Intervista di Irene Gianeselli all’attrice Iaia Forte: il Teatro come spazio di immaginazione
«Mi rivolgo a voi, a quelli che, come me, bellissimi non lo sono mai stati. Quelli, insomma, che non è che una passa e vi muore dietro, magari non vi nota neanche e allora, è palese, resta una sola e unica arma nel vostro bagaglio, ma un’arma che può essere possente e smisurata e può smuovere le montagne: la parola» Tony Pagoda
Iaia Forte nasce a Napoli e si diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia. Debutta in teatro con Toni Servillo, e collabora a lungo con il gruppo Teatri Uniti. Sempre in teatro lavora con Leo De Bernardinis, Mario Martone, Carlo Cecchi, Federico Tiezzi, Valerio Binasco, Emma Dante, Alfonso Santagata, Luca Ronconi partecipando a spettacoli tra i più premiati dalla critica degli ultimi anni. Vince il premio della critica come migliore attrice per Il Misantropo con la regia di Servillo, il Fiorino Doro della società Dantesca, tre candidature al Premio Ubu. Ha esordito sul grande schermo con Libera di Pappi Corsicato, con cui ha interpretato anche I buchi neri, I Vesuviani, Chimera, Il volto di un’altra. Sempre al cinema ha lavorato con M. Nichetti, M. Ferreri, T. De Bernardi, M. Martone, R. De Maria M. Risi, E.Cappuccio, P. Greneeway, V. Golino ottenendo due Nastri d’Argento, due candidature al David di Donatello, un Globo D’oro, un Ciak d’oro, il premio Agis, il Linea d’ombra e un premio Sacher come miglior attrice protagonista. È una delle protagoniste del film premio Oscar La grande bellezza di P. Sorrentino. È tra i protagonisti de La vita oscena di R. De Maria, La nostra terra di G. Manfredonia e Il Giovane favoloso di M. Martone. Nel 2015 ha preso parte alla fiction Sotto copertura di G. Manfredonia e ha girato Squadra antimafia con R.De Maria. In teatro è protagonista di Hanno tutti ragione dal romanzo di P. Sorrentino, e della Morte di Danton con la regia di M. Martone. Ha collaborato come attrice con grandi musicisti come Danilo Rea, Steve Lacy, Daniele Sepe, Luigi Cinque e con l’Orchestra di Piazza Vittorio in una Carmen diretta da M. Martone e nell’Histoire du soldat diretta da Maddalena Maggi.
Iaia Forte ha debuttato dal 15 al 20 febbraio al Teatro i di Milano con il suo nuovo spettacolo Tony Pagoda – Ritorno in Italia (tratto dal romanzo di P. Sorrentino Hanno tutti ragione), nel quale interpreta proprio il cantante Tony Pagoda. «Nel primo spettacolo, Hanno tutti ragione, Pagoda è a New York, e canta al Radio city Music hall davanti a Sinatra – spiega Iaia Forte e aggiunge – in questo secondo lavoro lo ritroviamo ad Ascoli Piceno in un concerto di capodanno in cui, insieme ai suoi cavalli di battaglia canta standard americani, in una sorta di autocelebrazione del recente successo americano. Passata la mezzanotte, Pagoda si ritrova in un sordido ristorante con la sua corista a impartire lezioni sulla seduzione – compito che si fa più articolato quando non si è belli – e, dopo una serie di avventure al limite del surreale, finirà per decidere di abbandonare la carriera di cantante e di reinventarsi una vita in Sudamerica».
In questa intervista Iaia Forte racconta il suo Tony Pagoda ed il suo teatro.
I.G.: Ti ringrazio per la disponibilità. Ci racconti dei tuoi inizi, della tua esperienza al Centro Sperimentale di Cinematografia?
Iaia Forte: È stata una bellissima esperienza, ma più che per l’insegnamento reale della recitazione, per la possibilità di entrare in relazione con studenti – questa è una particolarità del Centro Sperimentale – di regia, montaggio, sceneggiatura e di creare insieme, di dare forma a un’utopia, di fare cinema. In questo senso sono stati due anni di formazione notevole. Poi ho avuto la possibilità di avere insegnanti come Ingrid Thulin, Giuseppe De Santis, Gianni Amelio, Gian Maria Volonté. Mi sono anche innamorata al Centro e mi sono sposata con mio marito da cui mi sono poi separata, ma con cui sono in ottimi rapporti. Insomma tante cose positive.
I.G. : Ci parli del tuo incontro con Toni Servillo?
Iaia Forte: Ho debuttato con Servillo in Partitura, il mio primo spettacolo. Facevamo un teatro molto sperimentale in cui il corpo era molto importante. Era una modalità di fare teatro che agli inizi degli Anni Novanta era molto più frequente di quanto non sia ora. Con de Berardinis avevo già fatto Ha da passà ‘a nuttata, una drammaturgia su Eduardo, ma Il Misantropo è stato poi il nostro primo classico come Teatri Uniti e il mio primo grande personaggio, ed è stato un passaggio fondamentale, perché insieme eravamo un gruppo. Ritengo che per un attore l’esperienza del gruppo sia fondamentale perché tutti gli elementi devono sentirsi creativi allo stesso modo del regista. Ciò che un gruppo richiede al singolo attore, oltre che la professionalità e l’apporto specifico della recitazione, è una partecipazione creativa e immaginativa. Quindi lavorare con la parola, con il verso di Molière meravigliosamente tradotto da Garboli è stato un passaggio per me fondamentale.
I.G.: Che tipo di lavoro deve sostenere un attore sul corpo?
Iaia Forte: Io venivo dalla danza, un mondo in cui la parola era meno determinante ma per me anche la parola è corpo. Voglio specificare subito che un attore senza corpo è un attore radiofonico. Anche nella parola ci deve essere la partecipazione del corpo. In quel caso c’era la danza e i movimenti del corpo erano più delle parole che erano poche. In quegli spettacoli la coreografia era più importante della parola. Quando abbiamo fatto Molière la parola era determinante, c’era il verso, ma io lavoravo quasi più come ballerina che come attrice vera e propria.
I.G.: Hai accennato alla tua esperienza con Leo de Berardinis.
Iaia Forte: Leo de Berardinis era molto accorto alla tecnica, per lui era molto importante, perché un attore se ha tecnica può superarla, altrimenti…
I.G.: A proposito di tecnica e di superamento. Louis Jouvet dice che bisogna “rinunciare a se stessi per far progredire se stessi”. Secondo te come si riesce a compiere questo miracolo in uno spettacolo come quello in cui interpreti Tony Pagoda?
Iaia Forte: Posso risponderti concretamente che una delle ragioni per cui ho scelto di fare Pagoda è proprio l’idea di rivendicare il teatro come uno spazio di immaginazione. In un momento in cui tutto è schiacciato dalla televisione, dalla bidimensionalità, il teatro può essere ancora un luogo dove l’immaginazione è sovrana e in questi termini è il luogo dove un attore può trasformarsi totalmente per fare ciò che la vita non permette di fare. E quindi una delle ragioni per cui ho deciso di interpretare Tony Pagoda, un maschio, non è solo la bella lingua di Sorrentino ma proprio l’idea di rivendicare il teatro come spazio dell’immaginazione.
I.G.: Come hai lavorato per interpretare Tony Pagoda, quali sono stati i processi per pensare lo spettacolo?
Iaia Forte: Prima di tutto fare la drammaturgia, mi piace molto lavorare sulle drammaturgie e secondo me quando fai personalmente la drammaturgia di un’opera in qualche maniera già lavori sulla regia e sul personaggio perché lo componi in atto, è una prima riflessione necessaria per l’approccio. Successivamente ho iniziato a immaginare che corpo, che voce potesse avere questo personaggio e considero che il lavoro più difficoltoso per interpretarlo è stato proprio il lavoro sul corpo, perché dovevo dargli un assetto completamente diverso, non volevo assolutamente fare di questo personaggio una macchietta o una parodia, non volevo nulla di grottesco, volevo che diventasse un personaggio a tutto tondo e quindi gli volevo dare una complessità da personaggio e dargli anche una voce che non lo spingessero in una caratterizzazione eccessiva.
I.G.: E come hai risolto la questione dell’interpretare un uomo?
Iaia Forte: Ho interpretato personaggi caratterizzati da aspetti che nella mia vita quotidiana non ho mai conosciuto quindi mi sono detta: “Perché non interpretare un uomo?”. Torniamo a quello che dicevo prima: se il teatro è ancora un luogo dell’immaginazione allora non è costretto nel realismo. Quindi non mi pongo il problema che il personaggio sia un uomo, come non me lo pongo quando devo interpretare una suora o un’assassina cioè cose che non conosco direttamente. Quindi il teatro ti da la possibilità di cogliere le sfide che ti offre.
I.G.: In Italia se ne vedono poche di queste sfide…
Iaia Forte: Ormai, io sono un po’ pessimista sulla situazione teatrale italiana, perché ovunque si tende a produrre e immaginare prodotti che sono di puro consumo. Il teatro sembra un bazar, con l’attore televisivo, con le cose messe su con un cinismo e una mancanza di necessità abbastanza aberranti. Secondo me sono bene accetti dei progetti che hanno anche una stravaganza e un rischio in sé. Altrimenti il teatro rischia di diventare un contenitore di “consigli per gli acquisti” che non è quello che mi aspetterei sia come attrice che come spettatrice.
I.G.: Tony Pagoda – Ritorno in Italia è il tuo nuovo spettacolo. Puoi parlarci della nuova messinscena?
Iaia Forte: In questo spettacolo dopo l’apice del successo newyorkese c’è il ritorno in Italia con avventure che spingeranno Padoga a scegliere una vita completamente diversa da quella che ha avuto fino a questo momento. Quindi abbandonare la canzone, le dissolutezze a cui è abituato per andarsene in un Paese straniero: ecco l’epilogo del personaggio. In questo spettacolo c’è anche una presenza femminile più forte, perché l’attrice che faceva con me la corista nel primo episodio, in questo ultimo incarna il femminino di Pagoda interpretando sia una cantante amante che la moglie. Il primo episodio era proprio un monologo, questo è più uno spettacolo. Insomma io mi ero talmente innamorata di questo personaggio che desideravo dargli ancora una possibilità di vita e declinarlo fino all’epilogo finale.
I.G.: Come pensi sia il rapporta tra Pagoda e la storia contemporanea, il tempo contemporaneo?
Iaia Forte: Io ritengo il personaggio di Pagoda profondamente contemporaneo. Assomiglia ai personaggi di Sorrentino (penso a Jep Gambardella de La grande bellezza). Sono personaggi dissoluti, disperati ma profondamente vitali e anche profondamente romantici. Ho pensato che il fatto che a interpretarlo fosse una donna potesse dargli naturalmente questa dimensione di fragilità, di disperazione più complessa dell’essere umano. Ha lo stesso male di vivere, di inquietudine, di vitalità e la sensazione di avere frantumato la propria vita nella mondanità dei contemporanei. E questa è la ragione che mi ha spinto a farlo.
I.G.: Il titolo del romanzo da cui è tratto lo spettacolo (Hanno tutti ragione) è molto allusivo: Sorrentino ha una tendenza a rilevare il decadimento ma al tempo stesso non rinuncia ad uno slancio vitale che si esprime nella sua lingua.
Iaia Forte: Viviamo una sorta di apocalisse, un’epoca di decadenza e Sorrentino sa guardare il presente, cogliere senza ipocrisie il contemporaneo in questi termini. Il suo sguardo coglie la nostra epoca, questo nostro momento storico in cui tutti sono sbandati, frantumati, incapaci di trovare il senso delle cose. E la lingua di Sorrentino è una delle ragioni per cui ho scelto di fare questo spettacolo. Mi piace l’idea di fare la drammaturgia contemporanea ma non sempre riesco a trovare delle cose che abbiano una lingua teatrale. Invece Sorrentino ha una lingua immediatamente teatrale, inventata, ritmica, con una grande capacità di restituirti le immagini. Ha una sorta di slang, non scrive in napoletano ma la sua radice dialettale è forte, quindi riesce a creare una lingua che non è letteraria, non è rigida ma che diventa immediatamente comunicativa.
I.G.: Anche La Grande Bellezza è un film che pone molta attenzione ai corpi dei personaggi che sembrano a volte partecipi di un processo di dissolvimento. Rispetto a Tony Pagoda e anche agli altri personaggi che hai già interpretato, pensi che questo processo di dissolvimento faccia parte di un percorso? Quasi tutti i protagonisti uomini di Sorrentino escono di scena in un modo particolare, come si dissolve Tony Pagoda?
Iaia Forte: Quando Pagoda decide di cambiare completamente vita e abbandonare il suo passato dice alla moglie: “Tu piangi perché credi che di vite ce ne sia una sola. Tu sbagli, di vite ce ne sono tre, forse quattro”. Questo è un tema della poetica di Sorrentino, secondo me: la possibilità di immaginare o come sogno o come messa in atto il farsi artefice di una vita diversa. Io personalmente ho sempre avuto questo sogno ma sono troppo vile per poterlo mettere in atto e quindi farlo mettere in atto da Pagoda mi compiace perché faccio eseguire a lui un sogno che appartiene anche a me personalmente. Naturalmente Sorrentino fa, secondo me, una cosa molto interessante: usa il prodotto rompendolo dall’interno, racconta sempre di nuclei, che siano societari o familiari, in disfacimento perché ha uno sguardo contemporaneo sulle cose, non ha l’ipocrisia di fingere e di raccontare un mondo che non è quello che viviamo.
I.G.: Tu fai spesso rifermento al legame tra amore e teatro. In questo caso qual è il legame tra teatro, amore e Tony Pagoda?
Iaia Forte: Il mio amore per Tony Pagoda. Io alterno lavori con grandi produzioni e grandi registi a lavori che sono personali e necessari per me. Ho scelto di fare Tony Pagoda per amore di questo personaggio. È l’amore o la necessità perché secondo me non c’è grande differenza fra queste due pulsioni. C’è una spinta misteriosa a volte non sempre completamente consapevole che ti rende necessario mettere in scena delle cose, dei personaggi, delle incarnazioni e dei mondi. La spinta è l’amore.
I.G.: Questo amore ci porta a parlare di Elsa Morante e della lettura che hai fatto de L’Isola di Arturo. Che lingua è quella della Morante e come hai lavorato su quel testo?
Iaia Forte: È vero! Sono profondamente innamorata della Morante e su quel romanzo ho lavorato facendo semplicemente la drammaturgia e scegliendo delle parti che potevano essere utili alla composizione di una lettura della durata di un’ora che però fosse significativa rispetto al testo. Non mi chiedo mai se il personaggio è uomo o donna, sono delle nature poetiche, non mi pongo proprio il problema di definirli. Mi interessava il difficilissimo passaggio dall’adolescenza all’età adulta che è incarnato dal protagonista e poi lavoro a quella materia. in quel momento è un frammento di anima che mi appartiene, la sessualità non è influente.
I.G.: Quindi ciò che ti interessa è lo spirito del personaggio?
Iaia Forte: Certo, è ciò che racconta, il suo mistero, la voglia di esplorarlo e poi per quanto riguarda il romanzo ti innamori del corpo narrativo. Davo voce a un romanzo, a una grande scrittrice, a un tema che trovo molto affascinante per tutti.
I.G.: A proposito di personaggi, di nature poetiche. Un altro importante spettacolo è l’Erodiade di Testori, ce ne parli?
Iaia Forte: Anche quello è stato un incontro folgorante con una lingua barocca, potente, visionaria che è quella di Testori. Sono molto colpita dalla natura linguistica dei testi. Avevo fatto Testori con Piezzi e avevo scoperto questo universo, quindi avevo voglia di esplorarlo ancora e mi interessava la figura di Erodiade. Io non sono credente però credo che il lavoro dell’attore sia evocativo e quindi implichi delle crisi e delle domande costanti e mi interessava anche la dimensione metateatrale che è fortissima nel testo ed è fortissima anche nella natura della vocazione di Erodiade.
I.G.: Per te esiste quindi la “vocazione” dell’attore?
Iaia Forte: La vocazione dell’attore come tutte le vere vocazioni è una dimensione che va messa in crisi: certamente esiste una spinta e qualcosa che ti fa sembrare profondamente necessario fare quel che fai, ma è fondamentale anche metterla in crisi. Le vere vocazioni sono quelle in cui non dai mai per dato il tuo credo. Lo metti in crisi, lo frantumi e lo recuperi con lo stesso movimento che ha la vita. Sì, è una vocazione conflittuale, difficile.
Written by Irene Gianeselli
Photo by Tommaso Salamina