“Le catene delle stelle” di Federica Mormando: il linguaggio privilegiato nell’universo della psiche
Federica Mormando è psichiatra, psicoterapeuta, giornalista. Esperta di bambini e adulti con altissimi potenziali intellettivi e di percorsi educativi mirati, nonché presidente di importanti associazioni che operano per la valorizzazione dei talenti artistici, come Eurotalent Italia e Uman Ingenium. È autrice di narrativa, saggistica e poesia, di testi musicali per spettacoli teatrali e vincitrice di prestigiosi premi letterari.

Di Federica Mormando avevo già letto e commentato Vai qui! Poi la curiosità di approfondire la conoscenza dell’autrice e della sua opera mi ha spinta a intraprendere la lettura di Le catene delle stelle, pubblicato nel 2015, nella collana Karme di poesia della Kimerik. Un’opera breve, ma intensissima.
“Alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, ritengo che il linguaggio più appropriato per trattare delle realtà psichiche sia quello poetico.”
Così ci introduce nel suo libro Federica Mormando che, per formazione e professionalità, ben sa e chiaramente conferma, che la poesia non è certo l’unico, ma uno tra i tanti linguaggi che possono, in parte, descrivere realtà e stati della psiche. Ma come la poesia, nessuno. Privilegiato perché immaginifico, grande, ampio e meraviglioso. Induttivo e deduttivo, sconfinato. Lascia spazio a chi, in modo diretto o indiretto, si racconta e a chi questo racconto ha occasione di leggere.
Ne è una conferma anche la breve e acuta prefazione di Elio Pecora che, evidenziando la brevità del verso chiaro e veloce e del componimento, pone poi l’accento sulla spinta a intendere l’altro.
Una breve galleria di tipi umani e psichici, di esistenze irrequiete, ha occasione, qui, di presentarsi: il demente, l’autistico, lo psicotico, il genio e l’analista stesso. Vibrano continuamente nella ricerca di un sé autentico, tra mille emozioni e sentimenti discordanti.
Due le sezioni: La scelta di sé e Follia. La prima offre spazio e parole alla manifestazione di sette figure, sette tipi umani e patologici insieme, mentre nella seconda si possono leggere nove testi, l’ultimo dei quali specificamente destinato al lettore, ai lettori tutti del mondo, dell’umanità. Così vediamo che per il “normale” è tutto nero o bianco, brilla (o si oscura?) nella nettezza, con rare oscillazioni, mentre, al contrario, per il demente è perenne fuga, un moto sconvolto perpetuo, un continuo oscillare di emozioni. L’autistico invece è fermo, non è giunto.
La sua incomunicabilità è rappresentata da un canto di sirena umana. Poi le psicosi e il loro delirio, poi il genio, oltre gli istituiti sì e no, oltre ciò che è evidente ai più, che deve passare per l’accettazione della propria superiorità, il sé nulla scontato.
Anche la religione, incarnata nella figura sacerdotale, ha la sua aberrante deviazione: è un delirio la fede, soluzione che non pone tutti sullo stesso piano decisionale. L’analista, infine, che trova la norma di sé nella follia degli altri, in un confronto continuo, in uno stabilire continue linee di demarcazione a fissare gli Io diversi, contenerli, definirli. Ma, infine, è uno specchiarsi e un riconoscersi nell’altro l’ammissione lucida e disincantata; Curo negli altri/ ciò che non oso.

Il folle non ha limiti, ciò che vede e fa va oltre le stesse leggi fisiche, può tagliare col suo lungo coltello le catene che tengono le stelle vincolate alla volta celeste, più forte di Dio. Ma come nasce la follia?
Federica Mormando, torna, in poesie autobiografiche al suo mondo di bambina, al suo difficilissimo rapporto con la madre, al senso distorto e invertito di cattiveria, all’annullamento del sé e delle proprie capacità e potenzialità, soffocate. Follia, dunque, anche come conseguenza traumatica, come frutto di relazioni familiari malate, come reazione mimetica che ripropone schematicamente comportamenti subiti, in modo attivo e come ulteriore possibile difesa da altri mali, nell’attacco.
Così si alternano un Lui (il padre) e io, un Lei (la madre) e io, immagini genitoriali opposte, amate di amori speciali, capaci anche di rinnegare se stessi, nascondendolo, salvaguardando un’immagine mitica, archetipica.
Come ci si salva? Cogliendo frantumi di tempo, stranezza, in un gesto simbolico, certo, che racchiude la cura per gli attimi, da altri distrattamente perduti per sempre.
Poi, un ultimo appello, un messaggio accorato e pieno di insopprimibile speranza, che addita nella Conoscenza degli uomini, contro ogni forma di ignoranza e pregiudizio, la via della felicità e della libertà di cuore e mente.
Written by Katia Debora Melis
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