Sardegna da scoprire #15: il Nuraghe Arrubiu di Orroli, anche chiamato il Gigante Rosso
Il Sud, finalmente.
Naturalmente il caldo continua a perseguitarci anche se scegliamo di fare la strada che passa da Laconi, più fresca.
Poi non posso mancare di portare un omaggio ai luoghi da dove partirono i Lacon, famiglia che diede Giudici a tutti e quattro i Giudicati, orgoglio nazionale per tutti i sardi e una delle leggi più progressiste del Medio Evo al mondo. È personalmente cara, Laconi, perché è da dove partirono, al seguito dei primi Giudici, i miei antenati.
Ci godiamo il viaggio, distratti dalle bellezze naturali, ringraziando la tecnologia che ha infilato i condizionatori nelle automobili.
Oggi la nostra meta è il Nuraghe Arrubiu di Orroli.
Cominciamo qui l’esplorazione del Sud dell’Isola per una scelta ben precisa. Siamo ai confini con la Barbagia, quindi giochiamo quasi in casa!
Scherzi a parte se non si visita il Gigante Rosso non si può capire veramente quanto fosse monumentale, complessa, raffinata la Civiltà Nuragica.
Naturalmente rischiamo di perderci, prima di imboccare la strada giusta, ben fuori il paese di Orroli, che ci conduce al Nuraghe.
Ma alla fine arriviamo, siamo tenaci, noi esploratori del passato. Lo spettacolo è assicurato.
Il monumento era alto, in antichità, quasi trenta metri, nel punto più alto, la torre centrale.
Ora è alto diciassette metri, ma non è l’altezza che impressiona.
La torre centrale è circondata da altre cinque torri, unite da una cortina muraria. A loro volta questa cortina è protetta da un’altra cinta muraria interrotta da sette torri.
Una terza cinta muraria, slegata dalle altre due, ci regala altre torri, per un totale di ventuno.
Non badiamo alla ricostruzione di alcune capanne del villaggio che circondava il nuraghe, la vista di questo immenso monumento, il più grande della Sardegna, attira tutta la nostra attenzione.
Il colore rosso dei licheni che coprono le antiche pietre è suggestivo, ma agli occhi dello studioso interessa più la strana disposizione delle pietre di due torri della cinta interna, a lama di coltello, come fossero residui di un’epoca precedente, megalitica.
Ma questa tecnica di costruzione da all’intero monumento un’aria leggera, slanciata, gotica quasi.
Poi l’interno e le sue sorprese.
Nel cortile centrale, un tempo sigillato dal crollo della torre grande, si aprono i passaggi per torri e muraglie.
Ogni torre nasconde un mistero. La torre centrale ed il suo vaso miceneo, che testimonia gli assidui contatti con quella civiltà, spesso contatti violenti.
Poi la torre adibita a mensa, dove persistono tracce di focolari, di forni, di stoviglie e dispense.
E la Torre delle donne, con le aperture create dalle pietre messe a coltello, ariosa e luminosa, dove sono stati trovati fusaiole, pesi di telaio e segni dell’uso tessile degli spazi. Me la immagino intonacata e con le curve pareti protette da leggere tende di bianco lino, che coprono. Muovendosi appena, le ampie finestre, nei giorni in cui il vento si insinua fino nel cuore del Nuraghe.
Ma il cortile stesso è una sorpresa.
Il pozzo, che non è un pozzo ma un deposito di raccolta per l’acqua piovana, instradata verso il pozzo da una serie di canali scavati nella roccia del pavimento e, sorpresa, un ulteriore canale, che supera il cortile, passa sotto le possenti mura e disperde l’acqua all’esterno. È la canalina del “troppo pieno” creata per smaltire l’eccesso di acqua nel deposito, di sicuro la prima mai concepita in una così complessa architettura.
Le alte mura ci riparano dal sole e dal caldo, per cui ci sediamo ad ascoltare la simpatica e competente guida, che ci spiega quanto fosse importante quel nuraghe per l’economia del centro Sardegna e noi non ne dubitiamo.
Il mare è lontano, ma sentiamo anche li il fruscio dell’acqua sulle prore delle navi che viaggiavano tra la Sardegna e Micene.
Chi continua a dire che i Sardi non navigavano? Che la terra dei Shardana fosse isolata dal mondo? Balle, visitate il nuraghe Arrubiu, l’orgoglio della Sardegna, se volete aprire gli occhi.
Poi la guida ci parla di laboratori romani per la coltivazione della vite e la produzione del vino.
Del resto le ultime scoperte archeologiche in Sinis indicano che il vino, in Sardegna veniva prodotto ben prima che in ogni altra parte del Mediterraneo, nessuna sorpresa, quindi.
Ma la nostra mente ormai viaggia in un passato remoto, quando le torri erano integre e il Nuraghe ferveva di vita.
Mi pare di sentire le risate delle donne che si scambiano battute mentre lavorano ai telai, le urla delle cuoche che chiedono acqua ai Theraccos, i servi.
E sento parlare in tutte le lingue del mondo antico mentre i commercianti trattano merci e accordi.
Mi immagino i soldati di guardia parlare tra di loro, coi loro elmi cornuti, gli scudi rotondi e le spade di bronzo, uguali a quelli che, negli stessi anni, andavano a servire i Faraoni, in Egitto, aspettando il momento di distruggere i concorrenti nel commercio mediterraneo.
Written by Salvatore Barrocu
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