“Tu e io… per sempre” di Marianna Copertino: tutti abbiamo bisogno di qualcuno che si preoccupi per noi

“La vita è il dono più bello che abbiamo al mondo…eppure a volte è così difficile da apprezzare. È complicato sopravvivere, soprattutto, quando al mondo viene a mancare colei che per te rappresentava l’unica ancora di salvezza. È il giorno del mio ventottesimo compleanno eppure sono ancora qui a pensarti e a chiedermi perché mi hai lasciata sola in un momento così complicato…”

Tu e io... per sempre

È caratterizzato dai cosiddetti “puntini di sospensione” il romanzo d’esordio della foggiana Marianna Copertino, o almeno, l’autrice ne fa un largo uso. Mettere il lettore in pausa significa permettergli di focalizzare l’attenzione su quanto accade, di metabolizzare le scene. Allo stesso tempo però, si corre anche il rischio di fargli perdere un po’ di concentrazione, quasi se il pensiero fosse legittimato a vagare e a perdersi in labirinti soltanto suoi. Parto proprio da questo particolare per giustificare le mie argomentazioni di lettore, in merito a questo romanzo.

Tu e io… per sempre” (Casa Editrice Kimerik, febbraio 2016) è un romanzo rosa, dove una giovane donna di 28 anni, Blair Cross, per paura di soffrire ha smesso di aprirsi al mondo e si è barricata in casa, concentrandosi soltanto sul lavoro. Il fatto che all’inizio non sopporti il suo superiore, il professor Peter Born, e che faccia di tutto per evitarlo per poi riscoprirsi perdutamente innamorata – fra l’altro ricambiata in maniera evidente – mi ha ricordato “Ti prego lasciati odiare” di Anna Premoli.

Blair è una ricercatrice in campo medico. Figlia di genitori assenti, il suo unico punto fermo è sempre stata l’amata nonna Libi, con la quale è cresciuta. Anni prima, purtroppo, la nonna è morta di cancro, e Blair ha giurato che si sarebbe prodigata per trovare una cura contro quel male che non lascia scampo. Da allora si è data alla ricerca con tutta l’anima, accettando accanto a sé la sola compagnia maschile del suo cane Larry. L’arrivo nell’appartamento attiguo dell’anziana Aloise, contribuisce a fare uscire la ragazza dal vortice di solitudine nel quale era precipitata. In lei, Blair trova una “seconda nonna” che l’accudisce con amorevolezza.

Dal canto suo, anche Aloise è sola, e il legame che si instaura fra le due donne dà ad entrambe la forza per sopravvivere. Al di là della storia in sé, che mette in luce buoni propositi, insegna a non arrendersi di fronte alle difficoltà e confluisce anche in tematiche drammatiche, preferirei trattare questa dissertazione dividendo i punti di forza del romanzo, da quelli che invece risultano, a mio avviso, deboli. Lo stile dell’autrice è diretto, colloquiale e fa subito presa, senza tanti preamboli o inutili giri di parole. E questo è un bene.

Mi è piaciuto anche il fatto che talvolta chiamasse in causa il lettore, e lasciasse emergere la sua ironia nel descrivere gli eventi “nefasti” che la protagonista andava a vivere. Una certa “leggerezza” insomma, che, seppur trattando temi seri, a volte non guasta per impedire di annoiare.

Marianna Copertino

E ora, i punti dolenti. Ci sono parecchie imprecisioni linguistiche ed espressioni dialettali – di continuo si ripete quell’andare “a lavoro” che proprio italiano non è – così come i congiuntivi non sempre sono ben coniugati. Ma sopra ogni cosa – e questo è proprio un consiglio accorato che voglio dare all’autrice, perché il lettore che c’è in me si ribella –, quando si scrive un libro, ci si assume una certa responsabilità nei confronti di chi poi ne usufruisce. A meno che non sia un fantasy, che allora potremmo in teoria permetterci di tutto, se non si conosce la realtà nella quale vogliamo ambientarlo, la condizione prima è di documentarsi.

Nel caso specifico, Parigi non esce neppure una volta, dalla descrizione dell’ambiente. Intendo nelle sue atmosfere. Potremmo essere a Milano o a Napoli, e sarebbe uguale. Tranne che per i nomi dei quartieri e della Tour Eiffel, che se solo elencati non ne danno sentore. Ma la cosa che trovo più strana, essendo nella capitale francese, è che si legga: “Manca poco alla primavera eppure le giornate londinesi sono ancora freddissime, oggi vorrei arrivare un po’ prima in laboratorio, quindi sarà meglio prendere un taxi”.

Ma come “giornate londinesi”? Non eravamo a Parigi? O ancora: quando Peter si sente male, Blair chiama il 911. Ma porca paletta – e lo scrivo per sdrammatizzare – il 911 non è il numero di soccorso americano? Passi pure la parrucchiera Veroniche – a volte le parrucchiere francesi hanno certi nomi! –, ma non si scrive Veronique? Lo so, sono piccole cose. Piccoli errori di distrazione. Ma sono particolari ai quali il lettore fa caso, ed essenziali per essere considerati credibili.

E concludo: una parte “buona”, da salvare, sicuramente c’è. Vedo però ancora tanto lavoro di “preparazione della scena” da fare, prestando una maggiore attenzione ai particolari. Il lettore è esigente, specie al giorno d’oggi, dove la concorrenza in questo campo è spietata e non ci si può permettere di sbagliare.

 

Written by Cristina Biolcati

 

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