FEFF 2018: Sezione Competition – “Steel Rain” di Yang Woo-seok
La 20esima edizione del Far East Film Festival, che non si può dire si svolga più solo nella sede storica di Udine in quanto da quest’anno come main media partner ha dalla sua niente meno che Rai 4, è cominciata coi botti: botti che Oubliette Magazine, in web media partnership con l’evento per il terzo anno consecutivo, non poteva lasciarsi sfuggire.

Quelli dei 6 furiosi tamburi Taiko che han fatto tremare le pareti del Teatro Nuovo han preceduto le raffiche di colpi d’arma da fuoco con cui Yang Woo-seok ha voluto si potesse identificare con facilità la sua nuova fatica, “Steel Rain”, grazie alla quale torna al FEFF quattro anni dopo esservi risultato insignito del Black Dragon Award con la primissima prova in cabina di regia, “The Attorney” (“Byeon-ho-in” in originale).
Opera che appare audace fin dalla sua forma cartacea, risulta in realtà per chi scrive il meno convincente fra gli ultimi tre titoli d’apertura del festival, dietro all’indelebile “The Tiger” di Park Hoon-jung e a “Survival Family” di Shinobu Yaguchi.
L’idea di base è indubbiamente assai fertile: fintanto che Kim Jong-un è privo di sensi, vittima di un golpe cui non può opporsi in alcun modo, l’agente dell’esercito nordcoreano Cheol-woo (Jung Woo-sung) si adopera in ogni modo per sottrarlo ai traditori, spostandosi verso il confine meridionale fino ad oltrepassarlo. Dalla direzione opposta si mobilita Cheol-woo (sic, interpretato da Kwak Do-won), sostituto segretario alla sicurezza appartenente al fronte nemico.
Le strade dei due finiscono per convergere, così come collimano i loro desideri più impellenti: evitare lo scatenarsi di una guerra nucleare che coinvolga non solo le due Coree, ma anche Cina, Giappone, Russia e USA, per citare solo le potenze principali.
Lo scopo ultimo non autorizza però di per sé una collaborazione serena: i due e gli schieramenti che rappresentano costringeranno gli uni gli altri a scendere a compromessi rischiosi, anche ai danni delle non sempre inquadrabili mediazioni dei potentati qualora contrarie ai piani architettati dal basso, ovviamente contraddistinti da maggior lucidità e interesse per la salvaguardia di quanti più esseri umani possibili.

“Steel Rain”, che fin dal titolo allude alla crudeltà materializzata in quell’emblematica categoria di missili che esplodono in mille frammenti, per evocare una più fitta e diversificata pioggia di ordigni che sembra non concedere tregua lungo l’intero arco della vicenda, si propone dunque come blockbuster antibellicista, senza tuttavia accennare ad alcun risparmio nella messinscena della violenza.
Vero è che le numerose interferenze fra compagini guerrafondaie e pacifiste possono attribuire agli scontri una ricorrenza tutto sommato non difficile da accettare; d’altra parte, l’intento di rendere attraverso le avventurose peregrinazioni dei protagonisti un percorso verso l’armistizio che suoni sofferto non può dirsi pienamente realizzato.
Si corre il rischio che al pubblico straniero (discorso differente meriterebbe quello autoctono, accorso in massa alle sale lo scorso dicembre) restino impressi con maggiore, eccessiva incisività i frutti di una sceneggiatura che concilia senza eccellere l’intrico di tecnicismi e i momenti di distensione fondati sulla canzonatura reciproca, interessi questa i gusti musicali piuttosto che culinari, e di un soggetto che ibridando dramma bellico, thriller politico, di spionaggio e d’azione alterna il proprio volto più nazionalistico e ispirato, assunto dai convincenti primattori, a quello schiettamente spettacolare, generalmente godibile ma a tratti necessitante di una sospensione dell’incredulità cui si sarebbe anche potuto (e voluto) non ricorrere.
Voto al film
Written by Raffaele Lazzaroni
Info
Articolo d’apertura FEFF 2016 – “The Tiger”
Articolo d’apertura FEFF 2017 – “Survival Family”