Sliding down the surfaces of things … oppure no? – parte 6

Parte 1 clicca QUI.

Parte 2 clicca QUI.

Parte 3 clicca QUI.

Parte 4 clicca QUI.

Parte 5 clicca QUI.

 

Acrobat. Siamo ormai alla sintesi. Tutti i concetti finora esplorati e sviscerati nell’intero disco cominciano ad arrivare all’osso, al nocciolo anzi. C’è poco spazio adesso per analizzare e filosofeggiare. Proprio come gli U2 quando arriva l’ultimo rintocco, e ormai sono alla scadenza di consegna di un disco per la fase di masterizzazione finale: insomma, non c’è più tempo da perdere a parlare e sperimentare! Così eccoci ad Acrobat. Quella che qualche autore beat o cantautore moderno definirebbe la sporca lezione. Unisce insieme, e stavolta senza mezzi termini o surrealismi, i contenuti di One, Until the end of the world, Ultraviolet e The Fly. Insomma, una dura constatazione tra due persone che stanno per separarsi. Si può trattare di Edge e della ex moglie, o di qualsiasi coppia.

Si può riferire a due tedeschi vissuti sempre ai due confini del Muro e che ora, dopo decenni di separazione, segreti governativi, espropri, illusioni cadute, non sanno che farsene dell’unità. E può addirittura essere uno sfogo amaro di tutta la band nei confronti della stampa scandalistica e della critica musicale, così come dell’intera industria discografica. E alla fine, scommettiamo che c’è anche un’autoanalisi su quanto Bono in realtà goda tantissimo alle urla di approvazione dei fan e a essere così potente? Conoscendo la profondità del gruppo, di sicuro il testo è tutto questo assieme. “Non credere a ciò che senti, non credere a ciò che dicono. Se solo chiudi gli occhi puoi vedere il nemico. La prima volta che ti ho vista avevi il fuoco nell’anima. Cos’è successo al tuo volto, sciolto come neve?/ E bisogna essere un acrobata per ragionare così e comportarsi così/ Così puoi sognare, e sogna ad alta voce. E allora non lasciare che quei bastardi ti buttino giù!”.

Ancora una volta il cantato di Bono, che continua a rifuggire le interpretazioni accorate da grande inno, è sofferto e melanconico. Il cantante cerca di dare sempre più colore alle parole, in una maniera che qui, per la profonda tristezza dei temi, è a metà tra la quasi-conversazione e uno stile retrò molto vicino ai cantautori europei colti. Perfino il ritmo ha un richiamo fortissimo alla cultura europea classica, con un incedere a metà tra il bolero e il walzer! Si sente molto la mano del produttore Brian Eno in queste scelte, ma l’altro vero colpo di genio lo lancia The Edge. La chitarra prende un ritmo intermedio, né lento né veloce, e un suono corposo e durissimo.

L’effetto complessivo è tremendamente affascinante! Il pezzo è costantemente sospeso tra ruvidità e raffinatezza! The Edge stesso ebbe a commentare “Adoro Acrobat, è un pezzo nel quale ho dato molto ed è denso di significato. Non credo che i nostri fan vengano a vederci per sentirci suonare questo tipo di canzone, per noi atipiche. Ma è un brano comunque grandioso!”. Se lo ZOO TV TOUR è stato la rappresentazione liberatoria e satirica dei concetti di celebrità e manipolazione della verità da parte della televisione, con tutti i megaschermi e i televisori sparsi sul palco in uno scenario al neon e agghiacciante stile Blade Runner, Acrobat è il momento in cui i grandi effetti visivi si spengono. Ascoltandola, pare di vedere il personaggio della Mosca togliersi i grandi occhiali scuri per mostrare le lacrime. Ed è il perfetto preambolo per la grande conclusione a seguire…

Love is blindness. “Tutto nacque da un’improvvisazione di Bono al pianoforte, non uno strumento in cui si possa dire che sia particolarmente versato. All’inizio voleva scrivere il pezzo per Nina Simone” ricorda Edge. Bono “Spesso è molto più facile scrivere entrando nella voce di qualcun altro. Se pensi come se non fossi tu sei più libero, e la scrittura è più facile. Almeno per me. ‘Love is blindness ’ è davvero un gran finale per il disco. I nostri tre produttori hanno fatto cose magnifiche in quella canzone. Il basso ha il suono del magma fuso che sta per eruttare. La batteria è come la terra che trema. E The Edge ha messo la sua vita nel suonare quelle note dure. Io lo spronavo di continuo ‘avanti Edge, per favore ancora di più!’. In studio spezzò due corde ma andò avanti fino alla fine. Una cosa mai vista: Edge è sempre così delicato. Un’attitudine che in quel momento in lui lasciò il posto a una rabbia inedita. Eppure nessuna nota è imperfetta. Incredibile!”.

Alla fine del 1989, quasi in vista del soggiorno berlinese, Bono era diventato un assiduo frequentatore del Blue Jaysus di Dublino, club d’essai  gestito dal suo amico d’infanzia, cantante e artista Gavin Friday. In quello stesso periodo il locale era frequentato anche da altri artisti, e tutti, compreso Bono, spesso si esibivano con improvvisazioni all’insegna dello spirito del cabaret.

Love Is Blindness prese forma proprio allora, rafforzata poi nel suo carattere europeo dalle session di Berlino. Un brano struggente e delicato che potrebbe benissimo essere cantato col solo pianoforte, e che Bono rende da vero interprete europeo vecchia scuola. Stava appassionandosi anche ai cantanti francesi del passato, come Jack Brell, e non c’è dubbio che la sua performance, seducente e volutamente fragile, irresistibilmente ambigua, ne abbia molto risentito. Indubbiamente geniale anche l’apporto di Brian Eno, che al piano preferì un mesto organo, arricchendo il tutto di loop elettronici che fusero l’atmosfera da cabaret tedesco anni ’30 con quel  futurismo che gli U2 cercavano nell’album. Addirittura ricorda Larry “La batteria fu addirittura presa e rallentata da un altro brano. Forse I still haven’t found what I’m lookin’ for!”. E poi le note lamentose, vibranti e violente della chitarra. Una canzone che trasforma in musica la disperazione e l’abbandono. Minimalismo elettronico e grande tradizione classica europea fuse insieme con una teatralità innata, non ricercata. Il pezzo perfetto e la degna conclusione di un disco ambizioso, ingannevole e tetro come ACHTUNG BABY!

Ma, ancora una volta, la vera perfezione è nelle parole, esplicite, chiare, poetiche, affilate. “Amore è cecità, non voglio vedere perché non mi stringi nella notte. In un parcheggio, in una stradina abbandonata, vedo il tuo amore logorarsi e strapparsi/ L’amore è un meccanismo a orologeria/ dita troppo insensibili per poter sentire/Una piccola morte senza lutto, nessuna chiamata né avvertimento/ Baby è l’idea pericolosa, che però ha quasi senso”. La netta percezione che il centro delle cose, la corda tesa dei sentimenti e dei rapporti personali, non ce la faccia più a reggere, qui è nettissima. Conferma Bono “Nel testo ci sono molti riferimenti a immagini di terrorismo: auto esplose, bombe a orologeria… L’amore spesso è come una bomba, un meccanismo silenzioso, che resta dormiente in attesa di esplodere. E nel periodo in cui registravamo Achtung Baby l’Amore stava sollevando la sua testa feroce”. E fa molto effetto anche sentirgli cantare che vorrebbe essere cieco per non vedere la triste realtà delle cose, proprio lui. Un ulteriore passo avanti per smontare il proprio virtuoso passato.

Così, con questo sconvolgente coupe de teatre, questo requiem al Vecchio Mondo (politico e personale) andato in pezzi, cala il sipario su ACHTUNG BABY. L’album che è stato lo snodo di passaggio tra due universi distinti, almeno nella forma. Così ora, dopo aver scavato in profondità tanto dolore, dopo aver opposto il riso e la beffa alla crudeltà e al grigiore, dopo aver trasformato le macerie delle consapevolezze distrutte in arte, cosa sarebbe rimasto da fare? Come poter immaginare, dopo un disco di confine, di andare ancora Oltre? E dove, se non verso realtà ancor più imperscrutabili, avanguardiste? Dove, se non a … ZOOROPA ?

 

 Written by Fabio Orefice

fabio.orefice@hotmail.it

 

Fonte

“Into The Heart” di Niall Stokes (2003)

U2 by U2” raccolta di interviste dal 1979 al 2006 ( 2006)

 

5 pensieri su “Sliding down the surfaces of things … oppure no? – parte 6

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *