FEFF 2016, al Far East Sezione Competition – “Mohican Comes Home” di Shûichi Okita
La penultima serata del 18esimo FEFF di Udine ha preso avvio con una première europea, ossia “Mohican Comes Home”, quinto film del giapponese Shûichi Okita, autore fra gli altri dei notevoli “The Woodsman and the Rain” (2011) e “A Story of Yonosuke” (2013).
Eikichi (Matsuda Ryuhei) è un cantante dalla lunga cresta bionda alla mohicana che arranca con la band punk-rock dei “Cupi mietitori” nella Tokyo contemporanea; un giorno decide, assieme alla fidanzata incinta Yuka, come lui “non molto intelligente”, di recarsi in visita dai genitori dimoranti in un’isola non distante da Hiroshima, la terra in cui è venuto al mondo.
Lì, dopo essere stato accolto in maniera non propriamente calorosa per via della sua annosa condizione di disoccupato, scopre che il padre è malato terminale di cancro. La permanenza subisce così un necessario prolungamento e, nonostante l’insistenza dell’anziano di non voler costituire un peso per gente che secondo la sua opinione dovrebbe preoccuparsi di ben altro nella vita, figlio, nuora e moglie ne seguono gli ultimi mesi con fedeltà e costanza.
Il “nostos” di Eikichi permette di affiancare ad alcune attività molto care, come la direzione della giovanile banda del paese e il tifo per la squadra di baseball, la soddisfazione di sfizi e desideri da tempo inesauditi come la degustazione di una pizza alla salsiccia di leggendaria squisitezza o la visita al vicino cimitero; papà riesce persino a “incontrare” la stimatissima pop star Yazawa Eikichi (donde probabilmente il nome del primogenito), che nel lontano ’77 ad un live era parso incrociare il suo eccitatissimo sguardo.
Figura predominante di questo racconto semplice e toccante, egli combatte la costrizione al letto e la demenza galoppante crogiolandosi in ricordi particolarmente vivi nella memoria, un’attribuzione di senso al proprio passato di estrema importanza, che esulando dal piano interno del racconto in sé restituisce un profilo di commovente realismo, protagonista di un numero di sequenze teneramente poetiche e al tempo stesso intrise di efficacissimo (e alquanto bizzarro) sense of humour.
Okita dal canto suo, nella duplice veste di regista e sceneggiatore, non manca di gestire l’impianto narrativo con pacatezza, prediligendo scarsi movimenti di macchina e un’attenta cura delle inquadrature fisse, soffermandosi in una serie di dilatate cadenze generate dall’inettitudine o, se si preferisce, dalla quieta disposizione di un figlio che affiancandosi ad un genitore ormai sempre più prossimo al capolinea, rendendolo destinatario di sinceri atti altruistici, promettendogli di tornare presto finalmente famoso, scopre una felicità nuova fiorirgli nell’animo, prezioso nutrimento utile anche, chissà, per la composizione di nuove canzoni.
Lo stile sobrio ma non per questo ingessato, anzi capace di inaspettati sbalzi d’umore, che caratterizza quest’espansivo viaggio di redenzione ha saputo conquistare gli apprezzamenti del pubblico festivaliero, il quale l’ha eletto terzo miglior film del Far East 2016, allineandosi così alla scelta dell’esclusiva confraternita dei Black Dragons, il cui Audience Award ha pure premiato il lungometraggio.
Voto al film
Written by Raffaele Lazzaroni
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