendo loro l’opportunità di poter godere di una qualità della vita dignitosa. Il più delle volte, infatti, in molti sono costretti a migrare per raggiungere paesi che, nell’immaginario collettivo rappresentano la soluzione all’annosa questione del malessere economico e sociale in cui vivono.
Paesi, innanzitutto l’Italia, che non possono accogliere tutti, perché afflitti anch’essi da molteplici problemi. E possono, quindi, presentarsi come inospitali o addirittura ostili.
Sarebbe compito dell’Europa, tutta, mettere in campo un piano che arginasse il fenomeno e al contempo non abbandonasse al loro destino questi poveretti.
Come? Come la comunità europea potrebbe sollevare le sorti di gente che si arrischia ad attraversare il Mediterraneo anche in tempesta per inseguire un sogno?
Ad oggi l’Europa ha fatto poco o nulla per limitare il flusso migratorio che, secondo previsioni attendibili, nei prossimi anni raggiungerà picchi vertiginosi.
I migranti, per esempio, andrebbero distribuiti in maniera equa fra i diversi paesi della comunità europea, evitando che l’Italia sia l’unico paese ad affrontare un’emergenza di così difficile gestione.
Anche perché, sempre più spesso, è la gente comune, e non i politici che predicano bene e razzolano male, a fare le spese del disagio portato da una migrazione distribuita fra le molte città italiane.
Soprattutto sono le periferie di grandi e piccoli centri a essere diventate veri e propri siti di spaccio di stupefacenti e prostituzione.
Occorre ricordare, infatti, che non tutti i migranti che arrivano in Italia sono disposti a lavorare onestamente. Alcuni raggiungono le coste italiane con l’intenzione e la voglia di trovare un lavoro onesto altri, invece, a causa della scarsità di lavoro che penalizza pure i residenti, e delle conseguenti problematiche sociali e politiche che attanagliano il paese Italia, diventano manovalanza per la malavita che approfitta della loro misera condizione, e li recluta per attività disoneste. Perché anche fra i migranti c’è chi ambisce a procurarsi facili guadagni con mezzi altamente illeciti.
Che fare, dunque per arginare la migrazione in crescente aumento, anche se i dati snocciolati da tv e giornali parlano di fenomeno in diminuzione?
Aiutare questa gente a casa loro e tentare di fermare il flusso migratorio, il quale ha già provocato numerosi morti e ancora ne produrrà.
È questo il nocciolo della questione migrazione ed è l’obiettivo del docufilm Storie d’Africa. Favorire il popolo africano con mezzi e strumenti di sostentamento, atti a permettere ad esso di condurre una vita dignitosa nel proprio paese d’origine.

Perché, come dichiarato da alcuni nel lungometraggio, non tutti avvertono la necessità di partire per un viaggio pieno di incognite che promette quasi sempre un’infinità di sofferenze, nonostante i costi che corrispondono a migliaia di euro.
“Basterebbe che ci aiutassero con un piccolo investimento e potremo dare lavoro a molti…”
A proposito dei trafficanti, poi. Che dire di questa gentaglia, al soldo di chi o cosa non sempre è dato sapere?
Questione che, prima di affrontare altri aspetti della spinosa problematica, andrebbe anteposta al traffico migratorio. Prima di ogni altro provvedimento, bisognerebbe arrestare l’operato di questi individui che mettono in atto un nuovo e proprio schiavismo. Andrebbero fermati con tutti i mezzi a disposizione dalle autorità, e sbattuti per sempre in galera.
Lungometraggio di formazione, Storie d’Africa permette allo spettatore di entrare in comunicazione con una realtà preclusa a molti, e di cui si conoscono soltanto frammenti di una realtà deleteria per coloro che raggiungono l’Italia, ma deleteria anche per i residenti, costretti a subire l’arrivo indiscriminato di gente dalle tradizioni e abitudini completamente differenti dalle proprie, e le cui conseguenze negative che ne derivano non permettono una convivenza quasi mai facile.
Il film è stato proiettato a Roma il 25 novembre all’Apollo 11 ed il 26 novembre al Teatro Officina Pasolini, a grande richiesta per il sold out c’è stata una replica il 28 novembre all’Apollo 11 e sarà proiettato a Parigi il 10 dicembre prossimo alla Maison d’Italie.
Written by Carolina Colombi