Robert Kennedy, un mito tutto americano
“Il cambiamento, con tutti i rischi che comporta, è la legge dell’esistenza.” ‒ Robert Kennedy
Il 1968 è ricordato come un anno di conflitti sociali e politici che hanno cambiato le sorti non solo dell’Italia, ma dell’intero pianeta. È anche un anno che ha prestato il nome al movimento, definito Sessantotto appunto, su cui ancora oggi ci si interroga.
Comunque, il 1968 non è periodo da ricordare solo per le numerose sollevazioni studentesche sparse un po’ ovunque; ma anche per accadimenti, anche più drammatici di quelli già citati, che cambiarono il volto della società americana degli anni Settanta.
“Amore, saggezza, solidarietà per coloro che soffrono, giustizia per tutti, bianchi e neri.” ‒ Robert Kennedy dopo l’uccisione di Martin Luther King
L’uccisone di Martin Luther King, per esempio, assassinato nell’aprile del 1968. Cui seguì, sempre nel 1968, la morte di Robert Kennedy, caduto anch’egli sotto i colpi di arma da fuoco.
Appartenente ad una famiglia che ha dato i natali a illustri rappresentanti delle istituzioni americane, il suo mandato politico ebbe però breve durata: dal 1965 al 1968, non certo quella che aveva progettato per sé. Il giovane Kennedy inizia a lavorare, in qualità di legale, alla sezione di sicurezza interna che investigava su sospetti agenti segreti sovietici.
Durante la crisi dei missili cubani assume un ruolo di rilievo in qualità di consigliere del fratello John, già presidente degli Stati Uniti. E, in veste di ministro della giustizia, affiancherà ancora John nel suo operato.
Dopo aver ricevuto da lui una pesante eredità, politica ed umana, in seguito all’attentato che lo vedrà cadere vittima di omicidio, nel 1963 a Dallas.
Il mondo intero fu allora costernato, e impotente si trovò ad assistere in diretta tv al gesto criminale che, oltre a portare alla morte il presidente, portò via anche un promettente futuro politico per l’America.
A quel punto, a Robert non rimase che prendere il posto del fratello e impegnarsi per risollevare le sorti di un paese sfregiato dalla violenza, e candidarsi alla carica di senatore; cui seguirà nel 1968 la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti, in contrapposizione alla politica del presidente uscente Lindon Johnson, artefice dell’escalation della guerra in Vietnam. Guerra su cui il senatore non fu mai d’accordo. Sostenitore dei diritti civili si trovò, invece, d’accordo con il reverendo King, per condividere ideali politici e umani.
“Ci stiamo accorgendo che non basta dare a un uomo vitto, vesti, alloggio, lavoro. Ci stiamo accorgendo che la cosa importante è invece aiutare l’uomo ad aiutarsi.” ‒ Robert Kennedy
Coadiuvato da Arthur Schlesinger, già collaboratore di John Kennedy, tutto sembrava procedere nella giusta direzione, affinchè il senatore rispondesse con maniera decisa alle richieste del paese. Aveva infatti l’appoggio dei pacifisti, dei nonviolenti come dei neri, sebbene Luther King fosse già morto.
Durante i suoi discorsi elettorali Robert Kennedy era solito soffermarsi su concetti quali amore e compassione, principi che avrebbero dovuto essere veicolo per gli esseri umani verso una maggiore comprensione. Fatto inusuale, ebbe modo di criticare il PIL, l’indicatore di benessere, in un’epoca in cui il concetto non era così determinante come ai nostri giorni.
“In ogni momento, in ogni paese, ci sono persone che cercano di fermare la storia.” ‒ Robert Kennedy
Vincendo le primarie in diversi stati, la campagna elettorale sembrava portarlo senza difficoltà alla Casa Bianca.
Per festeggiare la vittoria nelle primarie californiane fu a Los Angeles che Kennedy incontrò i suoi sostenitori; ma, dopo il discorso di saluto, mentre veniva fatto allontanare dall’hotel attraverso le cucine, nella sua direzione vennero esplosi numerosi colpi di pistola, sotto gli occhi del personale e di reporter presenti, che filmarono la drammatica scena. Oltre a lui, nell’attentato vennero colpite più persone, in maniera più o meno grave.
Soccorso nell’immediato, all’età di 42 anni, Robert Kennedy spirava all’alba del 6 giugno 1968, lasciando una vedova inconsolabile e ben undici figli, la più piccola dei quali non conoscerà mai suo padre.
“Il mio punto di vista sul controllo delle nascite è leggermente distorto dal fatto di essere settimo di nove fratelli.” ‒ Robert Kennedy
All’indomani dell’attentato, l’autopsia rilevò una ferita d’ama da fuoco alla tempia desta, a confermare la micidiale lesione cerebrale subita.
Ma, ai risultati dell’autopsia effettuata sul corpo del senatore, non fu data l’importanza che avrebbero meritato. Da qui, nacquero varie ipotesi sull’attentato, la più accreditata dei quali fu quella di un complotto ordito da persone vicine al senatore. Sospetto che non venne a cadere nemmeno con l’arresto dell’attentatore, un uomo di origine giordana, fermato nell’immediato e successivamente condannato all’ergastolo.
Si disse che il revolver dell’omicida non era così efficiente e in grado di esplodere i numerosi colpi di pistola che furono esplosi: Sirhan Sirhan sarebbe stato quindi un elemento di disturbo per distrarre i presenti. In realtà c’era un altro uomo per uccidere il senatore, un sicario ben armato.
“E gli altri? Come stanno gli altri?”
Avrebbe pronunciato il senatore nell’immediatezza del fatto, per poi cadere preda di un profondo coma.
L’ipotesi del complotto con il passare del tempo venne presa sempre più in considerazione, anche perché foto e reperti dell’attentato non furono ritrovati, forse furono distrutti.
Inoltre, spuntò una registrazione audio di un reporter polacco che registrò numerosi colpi sparati, e non soltanto gli otto di cui l’arma del giordano poteva godere.
Fu inoltre ipotizzato che un possibile mandante dell’assassinio del Kennedy fosse il sindacalista Jimmy Hoffa, contro cui Robert Kennedy aveva testimoniato.
Ma furono anche altre le supposizioni lanciate sulle possibili cause che diedero la morte al senatore, ma quelle da accreditarsi come più probabili furono poi tralasciate.
Una cosa comunque è certa: tuttora, a cinquant’anni di distanza dal gravissimo fatto di sangue, la morte di Kennedy rimane un omicidio insoluto, avvolto da un velo nebuloso a nascondere il tutto.
Quindi, è opportuno chiedersi: sarà mai fatta piena luce su ciò che accadde il 6 giugno 1968, all’uscita dall’hotel di Los Angeles, dove lo scomodo senatore e probabile futuro presidente degli Stati Uniti, che aveva a cuore gli interessi del suo paese, si preparava ad assumere una carica fra le più importanti al mondo?
Risposta quanto mai complessa, a cui soltanto il tempo, anche se di tempo ne è già trascorso molto, potrà dare un responso veritiero.
“Ci sono coloro che guardano le cose come sono, e si chiedono perché. Io sogno cose che non ci sono mai state, e mi chiedo perché no.” ‒ Robert Kennedy citando G. B. Shaw
Written by Carolina Colombi
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Articolo su John Fitzgerald Kennedy
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