“Un’estate con Baudelaire” di Antoine Compagnon: Charles, un soggetto molto più rischioso rispetto a Montaigne

Conoscevo già l’estate serena e piacevole che Antoine Compagnon ci ha invitato a trascorrere in compagnia sua e di Montaigne.

Un’estate con Baudelaire

Affascinato dalle sue capacità di introspezione e dalle sue idee, libere da pregiudizi, sui costumi e sulla morale, Compagnon ha percepito, al di là della mestizia per le morti premature delle figlie dello scrittore-filosofo e del suo carissimo amico Etienne, la soddisfazione che Montaigne provava al pensiero di quanta influenza ebbero le sue osservazioni sulla filosofia francese e occidentale. Ma ha percepito anche l’amarezza per l’ingiusta censura cui fu sottoposta la sua opera.

Ho immaginato Compagnon trascorrere la sua estate ospite nel castello di Montaigne, nella quiete del terzo piano della “Tour de la librairie”, con lo sguardo piacevolmente rivolto alla finestra da cui ammirava il vasto parco che si stendeva ai piedi del castello.

Ma di fronte a questo nuovo invito ho avuto difficoltà a immaginare in quale luogo ci volesse far trascorrere questa nuova estate. Soprattutto quando ho letto che l’autore considera Baudelaire un “soggetto molto più rischioso rispetto a Montaigne”[1].

Egli dice di amare Montaigne “per la sua chiarezza, per la sua moderazione e modestia, per la sua benevolenza e generosità. È un amico, un fratello, «perché era lui; perché ero io», ed è l’autore di un unico grande libro, quello che teniamo sul comodino e di cui rileggiamo qualche pagina ogni sera, per vivere meglio, in modo più saggio, più umano. Mentre il poeta dei Fiori del male, e ancora di più quello dello Spleen di Parigi, è un uomo ferito e amareggiato, uno schermidore brutale, un genio folle, un agitatore d’insonnie”[2].

Più volte mi sono chiesto se Baudelaire avesse costretto Compagnon all’insonnia perché l’aveva ospitato in uno dei diversi tuguri che lui ha abitato, invece di fargli trascorrere l’estate su una spiaggia alla moda sotto i “vastes portiques/ que les soleils marins teignaient de mille feux[3] e da luilong-temps habité[4] o sulla nave che lo conducevaau pays parfumé que le soleil caresse,” dove Baudelaire haconnu sous un dais d’arbres verts et dorés […] une dame créole aux charmes ignorés.[5]

O non più semplicemente seduto a uno di quei tavolini del bar dove Baudelaire si incontrava con gli amici artisti.

Compagnon non lo precisa ma ci induce a pensare che il solo luogo adatto fosse proprio il bar al 25 di rue de l’hirondelle a Parigi, conosciuto come “La Vénus Noire” in onore dell’“amante del poeta maledetto, Jeanne Duval [6],che offre una “programmazione molto variegata (jazz, funk, serate letterarie, clubbing) a un pubblico eclettico[7] che noi riteniamo accordarsi perfettamente con il contenuto del racconto di questa “estate con Baudelaire”.

E tuttavia, nonostante gl’incubi causatigli dall’agitatore d’insonnie, Compagnon cita, poche pagine dopo l’inizio, quei dolci versi di Baudelaire con cui il Poeta ricorda a sua madre i pochi e lontani momenti di dolcezza trascorsi insieme:

Non ho dimenticato la nostra bianca casa,/ vicina alla città, piccola ma tranquilla;/ la Pomona di gesso e la Venere vecchia/ che celano le nudità nell’esiguo boschetto,/ e il sole, nella sera, fluido e superbo,/ dal vetro dove il raggio vivido si frangeva,/ sembrava contemplare, grande occhio nel cielo/ spalancato e curioso, le lunghe cene silenziose/ e versava generoso i bei riflessi di un cero/ sulla tavola sobria e sulle tende di sàrgia.[8]

Beh, certo Compagnon ci ricorda versi così colmi di dolcezza perché forse li ritiene funzionali per contrasto alla presentazione non soltanto della conflittualità che il poeta ebbe con la madre, ma soprattutto del carattere violento di un uomo che non ama essere amato[9].

Ciò non vuol dire che Compagnon denigri o tratti male Baudelaire.

Charles Baudelaire

Se è vero che spende molte parole, frasi, concetti, immagini e pensieri per illustrare i lati negativi del poeta lo fa per sottolineare come anch’essi siano funzionali alla riuscita della sua opera. Che è poi un modo diverso, e piuttosto subdolo, di definire ancora una volta Baudelaire poeta maledetto.

Più volte, nel corso della lettura, mi sono chiesto se si possa osservare una statua, girarle intorno, penetrare con l’intelletto tutto ciò che ha condotto lo scultore a crearla, analizzando le origini dell’artista, le preferenze, i gusti, i limiti, le fobie, il suo modo di rapportarsi agli altri, senza tuttavia comprendere (se non a grosse linee – peraltro già acclarate da tutti) nulla di quell’opera, né del messaggio che l’autore ha inteso trasmettere a colui che si sofferma a guardare questa scultura.

Compagnon mi ricorda proprio l’osservatore che guarda lastatue allégorique dans le goût de la Renaissancedi Ernest Christophe a cui fa rifermento la poesia Le Masque di Baudelaire.

L’osservatore guarda ma non comprende se non ciò che gli appare. Le gira intorno per ammirarne la bellezza, e rimane sconvolto nello scoprire che la bellissima figura femminile termina “en monstre bicéphale”.

Ingannato dalle apparenze non riesce poi a capacitarsi del perché la figura pianga. Ha bisogno che proprio Baudelaire gli spieghi:

È una maschera, un fregio ingannevole/ Eccola, guarda, contratta atrocemente/ l’autentica testa e il viso sincero/ rovesciato al riparo della faccia che mente.”[10]

Del resto Compagnon ama Montaigne, come certamente potrebbe amare un Canova,per la sua chiarezza, per la sua moderazione e modestia, per la sua benevolenza e generosità”, ma non può mai amare un Rodin (figuriamoci un Picasso!!!). Noi invece amiamo Rodin come amiamo Picasso, con le loro tensioni drammatiche e le storture (“la face qui ment”!) che riflettono la modernità.

Non credo che sia importante (dal punto di vista letterario e artistico) che Baudelaire fosse unoschermidore brutale, un genio folle” (cosa che potrebbe stupire se presente in una figura di scienziato come quella di Einstein perché in quel caso è stupefacente che possano convivere follia e scienza).

Non importa nulla, come nulla credo che dovrebbe importare a un vero lettore, uno di quelli che non si limitano a leggere romanzi rosa, che Baudelaire possa non soffrire Victor Hugo o strapazzare Manet.

Come non importa che egli abbia odiato (come ci ricorda Compagnon nel corso di tutto il suo racconto) il padre adottivo, la madre, le donne, la modernità, i giornali, gli ebrei e infine se stesso, se non nella misura in cui tutto questo è diventato patrimonio caratteriale di un uomo contraddittorio che sa regalarci un poeta in grado di esprimere come nessun altro tutte le contraddizioni della nostra epoca.

Antoine Compagnon

A un lettore che conosce Baudelaire credo che interessi soltanto sapere cosa ci sia ancora di nuovo (di diverso) da scoprire nella sua poetica attraverso una più approfondita conoscenza di ciò che scorreva nelle sue vene e che tormentava il suo animo. O almeno scoprire che ci sia un modo differente e nuovo (o semplicemente dimenticato) di leggere i suoi versi.

Quanto poi all’intenzione dell’autore di “Un’estate con Baudelaire” (Garzanti) diriportare nelle librerie un maggior numero di lettori affinché ritrovino la strada dei Fiori del male e dello Spleen di Parigi”, saranno certamente lettori coloro che credono d’aver imparato ad apprezzare Montaigne solo attraverso gli scritti di Compagnon.

Ciò non significa che questo libro non possa ottenere una vasta diffusione, perché sono moltissimi coloro che amano conoscere e approfondire le vite dei Grandi della Storia e dell’Arte in genere, sezionate negli aspetti più intimi, che spesso mettono in rilievo anche quelli più sgradevoli.

Questa lettura peraltro ha il merito indiscusso di permetterci di scoprire ancora una volta come convivono in ogni genio incoerenza e fedeltà alle proprie idee su due piani spesso ben separati, anche se non del tutto estranei fra loro. Una dualità che è sempre esistita ma che solo negli anni recenti dell’età moderna si ha avuto il coraggio di analizzarla sino in fondo, senza censure e senza ipocrisie.

Come per primo ha fatto Baudelaire con l’animo umano.

 

Written by Marcello Comitini

 

 

 

Note

[1] Antoine Compagnon, Un’estate con Baudelaire, traduzione di Camilla Panicchi, Garzanti Editore, 2016, pag. 10

[2] Idem

[3] Charles Baudelaire, La vie Anterieure, Les fleurs du Mal, a cura e traduzione Marcello Comitini, Ediz. Caffè Tergeste, 2017.

[4] idem

[5] Charles Baudelaire, A une dame créole, op. cit.

[6]Descrizione pubblicata dal quotidiano on line “France” consultabile sul web QUI.

[7] Idem

[8]  Charles Baudelaire, La Maschera, op. cit.

[9] Antoine Compagnon, op. cit., pag.11

[10] Charles Baudelaire, op. cit.

 

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