John Fitzgerald Kennedy, 35° presidente degli Stati Uniti: una vita, una tragedia
“Kennedy è il candidato presidenziale la cui immagine popolare contrasta più aspramente con la sua reale personalità. L’impressione generale è quella di un democratico energico ed esuberante. Dietro la sua maschera giovanile si cela una personalità assai complessa…” – The Economist, dicembre 1959
Vincendo di stretta misura su Richard Nixon, nel 1960 John Fitzgerald Kennedy viene eletto presidente degli Stati Uniti. 35esimo presidente americano, il quale porta una ventata di speranza nel XX secolo, lasciando dietro di sé un segno tangibile del suo passaggio.
“Io sono cattolico, non ho mai frequentato scuole parrocchiali eppure i miei genitori non sono mai stati esclusi dai sacramenti!” – John Kennedy
Nato in Massachusetts nel 1917 da una famiglia cattolica di origine irlandese e appartenente alla buona borghesia cittadina, in compagnia dei numerosi fratelli e sorelle trascorre le vacanze estive a Cape Cod, luogo deputato a soggiorni per persone benestanti. Qui, i giovani Kennedy praticano ogni tipo di sport a livello agonistico, i quali si concludono sempre con allegre sfuriate fra John e il fratello maggiore Joe. Uno spirito di competizione che non si limita ai giochi, perché incoraggiati dal loro padre, il quale esercita sui figli un’influenza al fine di farli eccellere, sono ben determinati a seguire i suoi insegnamenti.
È il 1937 quando John è impegnato a seguire i corsi universitari ad Harvard, che si concludono nel 1940 con una tesi di laurea sulle relazioni tra le potenze occidentali e Adolf Hitler; nello stesso anno suo padre viene nominato ambasciatore degli Stati Uniti presso la sede di Londra.
Joseph Kennedy è un osservatore attento degli eventi che si profilano all’orizzonte, portatori di un nuovo conflitto il quale vedrà anche gli Stati Uniti intervenire sullo scenario bellico internazionale.
Una situazione politica instabile, quindi, con venti di guerra che spirano sull’Europa e che iniziano a concretizzarsi con l’invasione della Polonia da parte di Adolf Hitler.
Il 1940 porta con sé incertezza e inquietudine, aspetti questi, che probabilmente portano il giovane Kennedy a decidere di arruolarsi in marina. Anche se, suo malgrado, viene destinato a lavori sedentari, a causa di un trauma subito da ragazzo alla spina dorsale.
Ma l’attacco alla base americana di Pearl Harbour, 7 dicembre 1941, lo spinge a voler partecipare ad azioni operative, più che a stare chiuso in ufficio.
Con la destinazione Pacifico meridionale si trova a combattere la guerra in prima linea. Una guerra che si fa sempre più cruenta, tanto che gli americani rispondono prontamente ai giapponesi con lo scopo di opporsi alle loro offensive. Se non che, durante un contrattacco aereo navale, la motosilurante comandata da John Kennedy viene speronata da un cacciatorpediniere nipponico. Dei 13 uomini d’equipaggio, 11 rimangono uccisi, mentre il giovane comandante si presta oltre misura per salvare i feriti mettendo a rischio la propria vita. Occasione durante la quale dimostra un coraggio sorprendente, che gli assicura una decorazione con due medaglie al valore, e gli permette di offrirsi ai suoi concittadini come un eroe.
Ma le avversità per il giovane Kennedy sembrano non finire: la sua salute è sempre più precaria, a causa anche della malaria contratta in Asia.
La morte in battaglia del fratello Joe è un ulteriore schiaffo emotivo per John che, terminata la guerra, tenta la strada del giornalismo in veste di inviato speciale: sarà presente alla sconfitta elettorale di Winston Churchill. Ma la vocazione per il giornalismo viene meno quando il padre lo spinge a dedicarsi alla carriera politica, mobilitando a suo favore tutte le forze del loro ‘clan’. Nonostante i politici di Boston non gli diano molto credito, liquidando il giovane Kennedy come un ‘poor little rich kid’.
Ugualmente, nel 1946 viene eletto alla Camera dei rappresentanti e successivamente al Senato. Lasciandosi guidare dalla politica sociale di Harry S. Truman (Fair Deal) il futuro presidente interviene su di un progetto riguardante una proposta di edilizia volta ad assicurare una casa ai meno abbienti e ai reduci di guerra.
Dopo un breve periodo un nuovo lutto colpisce i Kennedy, che vedono morire in un incidente uno dei membri della famiglia a cui John è più affezionato: la sorella Kathleen che perde la vita in una sciagura aerea.
“Per il secondo anno consecutivo Jacqueline Kennedy è stata proclamata la donna meglio vestita del mondo…” – La stampa, 1962
Quando, nel 1953, John sposa Jacqueline, il matrimonio sembra il coronamento di una bella favola d’amore, che però favola d’amore non sarà, a causa dei continui tradimenti del futuro presidente, che non perde occasione per intrecciare legami con donne diverse dalla propria consorte.
Mentre nel 1957 John Kennedy diventa padre per la prima volta di Caroline. Dopo vicende alterne assume la leadership del partito democratico e si candida alla presidenza. Campagna politica da cui uscirà vincitore, sconfiggendo il vicepresidente uscente.
È dunque il 1960 quando John Kennedy è il presidente di tutti gli americani, ai quali si presenta come un politico dal volto nuovo e limpido. In effetti sarà il più giovane presidente eletto fino a quel momento, e primo cattolico designato a quella carica; fedele alla tradizione progressista, la sua presenza suscita grande popolarità.
“Fu una corte movimentata, non ci vedemmo per più di sei mesi, perché io tornai in Europa e John passò l’estate nel Massachusetts a preparare la campagna elettorale…” – Jackie Kennedy
La ‘nuova frontiera’ sarà uno dei motti che contraddistingue la presidenza di Kennedy, espressione che prospetta nuove conquiste sociali in commistione con un nuovo piano economico, programmi che vanno di pari passo con il suo agire politico, volto soprattutto a fare dell’America un paese sempre più forte e in competizione con l’URSS.
Accanto alla figura di Kennedy, portatore di nuove aspettative, si affiancano altre figure, anch’esse manifestazione del cambiamento. A Roma, sul soglio papale, a ricoprire il ruolo di Pontefice c’è Giovanni XXIII, riferimento spirituale dotato di grande umanità, e perciò acclamato come messaggero di innovazioni sociali e religiose.
Mentre, a guidare l’Unione Sovietica è Nikita Krusciov, che pare essere anch’esso essere figura di ampie vedute, con cui è possibile stabilire un onesto confronto. Tre figure che si aprono su di uno scenario reduce dai postumi della Seconda guerra mondiale, nonostante dalla fine del conflitto sia trascorso un arco temporale piuttosto ampio. Tre uomini che incarnano la speranza di un periodo di pace auspicato dalla gente comune, ancora frastornata dai postumi della guerra.
Ma, per tornare alla presidenza di John Kennedy, occorre ricordare che il programma del nuovo presidente prevede riforme fondate su alcuni punti programmatici ben precisi, la lotta alla povertà e alla discriminazione fra questi, elementi fondamentali su cui Kennedy desidera edificare la sua presidenza. Discriminazione intesa soprattutto come segregazione razziale nei confronti dei neri, ancora vigente in alcuni stati del sud dell’Unione. A supportare tale rivendicazione interviene il reverendo Martin Luther King, che si fa promotore della battaglia per i diritti civili con il metodo della non violenza. Rivendicazioni che però suscitano la violenta opposizione del Ku Klux Klan, organizzazione di destra dai chiari connotati razzisti.
Sarà la Corte Suprema a esprimersi, con una sentenza inaspettata all’epoca in cui viene formulata una dichiarazione in cui si sanciscono i diritti dei neri, oltre che l’abolizione della segregazione sui mezzi di trasporto pubblico e nelle scuole. Anche se il cambiamento è soprattutto nella forma più che nella sostanza, perché in concretezza il percorso da portare avanti, per una totale parità dei diritti fra bianchi e neri, sarà ancora lungo e irto di ostacoli.
Saranno molti gli eventi che Kennedy deve affrontare nel corso della sua presidenza, e che lo portano a confrontarsi con statisti i quali hanno contribuito a fare degli anni ’60 un periodo colmo di fermento con inevitabili risvolti politici.
In politica estera, Kennedy, a differenza della politica interna votata a dare un volto maggiormente democratico all’America, ha un atteggiamento ambivalente. Tesa da un lato a favorire la pace a livello mondiale e la distensione con il blocco sovietico, ma per altri aspetti è politica tesa a garantire gli interessi americani e soprattutto a difendere il paese da interventi esterni.
Terminata la Seconda guerra mondiale, un nuovo ordine fa da contrappeso ai rapporti tra vincitori e vinti, che determina un riassetto degli equilibri internazionali, i quali ruotano intorno alle due superpotenze di USA e URSS, principali autori della sconfitta del nazifascismo.
Francia e Inghilterra, vittime di una devastazione economica e sociale non sono più potenze egemoni sulla scena mondiale come erano grazie anche al fenomeno del colonialismo. La decolonizzazione infatti vede in Asia e in Africa il costituirsi di stati indipendenti.
Sono dunque le due superpotenze a spartirsi il mondo secondo sfere d’influenza. Pur non arrivando a fronteggiarsi in una nuova guerra, entrambe esprimono la loro rivalità appoggiando conflitti locali in paesi schierati dall’una o dall’altra parte, e mettendo in atto la cosiddetta ‘guerra fredda’, un’ostilità politica che non sfocia in un conflitto diretto. Inoltre, i due blocchi contrapposti sono espressione di sistemi sociali e politici agli antipodi fra loro.
Il capitalismo americano sostiene la democrazia liberale e il pluralismo politico, escludendo la diffusione dell’ideologia comunista, avversata in maniera forte dal senatore John McCarthy, che della sua avversione ne fa una ‘crociata anticomunista’.
L’economia di mercato del sistema capitalistico si fonda sulla concorrenza, e privilegia un’etica individualistica alla cui base sta il concetto di libertà, di ampia interpretazione.
A differenza del modello collettivistico sovietico, il cui potere politico, militare ed economico è in mano al Partito comunista, il quale non è avvezzo a qualsiasi dialettica democratica. Modello che non prevede un’imprenditoria privata, e pianifica il modello economico su basi statali. Soffocando l’individualità a favore del bene comune.
Nella conferenza di Jalta, sul mar Nero, nel 1945 Churchill, Roosevelt e Stalin prendono accordi per dare alla Germania un assetto che sia motivo di equilibrio e non di scontro. Sono quattro le zone in funzione delle sfere d’influenza. La parte orientale è ceduta al controllo sovietico, la quale accanto agli altri paesi, già d’influenza sovietica, forma un unico blocco dove vige il regime comunista.
Mentre il blocco opposto, a influenza americana, è rappresentato dai paesi dell’Europa occidentale.
Anche Berlino subisce la sorte della nazione di cui fa parte. Anch’essa è divisa in diverse zone. Fisicamente è posta nella parte di competenza sovietica, ma la città è divisa in Berlino ovest, il settore occupato dagli alleati, e Berlino est, controllato dai sovietici.
Questione precaria quella berlinese, che nel 1961 richiede un incontro fra i due leader, Kennedy e Krusciov, i quali però non si trovano d’accordo sulle decisioni da prendere.
Ragione per cui i negoziati non hanno alcun esito, e Berlino viene separata dalla costruzione di un muro; a detta dell’URSS costruito soltanto per impedire le fughe verso l’Occidente. Comunque, la questione è molto complessa e non facile di cui dare conto, che non può essere soddisfatta in poche righe.
Il 26 giugno 1963 Kennedy visita Berlino Ovest e tiene un discorso in cui critica la costruzione del Muro di Berlino. Il discorso è noto per la sua famosa frase pronunciata in tedesco e salutata dai berlinesi con una grande ovazione.
“Ich bin ein Berliner” (Io sono berlinese). – John Fitzgerald Kennedy
Ed è in questo stesso periodo che il presidente deve fronteggiare un’altra situazione alquanto spinosa, maggiore per il coinvolgimento a livello globale, rispetto alla spartizione della città di Berlino. Che vede Kennedy impegnato in un duro confronto con Cuba, alla cui guida si trova Fidel Castro, il quale ha avuto la meglio sul dittatore Batista, appoggiato dagli Stati Uniti e che di Cuba aveva fatto un luogo di piacere frequentato per ‘svaghi’ non proprio edificanti.
Non tutti però approvano la presenza di Fidel Castro alla guida di Cuba, e alcuni esuli, rifugiatisi in America, mettono in atto un tentativo di sollevazione per invadere l’isola caraibica. Tentativo che però si conclude con un fallimento.
Ma è il movente che dà vita a tensioni e nuovi conflitti fra i due contendenti di sempre. Non un incidente soltanto diplomatico, ma uno scontro che sarebbe potuto sfociare in un conflitto con l’impiego di armi nucleari, un pericolosissimo scontro armato che non riguarda solo gli Stati Uniti e Cuba, ma dal riverbero mondiale, date le micidiali armi che potenzialmente potevano essere impiegate.
Fidel Castro, nel timore di un nuovo tentativo di invasione si lega economicamente e militarmente all’URSS, che inizia ad installare missili nucleari sull’isola. Quando gli aerei-spia americani scoprono le basi missilistiche Kennedy ordina il blocco navale per impedire ai sovietici di raggiungere l’isola. Il mondo sta con il fiato sospeso per sei lunghi giorni, durante i quali i due si affrontano senza che nessuno dei due, ceda sulla propria presa di posizione.
Infine, Kennedy si dichiara disposto a ritirare le minacce, e a non appoggiare un qualsiasi tipo di intervento sull’isola, mentre i sovietici, d’accordo con Cuba, tolgono i missili. Episodio che apre una fase distensiva dei rapporti, che si trasforma in una coesistenza competitiva. Competizione che si manifesta con eventi in molti ambiti, le esplorazioni spaziali sono uno di questi, al fine di cercare di mostrarsi forti.
“Voglio che una cosa sia chiara: quando mettemmo i missili a Cuba, non avevamo nessuna intenzione di iniziare una guerra. Anzi, il nostro scopo era scoraggiare l’America dall’iniziarne una…” – Nikita Krusciov
L’uscita di scena dei due protagonisti è il finale con cui si concludono le speranze che il presidente e il mondo intero aveva riposto nella sua amministrazione. Nel 1964 Nikita Krusciov viene estromesso da tutte le cariche.
Mentre per Kennedy, il suo breve ma intenso mandato termina il 22 novembre 1963, quando Lee Harvey Oswald lo ferisce a morte mentre è in visita in Texas, a Dallas. A Kennedy succede Johnson, il cui nome è legato alla guerra del Vietnam terminata nel 1975.
Sulla sua morte si sono fatte molte ipotesi, tra le più accreditate emerge quella che vuole la mano di gruppi di potere americani minacciati dalla politica democratica messa in atto da John Kennedy.
“John è entrato in politica soltanto quando è morto Joe. Doveva essere Joe il politico della famiglia. Quando morì John prese il suo posto…”
Written by Carolina Colombi
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