Intervista di Federica Venezia a Liana Marino: la grazia e l’eleganza come antidoto ai problemi del nostro tempo
“Così soave rassomigli/ Il bianco fiore del ciliegio,/ E angelo, tu, fra la gente,/ Incontro alla mia vita sorgi.” – Mihai Eminescu
All’inizio dell’inverno ho conosciuto una brillante dottoressa che pratica agopuntura. Avevo già letto qualcosa al riguardo. È bene sapere che in alcuni punti, al momento dell’infissione, non è raro avvertire la sensazione di un morso d’insetto: l’imperativo è lasciarsi andare.
Ed è proprio durante una seduta pomeridiana che la voce di Liana Marino si è rivelata in modo del tutto inaspettato: sottile e carezzevole, coraggiosa nel porsi senza filtri al buon cuore di chi ascolta.
Fiorentina d’adozione, Liana è nata e cresciuta a Campobasso, capoluogo del piccolo e troppo spesso dimenticato Molise. Nel 2013 è uscito “La Grazia e l’Eleganza”, il suo primo EP autoprodotto, un lavoro tenue e a tratti schivo, baciato da un velo di saudade.
F.V.: Che cosa ti ha spinto a diventare una cantautrice? Raccontami un po’ di te.
Liana Marino: Dopo un certo periodo in cui ho suonato con diverse formazioni, proponendo cover di generi musicali differenti, ho sentito il bisogno di trovare una mia espressione artistica. Non pensavo di essere o di diventare una cantautrice, volevo solo provare a fare musica nuova. Nuova almeno per me. Inizialmente ho trovato in questa creatività un ottimo percorso “terapeutico”, per così dire, e per un certo periodo ho scritto semplicemente perché mi faceva stare bene. Ho scoperto in questo modo di avere qualcosa da dire e questo ha fatto nascere in me la necessità di continuare a farlo. Quando ho aperto le mie canzoni all’ascolto di un pubblico e ho cominciato ad avere un riscontro, allora sì, da allora mi sono riconosciuta come cantautrice. Insomma, è nata in me prima la necessità di esprimere qualcosa, poi la necessità di trovare un consenso esterno.
F.V.:Come definiresti il tuo stile musicale?
Liana Marino: In realtà non saprei definirlo. Non mi sento di inserirmi in uno stile preciso. Non rientro specificatamente nel pop, nel rock, nel folk né tantomeno nel jazz, ma allo stesso tempo prendo spunto da ognuno di essi, così come dalla musica popolare. Ho ascoltato -e ascolto- tanta musica diversa, e quando scrivo mi piace giocare con ritmi e atmosfere differenti e trovare soluzioni musicali nuove che non siano chiaramente riconoscibili in un genere specifico.
F.V.: Quali artisti ti hanno influenzato?
Liana Marino: Da ragazzina ho consumato i dischi di Pino Daniele, quel Pino Daniele che negli anni 80 scriveva di Napoli, del suo popolo, delle sue debolezze e della sua forza. È ascoltando lui che ho sentito il desiderio di suonare la chitarra. Avevo quattordici anni e volevo suonare come Pino Daniele. Ma di certo sono stata influenzata dalla molteplicità di artisti e generi che ho ascoltato negli anni, passavo dal jazz a De André, cantavo sui dischi di Joan Baez, Aretha Franklin, mi stupivo ascoltando il genio di Tom Waits. La lista rischia di diventare noiosamente lunga ma voglio citare Ani DiFranco, un’artista che mi catturò tanti anni fa per il suo modo particolare di suonare la chitarra, la sua capacità di essere allo stesso tempo semplice e grintosa e di esprimere rabbia con disarmante dolcezza.
F.V.: Le tue letture preferite.
Liana Marino: Quelle che mi regalano, o mi vengono consigliate. Mi affido spesso ai consigli degli altri. Mi ritrovo così a leggere diversi autori senza approfondirne nessuno. Nella lettura, così come nella musica, vario continuamente. Mi piacciono i romanzi, le storie intense, quelle raccontate così bene che ti sembra di farne parte. E poi mi piace leggere su carta, anche se devo assolutamente riconoscere la comodità e la praticità dei libri elettronici.
F.V.: Hai collaborato con Paolo Benvegnù, fondatore degli Scisma, gruppo alternative-rock cult degli anni 90; che ricordi hai di quel periodo? Come è cambiata la scena musicale italiana da allora?
Liana Marino: I primi ricordi che risalgono alla mente sono legati alle posse e a quel modo “alternativo” di alcuni gruppi di fare musica, ed in particolare alla scena napoletana e al fermento che in quegli anni produceva (i 99 Posse, gli Almamegretta, i 24 Grana, etc.). Le canzoni trattavano temi forti, di denuncia sociale, i messaggi erano chiaramente politici. Napoli era la realtà a me più vicina e che conoscevo meglio, ma in tutta Italia si respirava questa ondata. Allora gruppi di questo tipo avevano una larga diffusione, nonostante si rivolgessero a un pubblico inevitabilmente ristretto per le tematiche affrontate. Li vedevi in televisione, ospiti in trasmissioni musicali e i loro videoclip andavano in onda con una certa frequenza. Oggi questo non succede più. Chi fa musica “alternativa” è relegato a un ascolto di nicchia, deve trovare da sé dei canali per farsi conoscere, ascoltare. In quegli anni si suonava molto, i concerti erano tanti e vari. Anche per me, che ero una ragazzina e allora iniziavo a suonare sui palchi, ricordo che non era così difficile trovare gli spazi giusti, cosa adesso più complicata. C’era scambio tra musicisti, movimento di idee, collettività, la condivisione era reale. Oggi mi sembra che questo succeda meno, che ci sia maggiore individualità. Non nascono tanti gruppi come succedeva allora, ma ci sono invece molti nuovi cantautori. E inevitabilmente le canzoni sono legate più a delle esperienze personali, di vita quotidiana, più vicina, se si vuole, alla maggior parte delle persone. La scena musicale, rinnovata, mi sembra in parte cambiata in questo senso. Il modo di scrivere e raccontare è in generale meno arrabbiato. Che non sia questo il riflesso di un periodo di disillusione?
F.V: Gianmaria Testa, recentemente scomparso, ha inciso all’estero i suoi primi dischi: un artista mite e raffinato, apprezzato più Oltralpe che nel Belpaese; quanto è difficile andare controcorrente?
Liana Marino: Bisogna remare con molta energia, e questo è di certo un impegno non facile, che però rende più forti. Credo che, per alcune persone, sia più difficile accettare compromessi che vadano contro la propria natura, piuttosto che andare avanti per la propria strada, con le proprie idee e le proprie convinzioni, e scegliere, quando serve, di modificare in maniera coerente il proprio percorso. Gianmaria Testa è un bellissimo esempio di un artista che ha affermato se stesso senza svendersi, senza cercare scorciatoie, non è caduto nella “trappola della fama”. Si è preso il suo tempo. Si è guadagnato il suo spazio con eleganza e grande dignità. È stato onesto con se stesso e nei confronti del suo pubblico che col tempo è cresciuto sempre di più, e che ora lo piange come se avesse perso un parente o un caro amico. Si può essere persone di successo anche senza essere sulla bocca di tutti. Per certi versi credo sia anche meglio.
F.V.: So che stai pensando a un nuovo progetto. Qualche anticipazione?
Liana Marino: Sto lavorando su alcuni brani che rientreranno in un album di prossima uscita. Insieme ad alcuni bravi musicisti, che faranno parte di questo lavoro e con i quali sono attualmente impegnata nell’attività live, sto trovando la veste adatta per le canzoni del nuovo disco.
F.V.: Quanto conta per un autore lo studio di uno o più strumenti?
Liana Marino: Le mie canzoni nascono mentre suono. Posso pensare, immaginare una musica, ma per realizzarla concretamente ho bisogno di suonarla. Penso che la creatività musicale possa esistere in molti anche senza la conoscenza di uno strumento, anche se, dal mio punto di vista, questa è una condizione limitante. Lo strumento è il mezzo che ti permette di concretizzare delle idee e di trovarne nuove e ti rende quindi autonomo nella creazione di un brano. Vanno poi considerati due aspetti: conoscere la musica e saper suonare. Il secondo non dipende necessariamente dal primo, anche se conoscere la musica ti rende più consapevole del lavoro che stai facendo e ti permette di ampliare le possibilità di scrittura. Saper suonare più strumenti aumenta di certo queste possibilità.
F.V.: La storia italiana è legata ai cantautori; una tradizione che porta indietro nel tempo, all’epoca dei cantastorie, tra filastrocche e nenie. C’è ancora bisogno di cantautori?
Liana Marino: C’è bisogno di genuinità. Oggi molti cantautori cercano di differenziarsi seguendo un proprio stile. Abbiamo un retaggio legato alla storia della musica d’autore italiana molto forte, dal quale a volte non riusciamo a separarci. Questo rischia di farci assomigliare troppo a un modello, di farci scrivere “alla maniera di”. Rischia di farci raccontare quello che è stato già raccontato in un linguaggio che non ci appartiene più. È di questo che non c’è bisogno. Il confronto diventerebbe inevitabile, il giudizio (a volte poco felice) anche.
F.V.: Cosa vuol dire oggi scrivere una canzone?
Liana Marino: Credo che scrivere oggi non sia tanto diverso dal passato. Cambiano le tematiche, ma le esigenze restano le stesse. Si scrive per raccontare, per emozionare, per far riflettere, per denuncia sociale. E poi c’è il desiderio di creare qualcosa di bello, piacevole all’ascolto, sfruttando la possibilità di modellarlo con le parole, con la musica e con la molteplicità di strumenti e di suoni che, sempre di più, abbiamo a disposizione.
Written by Federica Venezia