“Non avrete il mio odio” di Antoine Leiris: la testimonianza di chi il 13 novembre 2015 a Parigi ha perso tutto
“Quelli che non hanno nessuno da incolpare sono soli con il loro dolore. Io mi sento uno di loro. Da solo con mio figlio che presto mi domanderà cos’è successo quella sera. Che cosa potrei dirgli se affidassi la responsabilità della nostra storia a un altro? Se lui dovesse rivolgersi a un altro per capire? La morte aspettava una madre quella sera, loro ne erano soltanto ambasciatori. Con una raffica di mitra hanno disperso le tessere del nostro puzzle. […] Non ritorneremo mai più alla nostra vita di prima. Ma non costruiremo una vita contro di loro. Procederemo invece nella nostra nuova vita.”
Hélène Muyal. Un nome sconosciuto, uno tra i tanti in mezzo alle 130 vittime degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015. Ma lo stesso non è per Antoine Leris, suo marito, la persona che attendeva il suo ritorno a casa quella sera, insieme a Melvil, il loro bambino di poco più di un anno.
Poi un SMS, le notizie alla televisione, comunicati inizialmente vaghi, infine quel nome, Bataclan, dove lei si trovava per assistere al concerto. Potrebbe essere salva, o ferita, ma no, lei non c’è più, la sua luna, la sua vita fino a quel momento. Aveva 35 anni, la musica li aveva uniti, la musica li ha separati, o forse ha solamente fatto in modo che i due non si separassero mai più.
Antoine sognava di scrivere un libro, voleva addirittura lasciare il lavoro per questo. E un libro alla fine l’ha scritto e l’ha anche fatto diventare famoso. Solamente non nel modo in cui avrebbe sperato. Quel libro è “Non avrete il mio odio” (Corbaccio, 2016), un inno alla vita nonostante la morte seminata da persone che sarebbero state condotte da chissà quale dio.
Persone che avevano come intento quello di seminare paura e odio, insicurezza e sfiducia nei confronti di tutto e tutti. Antoine ha deciso di non dare loro l’odio che avrebbero voluto, lo grida ad alta voce con ogni mezzo, per lui è stato, ed è, più importante pensare a come andare avanti con il loro bambino, ancora in tre, nonostante l’assenza della moglie.
“Se vi odiassi vi farei un regalo. È quello che cercate, ma rispondere all’odio con la collera sarebbe cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quello che siete. Volete che abbia paura, che guardi i miei concittadini con occhi diffidenti, che sacrifichi la mia libertà per la sicurezza. Partita persa. Il giocatore continua a giocare.”
I terroristi, che non sono di certo tra i protagonisti del libro, credevano di cancellare delle vite, distruggere una città tra le più importanti e di conseguenza appropriarsi di qualcosa che non è mai stato loro né mai lo sarà. In realtà hanno annullato la fisicità di 130 individui ma non la loro essenza, la loro presenza ancora così insistente.
Hanno creato un’unità ancora più forte e questo è ciò che specifica Antoine. Sua moglie, la madre di suo figlio, non è più tra loro fisicamente, ma il motivo non è in fondo così importante ai fini del futuro. Melvil vorrà conoscere la storia ma il padre farà in modo di non infondere in lui un sentimento negativo come quello dell’odio, non per cancellare una storia che apparterrà loro per sempre, ma per non darla vinta a chi avrebbe voluto che finisse in modo diverso.
Una testimonianza davvero toccante, poco più di cento pagine scritte di getto da leggere cogliendo ogni parola nel loro senso più profonde. Una storia per non dimenticare e per ragionare su ciò che è accaduto senza che nessuno potesse farci niente.
“Ma i momenti più belli della nostra vita non sono quelli che si incollano negli album dei ricordi. Mi vengono in mente tutti quelli in cui ci si concedeva soltanto il tempo di amarsi. Incrociare una coppia di anziani e voler assomigliare a loro. Una risata. Un mattino luminoso a poltrire tra le lenzuola. Quei momenti più insignificanti, in cui non c’è niente da dimostrare, niente da raccontare, sono i più belli. Sono quelli che popolano la mia memoria. Lei è bella come è sempre stata. Chiudere gli occhi di un defunto è restituirgli un po’ di vita.”
Written by Rebecca Mais