“Hope” di Giovanni Allevi: l’undicesimo album in studio sperimenta un nuovo lirismo
Due anni or sono su Oubliette Magazine si recensiva “Equilibrium” (2017), il doppio cd di Giovanni Allevi comprendente il Concerto per pianoforte n. 1 e due cicli di composizioni rispettivamente per pianoforte e orchestra da camera (in realtà unicamente archi) e per pianoforte solo.

Proposte dal musicista marchigiano, in quell’occasione si erano anzitutto largamente discusse le concezioni della musica classica in generale e della sua nello specifico, così come il ruolo di entrambe nel mondo d’oggi: rinviando a tale articolo, citato anche in fondo alla pagina, proprio sulla scorta di queste sempre valide riflessioni si intende contestualmente muovere, nel giorno che dà l’avvio all’Hope Christmas Tour (la cui prima tappa segna il ritorno del compositore al Teatro Dal Verme di Milano).
L’undicesimo album registrato in studio, “Hope”, intercetta e sovrappone quelle che dallo scorso 15 novembre, data del rilascio sul mercato nazionale, sono divenute due chiare tendenze della discografia alleviana (plausibilmente destinate a progredire ulteriormente in futuro): da una parte la rivisitazione del repertorio tradizionale natalizio, cardine dell’intero “Christmas for you” (2013), eseguito al pianoforte solo; dall’altra la rielaborazione in chiave orchestrale di brani precedentemente proposti in una versione pianistica, orientamento poetico già sperimentato con successo in “Evolution” (2008).
In conformità al rilievo attribuito dunque all’orchestra, come in “Sunrise” (2012) e prima ancora in “Evolution” Allevi decide di non includere un singolo pezzo ideato precipuamente per il suo solo strumento d’elezione, presente peraltro unicamente nelle riscritture del “Te Deum” di Charpentier, nel medley “Christmas Time”, in “Oh Happy Day” e in “Santa Lucia”: un vero record negativo che in un certo senso fa di “Hope” l’album più squisitamente sinfonico di tutti, arrivando ad includere (in “Oh Happy Day”) la batteria e il basso elettrico, strumenti che notoriamente non figurano nelle corde del compositore.
Da “Christmas for you” provengono il preludio di Charpentier, le melodie di “White Christmas”, “Feliz Navidad”, “Adeste fideles”, “Greensleeves” e “Jingle Bells” che vanno, assieme al mai udito prima “Tu scendi dalle stelle”, a costituire “Christmas Time”, “Oh Happy Day”, “The Answer of Love” e “Silent Night”.
Non si tratta di semplici orchestrazioni o arrangiamenti, bensì di autentici rifacimenti, contraddistinti di volta in volta dalle necessarie operazioni di editing (specie nel caso del medley, come è facile intuire), dalle modificazioni nell’agogica e dall’aggiunta saltuaria della componente vocale, per la prima volta in tutta la discografia dell’autore inclusa nell’organico ed anzi promossa a vera protagonista.
Per quanto riguarda questa categoria di brani, globalmente i cambiamenti di maggior rilievo si rilevano con facilità nella resa della ritmicità (evidenziata in generale con più intenso vigore), nella mobilità delle dinamiche e naturalmente nella varietà assicurata dall’avvicendarsi e sovrapporsi dei diversi timbri: particolarmente riusciti in tale prospettiva suonano allora gli scattanti “Te Deum” e le sezioni occupate da “Feliz Navidad” e “Jingle Bells”.

A recuperare l’originaria destinazione per voci sono “Oh Happy Day” e “Silent Night”, mentre nel caso di “The Answer of Love” va specificato che il testo inglese utilizzato non ha molto a che spartire con quello tradizionale in tedesco, scelto da Brahms per la sua celeberrima ninna nanna (“Wiegenlied”, Op. 49 n. 4).
Il repertorio classico è inoltre attinto senza sostanziali rimaneggiamenti (e anche stavolta si tratta di una novità assoluta, tant’è che Allevi, oltre che sedersi al pianoforte, si destreggia fra il podio del direttore, il clavicembalo e l’organo) alle proposizioni del corale “Jesus bleibet meine Freude” che chiude la cantata BWV 147 di Bach, dell’“Ave verum corpus” di Mozart e dell’“Hallelujah” che termina la seconda parte del “Messiah” di Händel: veri e propri evergreen la cui fruizione riesce più che mai gradita nei tempi di Avvento e di Natale.
Le composizioni da considerarsi inedite in ogni loro forma (almeno per quanto concerne le pubbliche incisioni alleviane) formano infine un quintetto di indubbio rilievo, caratterizzato ad ogni numero dal peso attribuito al coro e ai solisti: cinquina alla quale si affianca la versione strumentale di “Santa Lucia”, approntata in maniera tale da far dialogare con leggiadria, fra tutti, il pianoforte e l’arpa.
A dare il via ad “Hope” è l’inno della Serie A commissionato nel 2015, “O generosa!”, che collocato in una posizione così chiaramente strategica da una parte funge da ouverture “profana” al programma a seguire, dall’altra sortisce un effetto di innegabile fascino concentrando in un breve minutaggio tutta la forza trascinante dell’orchestra al suo completo (coro misto annesso), palpitante su un ritmo che induce all’esaltazione (dopotutto, il pezzo è pensato per corrispondere esattamente a ciò che le squadre sfidanti amerebbero udire prima di dare tutte se stesse sul campo di gioco).
Fortemente contrastante con simili toni grandiosi, rilevabili anche all’estremità opposta dell’album, nella cantata di cui si dirà più avanti, l’enfasi lirica più genuina di cui Allevi è capace si manifesta limpidamente in “You Were a Child”, “Ave Maria” e “Vocalise”, dei quali concorre a costituire il mood preponderante: le melodie esposte dalle due voci bianche nel primo caso, dal soprano nel secondo e dal coro nell’ultimo posseggono l’immediatezza e la linearità indispensabili a stimolare sin dal primo approccio l’empatia dell’ascoltatore (medio) e ad entrare di diritto nel novero dei temi alleviani di più sincera espressività, complice il corredo testuale o meno (l’intera elegia e l’introduzione di “You Were a Child” sono caratterizzate infatti da semplici vocalizzi).
Le due anime descritte convivono nella cantata sacra per quattro voci, coro e orchestra che il compositore ha dedicato a Benedetto XVI, completata ancora nel 2010 ma restituita al pubblico solamente nel 2016: la struttura di “Sotto lo stesso cielo” è tesa fra il dinamismo euforico e vorticoso che loda il “Dio del cielo” e la “gioia nel cuor” e la placidità perfettamente conciliante della ninna nanna, proposta due volte nell’arco dello sviluppo sia da soprano e tenore che dal “tutti”.
Il brano rappresenta letteralmente a chiare note le ambizioni di un musicista che alla soglia dei 50 anni riesce per la prima volta a riunire le forze produttive necessarie a rendere giustizia a un disegno creativo di respiro assai più ampio del consueto; dopo i successi conseguiti dalle creazioni per orchestra, inizialmente senza e successivamente con strumento solista (il pianoforte, il violino), al tempo stesso di queste aspirazioni assurge ad essere il vittorioso coronamento (e la levatura del destinatario originale, nonché il posizionamento all’interno dell’album, ne evidenziano ulteriormente la profonda soddisfazione conquistata).

In chiusura, il tentativo di preannunciare uno o più album di prossima pubblicazione i quali includano alcune composizioni che gli “alleviani” più appassionati senz’altro non si saranno lasciati sfuggire in anni più o meno recenti: fra di esse spiccano anzitutto la “Rapsodia italiana” per chitarra e orchestra e il Concerto per flauto dolce e orchestra, entrambi tenuti in première nel dicembre del 2018 e quindi potenzialmente affiancabili in un medesimo progetto discografico.
Sempre per orchestra (con l’aggiunta del coro ad libitum) è poi l’“Inno alle Marche” (2007), che non differentemente da “O generosa!” saprebbe fungere da pre- o postludio a un qualche programma più ampio animato dalle forze della compagine sinfonica. Più arduo che trovino spazio, da ultimo, la Toccata, canzone e fuga per organo, eseguita per la prima volta nel 2014 da un organista che Allevi non era (considerata la doverosa eccezione di Jeffrey Biegel, dedicatario del Concerto per pianoforte, mai nessuno ha preso il posto del compositore a una tastiera di qualunque tipo nell’ambito degli album), e l’ormai datata commedia musicale “Sparpagghiò, la storia e la morte”, presentata nel 2001 e forse ritenuta dallo stesso autore superata da un punto di vista drammaturgico-musicale o semplicemente allettante non a sufficienza da poter costituire materiale adatto a trovare una destinazione adeguata nel mercato internazionale.
Written by Raffaele Lazzaroni
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