Life After Death: l’intervista alle navicelle nuragiche

Ero lì, nel mio candido lettino, quando sento una voce che mi dice: Svegliati!

Io dico: Ooeeeh?

Dice: Svegliati, sono Platone!

Navicella nuragica – Sardegna

E così, in questo modo sollecitato, ho deciso di seguire il consiglio dell’illustre filosofo, che mi suggeriva di utilizzare l’immaginazione per vedere coi miei occhi come fosse la Sardegna in età nuragica.[1]

Seguendo il consiglio delle statue di Mont’e Prama, vorrei far luce su un tema molto caro agli studiosi di archeologia sarda: gli Shardana, costruivano o no navi a vela? Per far chiarezza su questo mistero, mi reco a Cagliari, presso il Museo Archeologico Nazionale, dove ho appuntamento con le navicelle nuragiche.

Ormeggiato Dragut nel bel porto calaritano, salgo a piedi sino alla parte più alta della cittadella fortificata medievale, presso l’ex Regio Arsenale, dove oggi sorge il complesso museale G. Lilliu.

Raggiungo le mie interlocutrici presso la sala della collezione della bronzistica sarda.

 

C.F.: Bronzee Navicelle, è un grande onore per me incrociare la vostra rotta. Sarei felice di potervi rivolgere alcune domande.

Navicella fusiforme, Navicella trilobata, navicella cuoriforme: Benvenuto! Certamente, chiedici pure! Soddisfa i tuoi dubbi.

C.F.: Per prima cosa vorrei domandarvi: da che zone della Sardegna provenite?

Navicella fusiforme: Da Bultei!

Navicella cuoriforme: Da Baunei!

Navicella trilobata: Da Mandas!

Altre navicelle e protomi vociano in sottofondo: Santadi! Scavo clandestino! Sequestro della GdF! Nurra! Erula! Orroli! Nuragus! Tula…

C.F.: Avete mai visto il mare?

Navicella cuoriforme: Certo! Molte di noi son state esposte nei principali musei del mondo, abbiamo preso il traghetto più volte.

C.F.: Ehm… sì, d’accordo. Ma in età antica? Quando eravate “giovani”?

Navicella fusiforme: Certamente, solcavamo i mari con a bordo i valorosi guerrieri Shardana!

Navicella trilobata

Navicella trilobata: Non prenderlo in giro, sei lunga meno di 20 cm! Dove vorresti andare? Sei pure nata in montagna! Come la maggior parte di noi. No, il mare noi non lo abbiamo mai visto, ma alcune di noi in età antica hanno viaggiato su navi con altre merci, giungendo in Etruria, Spagna, Cipro…

C.F.: Dunque i sardi navigavano?

Navicella fusiforme: Gli Shardana erano un feroce popolo di pirati che hanno terrorizzato le coste del Mediterraneo orientale! In più gli Shardana erano i più bravi di tutti a fondere il bronzo, per fare armi invincibili!

Navicella cuoriforme: Tu hai ancora troppo arsenico nella lega…

Navicella trilobata: Noi rappresentiamo delle imbarcazioni, ma non siamo sicure se fossimo navi sarde o meno, c’è chi ha detto come l’archeologo Giovanni Lilliu nel libro “Sculture nella Sardegna nuragica” che siamo lucerne. Comunque venendo da zone montane, possiamo pensare che chi ci ha realizzate abbia visto delle barche arrivate sulle coste sarde, e abbia voluto farne una riproduzione. Un poco come voi moderni fate con le fotografie. “Acquei tempi” la fotografia non esisteva!

C.F.: Ma voi non avete mai sentito parlare di cantieri navali sull’isola? Chi vi ha fuse non ha mai realizzato pezzi in bronzo per le navi?

Navicella cuoriforme: Sinceramente no, non ne abbiamo il ricordo. Tuttavia ricordo nella fornace, i lingotti di bronzo e di rame che arrivavano via mare. Alcuni erano a forma di pelle di bue, e recavano strani segni sulla superficie.

C.F.: Si dice che la Sardegna avesse una potente flotta navale. Esistevano dei porti o degli arsenali dove custodire queste navi?

Navicella fusiforme: Naturalmente! In ogni laguna e foce di fiume avevamo i nostri rifugi dove nascondevamo le navi per poi sferrare gli attacchi al nemico!

C.F.: Al nemico? Ma non andavate a fare le incursioni in Egitto?

Navicella fusiforme: Attaccavamo anche le navi di passaggio, e ce ne impadronivamo! Con falsi segnali dalle torri dei nuraghi costieri ingannavamo le navi, che rovinavano sugli scogli.

C.F.: Un racconto affascinante, ma il carico non andava irrimediabilmente perso, così come la nave, bene prezioso?

Navicella fusiforme: Avevamo persino dei palombari. Abbiamo insegnato noi agli urinatores romani come si va sott’acqua!

C.F.: Le lagune hanno fondali molto bassi, come le foci dei fiumi, che spesso formano una barra di sabbia. Non era rischioso per le navi? Che pescaggio aveva una nave shardana?

Navicella fusiforme

Navicella fusiforme: Avevamo navi velocissime, che planavano sull’acqua con quei pattini che voi chiamate foils. Questi ci permettevano di entrare ed uscire ad alta velocità limitando il pescaggio.

C.F.: Incredibile, degli aliscafi nuragici! Una rivelazione davvero sorprendente! E viaggiavano a vela?

Navicella fusiforme: Assolutamente no, vedi vele su di me? Avevamo altre forme di propulsione evoluta. Una propulsione magneto-idrodinamica estremamente efficiente.

Navicella trilobata: Certo, e io sono una portaerei! ride – Sai, la navicella fusiforme è stata coinvolta in molti dibattiti sulla navigazione, numerosi “studiosi indipendenti” vengono a visitarci e a scattarci foto. Sentiamo spesso le idee più strampalate su di noi, e quando si ascolta sempre la stessa storia, essa in un certo qual modo diventa la realtà dei fatti.

Navicella fusiforme: Perché tu non leggi e non ti informi! Cerca su Google! Guarda quanti siti ne parlano! Persino i giornali dicono che siamo la rappresentazione delle navi Shardana.

Navicella cuoriforme: Senti fusiforme, non ti seccare, ma io questa cosa degli Shardana proprio non me la ricordo.

C.F.: Per favore, non agitatevi, andiamo per ordine e con calma. Avrete sicuramente sentito parlare qui al museo delle teorie sugli Shardana e sulla popolazione sarda. Appurato che la navicella fusiforme si sia forse fatta un poco influenzare, cosa sapete realmente sull’argomento?

Navicella trilobata: Alcune teorie hanno riscosso un grande seguito tra il popolo, complice l’abile mossa di far leva sui sentimenti di frustrazione degli isolani verso “il continente”, fra memorie di sfruttamento e passaggi da un dominatore all’altro. La storia di un popolo grandioso, evolutissimo, temuto da tutti, viene accettata più facilmente del vero dato storico. L’ipotesi si basa sulle superficiali interpretazioni di fonti orientali, e analogie fantasiose tra l’iconografia egizia e quella nuragica, avvalorata con idee stravaganti circa la presenza della parola SRDN nelle iscrizioni. Il tutto condito da tendenze al complottismo, al sensazionalismo di scoperte clamorose da destinare ai musei e alla gente, poiché essa possa vedere quanto i sardi erano grandi, come se il tempo non fosse mai trascorso.

C.F.: Come è scomparsa la civiltà nuragica? Forse un cataclisma?

Navicella cuoriforme: Cataclisma? Ma no, semplicemente son cambiati gli assetti socio-culturali e politici nell’isola.

C.F.: Avete mai sentito parlare di Atlantide?

Navicella fusiforme: Ma non si chiama Atlantide, forse vuoi dire Antas! Il tempio del Sardus Pater Babai, centro nevralgico della nostra civiltà Shardana. Solo gli egizi la chiamavano Atlantide! Eravamo noi!!!

Navicella cuoriforme

Navicella cuoriforme: È stato fatto il grave errore di identificare la Sardegna con Atlantide motivandolo con il verificarsi di un apocalittico evento naturale, come lo tzunami, che avrebbe provocato la distruzione dei nuraghi e di conseguenza il collasso della civiltà nuragica. Vedi Claudio è la pareidolia che, come nel mio caso, fa ricondurre alla mente umana forme note di oggetti o profili dalla forma casuale, infatti in quello che chiamano “scafo” c’è una scimmietta! Riprendendo l’argomento… i motivi dei primi crolli delle sommità dei nuraghi sono senz’altro dovuti a cedimenti strutturali, ed è uno degli aspetti ancora in corso di studio da parte degli archeologi. Ecco perché nei nuraghi troviamo già nei crolli le tracce di frequentazione dei “Phoinikes” nell’età del Ferro, mentre all’interno dei villaggi intorno al nuraghe dove la vita quotidiana è proseguita, le tracce possono risultare più evidenti.

C.F.: Tanta sicurezza della Navicella fusiforme nell’affermare che Sardegna, Atlantide e Shardana siano coincidenti tra loro, fa supporre che esistessero anche dei testi scritti. Esiste una scrittura autoctona dell’isola?

Navicella fusiforme: Ma certo che sì! Ho una cugina a Teti, in terracotta, con segni di scrittura nuragica tra cui il famoso pugnaletto shardana.

C.F.: Perdonatemi, ma siamo sicuri prima di tutto che quel reperto rappresenta una barca, e che l’immagine graffita di un pugnaletto sia un segno di scrittura vero e proprio?

Navicella trilobata: No, non lo interpreterei come un segno di scrittura, piuttosto lo vedo come un simbolo, una marcatura, come puoi vedere, anche noi siamo ricche di decorazioni e simboli: colonnine, animali, figurine umane. In molti casi ci son state addirittura interpretazioni fantasiose di tracce di aratura, segni del tempo o iscrizioni moderne, scambiate per segni alfabetici sardi. Un po’ ridicolo non trovi?

C.F.: Hai parlato di ridicolo e interpretazioni discutibili: quali sono secondo voi le logiche che hanno portato a ridicolizzare la Sardegna e la sua archeologia a questi livelli?

Navicella cuoriforme: Sicuramente la necessità di sensazionalismo unitamente ad un marketing poco oculato e a una propaganda politica indipendentista che ha cavalcato l’onda, hanno prodotto termini come “giganti”, ”shardana”, “Atlantide”, “flotta shardana”. Noi “bronzetti” e i “giganti” siamo rappresentazioni in bronzo o in pietra, espressione del linguaggio figurativo dell’isola, e pertanto in alcuni casi coevi. Quanto ad Atlantide, è esistita solo nella mente di Platone.

C.F.: Gruppi di appassionati e “studiosi indipendenti” hanno addirittura proposto ipotesi ricostruttive delle navi sarde basandosi anche sulle vostre forme e dettagli: le trovate attendibili?

Navicella trilobata: Ad oggi non conosciamo ancora dei relitti attribuibili con certezza alla popolazione sarda dell’età del bronzo, men che meno abbiamo tracce fisiche e archeologiche di questi scafi. Prendere un gozzo di Stintino, di derivazione cantieristica genovese e ponzese ottocentesca, e armarlo con una fantasiosa vela trilobata, non è propriamente un buon esempio di archeologia sperimentale. Così come realizzare dei modellini di imbarcazioni senza conoscere come è fatta strutturalmente una imbarcazione a vela o a remi, può portare a clamorosi errori interpretativi. Dei pochi relitti arcaici di cui si ha traccia nel Mediterraneo, specialmente in quello orientale, sappiamo poco sulla struttura dello scafo. Penso che ben conosci i disegni dai rilievi di Ulu-Burun, di Place Jules Verne, e di Gela-I[2], solo per elencarne alcuni. I relitti, o meglio, ciò che resta dei relitti, sono ormai appiattiti e deformati sul fondale, abbiamo porzioni di chiglia, madieri e parte dell’opera viva, ma la semplice affermazione che in molti casi sono navi cucite o costruite con tecniche a mortase e tenoni non è sufficiente come dimostrano relitti di età classica e imperiale, realizzati con le medesime tecniche, ben note e collaudate nel tempo – a dimostrare che anche i sardi abbiano costruito navi con le medesime tecniche durante l’età del bronzo. Ciò non esclude che possano comunque aver navigato: il nuraghe a tancato dell’Isola Mal di Ventre ne può avvalorare la tesi.

C.F.: Mi pare quindi di comprendere che il lavoro di ricerca sia ancora lungo. Cosa vorreste dire a chi si occupa di queste ricerche?

Navicelle nuragiche

Navicella fusiforme: Forse mi lascio prendere troppo dall’entusiasmo e dall’orgoglio sardo. Ci auguriamo che le ricerche vadano avanti anche nel campo dell’archeologia marittima e navale, magari col ritrovamento di un relitto o di un sito legato alla costruzione navale, che possa fornire nuovi dati sul tema della navigazione nella Sardegna dell’età del bronzo. Questa si sarebbe una scoperta sensazionale.

C.F.: Salutiamoci con una citazione:

Navicella fusiforme: “Vox populi, vox Dei!” – la verità di una affermazione è stabilita quando il popolo è concorde nell’affermarla. Il marchio della verità coniata dalla logica popolare si ripete nelle adunanze, quando i convenuti concordano su un dato argomento: a buon diritto, la ragione sta dalla nostra parte.

Navicella cuoriforme: Ab assuetis non fit passio” – Le cose abituali, non generano stupore.

Navicella trilobata: “Veritas odium parit” (Terenzio, Andria, a. I) La verità partorisce l’odio.

C.F.: Quam beatus qui pugnantes pro veritatae – Siano benedetti coloro che lottano per la verità.

Entra la guardia

Guardia: Dottore, mi perdoni, ma… Con chi sta parlando da mezz’ora??? Il museo sta per chiudere, venga, la accompagno all’uscita.

 

 

 

Info

Life After Death Statue di Mont’e Prama

 

Note

[1] Libera reinterpretazione dei primi versi de La Genesi, di Francesco Guccini.

[2] Cfr. C.Beltrame, Archeologia Marittima del Mediterraneo, navi, merci e porti dall’antichità all’età moderna – Carocci Ed. 2008

 

16 pensieri su “Life After Death: l’intervista alle navicelle nuragiche

  1. Che tristezza, la demenzialità di questi articoli non ha davvero limiti. Non penso che l’autore abbia la minima idea di quanto sia profondamente ridicolo tutto questo. Questo articolo è solamente il prodotto di una mente infantile incapace di discutere una tesi seriamente ma solo di costruirsi uno spaventapasseri da poter facilmente affrontare, ed attribuirgli tutte le qualità peggiori ed immaginabili. L’autore è incapace di vedere le cose in uno spettro e preferisce estremizzare le tesi opposte sino all’inverosimile, rendendo tutto una farsa, una pagliacciata. Gettare la navigazione nuragica e le navicelle nello stesso calderone di Atlantide è molto più semplice di costruire delle solide argomentazioni.
    Certo, chi sostiene che i nuragici navigavano è un populista, non ha la licenza media, legge i libri di Leonardo Melis, crede ad Atlantide, chi non la sostiene invece è un luminare che non si lascia mai trasportare da volgari campanilismi, certo in realtà si tratta uno di quei luminari che fa il troll Pisa Vichinga, ma poco importa. Ridicolizzare è molto più facile che argomentare, e quando si è già ridicoli si può fare solo quello e abbassare tutti al proprio infimo livello.
    Le navicelle trilobate sono due, le fusiformi più di un centinaio, e non assomigliano neanche lontanamente a quelle delle marinerie con le quali i nuragici che crearono la navicelle commerciavanano.
    Ma che importa? Tanto basta far apparire la tesi opposta come quella degli Atlantide-Sardonazisti-Populisti ed il gioco è fatto, è molto più facile di dover difendere le proprie idee prive di fondamento. Ah no aspetta, ho cambiato idea, se non assomigliano neanche di striscio alle navi fenicie o cipriote allora sono lamapade, l’ha detto Lilliu 50 anni fa, ipse dixit. Beh certo, basta ignorare il fatto che nelle navicelle sono presenti chiaramente elementi che rimandano alle imabrcazioni come le cuciture che legavano le travi di legno, le riparazioni, cabine, gli alberi velici, le briglie, le battagliole, le proporzioni delle navicelle stesse che rientrano praticamente tutte nella norma delle imbarcazioni; certo poi il fatto che le navicelle potevano essere tranquillamente sia rappresentazioni di imbarcazioni che lampade non ha alcuna importanza.
    Ma certo che non ha importanza, l’importante quando si è una troll, o un untore è sguazzare nel ridicolo, sempre è comunque, ridicolizzare ed essere ridicoli.

  2. *Sempre e comunque
    Penso che se non lo avessi corretto la troll dal ghigno grottesco mi si sarebbe scagliata subito contro, ma forse sarebbe meglio lasciarle credere di essere uno dei suoi spaventapasseri brutti, ignoranti e stupidi per poterla far sentire meno inetta e mediocre.

  3. Le bombe quando cascano non fanno distinzioni fra militari, fronti, civili, donne e bambini.
    Temo che queste scherzose “interviste” di stampo platonico o kantiano facciano male su più fronti scatenando le ire funeste di inclusi, esclusi, e conclusi.
    Brutto anche vedere che chi spende il proprio tempo per commentare, lamentando un attacco, e temo, sentendosi attaccato in prima persona, non abbia poi il coraggio di identificarsi, lasciando la propria identità a un banale nick name.
    Detto questo, pur occupandomi personalmente di studio dell’archeologia navale dal punto di vista della cantieristica e della costruzione navale in senso stretto – vada pure a cercare online i miei contributi agli atti dei convegni di Grado e Cesenatico, e il mio curriculum in archeologia navale – vedo assai arduo riconoscere in un oggetto palesemente stilizzato in foggia di nave, qualche elemento strutturale tipico di una imbarcazione, se escludiamo alcuni casi di battagliole e protomi o elementi apotropaici (cioè che dovevano allontanare la mala sorte) tipici di tutte le imbarcazioni mediterranee. Fra questi elementi ricordiamo genericamente gli occhi di prua (da non confondere con gli occhi di cubìa) e una scultura sulla sommità dell’asta raffigurante un vello di pecora (trabaccoli adriatici) o protomi animali (navicelle nuragiche). Questo elemento sembra derivi dall’usanza di sacrificare un animale al momento del varo e poi legarne il vello attorno alla cima del dritto di prua. Vello che poi si trasformò in una scultura lignea. ricordiamo che la nave, ma anche la più piccola barchetta, è il solo manufatto umano che viene battezzato e ha un nome proprio.
    Terminata questa piccola divagazione sugli elementi strutturali, in mancanza di relitti, attendiamo il – mi auguro prossimo – ritrovamento di un relitto, prima di poter asserire qualsiasi cosa in merito di imbarcazioni nuragiche, ricordando che la forma di una nave è il frutto dell’esperienza pregressa e della riapplicazione e miglioramento di linee d’acqua che funzionano, ossia che rispettano le aspettative di chi poi ci navigherà sopra perchè collaudate nel tempo, diversamente dai nostri giorni in cui pare che ad ogni progetto si reputi necessario reinventare totalmente il concetto di imbarcazione.
    Per poter parlare di “vessels” – mi si passi l’inglesismo, ma il termine racchiude in sé dalla piccola barca al grande bastimento, occorre sapere come son fatti e come funzionano. Possibilmente avere anche qualche rudimento di navigazione.
    Finora in Italia ho incontrato pochi colleghi che oltre a discorrer di antichi vascelli sien anco boni et pratichi di navigatione et arte navale.

    Claudio Fadda

  4. Il grave errore in cui non possiamo cadere, se parliamo seriamente di uno studio tecnico, è quello di cui scrissi già nel 2010 ai tempi della mia tesi a Venezia: ossia che non possiamo pretendere di interpretare in maniera tecnica un oggetto che ha funzione puramente estetica o comunque non funzionale alla navigazione, e non schematico-rappresentativa (alias progetto). Del resto nella costruzione navale mediterranea è ben noto che la replica di imbarcazioni non avviene per costruzione progettuale su carta, ma per esperienza su forme che “funzionano” perchè collaudate nel tempo. Mi spiego meglio: il metodo di tracciamento dei piani di una barca tradizionale è comune ed immutato nel bacino del Mediterraneo e non solo. Nei veri cantieri navali, non si è mai usato il disegno cartaceo come noi lo intendiamo, con le viste ortogonali, e le varie sezioni, ma si utilizzava una sagoma in legno che rappresenta la sezione maestra dell’imbarcazione, ossia quella centrale. Tracciata questa sul legno, con dei movimenti graduali attorno a un punto di rotazione, si tracciava tutto il resto delle ordinate della imbarcazione sia verso prora che verso poppa, sia che questa fosse piccola oppure grande come una nave. Il principio si basava su tre variabili: il restringimento del fondo, l’apertura verso l’esterno dell’ordinata (ossia l’ordinata che si svasa gradualmente verso l’esterno), e infine la riduzione graduale della curvatura del fianco. Come sai, l’ordinata non è un arco di cerchio, ma una parabola, che parte quasi dritta, e va via via curvando verso la chiglia. Questa sagoma, il sésto, come lo chiamiamo in Adriatico, si usa dall’interno, e il disegno della barca nasce “entro fasciame”. Questo metodo di tracciatura avveniva in maniera diretta sul legno, consentendo al maestro ‒ l’unico in grado di utilizzarlo e di trasmettere tale sapere agli allievi – di scartare eventuali difetti del legno, di sfruttare al meglio la disposizione della venatura, di ottenere il minimo spreco di materiale e di evitare dunque gli odierni errori dovuti sia all’ingrandimento dei piani in scala 1:1 sia ai passaggi di copie dal disegno cartaceo alla sala tracciati in cantiere. Questo metodo è stato trascurato dagli studiosi e architetti poiché ritenevano che non fosse presente geometria e progettazione nella costruzione degli scafi tradizionali. Si pensava che le imbarcazioni venissero costruite ad occhio.
    Ora, quanti di noi conoscono queste tecniche, esclusi i mastri d’ascia ancora in vita? Quasi nessuno. Possiamo parlare di navi senza sapere come si costruiscono? No.
    Possiamo ricavare questi dati da dei modellini stilizzati, non dissimili dalle zuppiere in argento Luigi XV in foggia di nave ? No.
    Possiamo parlare di navi nuragiche senza avere un relitto da studiare? e per relitto parlo dei legni, non del carico? No.
    Possiamo andare al museo a parlare con le navicelle nella speranza che ci diano delle risposte? ovvio che no.
    L’unica cosa che sappiamo è che queste merci hanno in qualche modo viaggiato, ovviamente su navi. Come queste fossero costruite, francamente, è attualmente impossibile dirlo per quanto concerne le navi sarde.
    Questo è l’unico scopo di quelle pseudo interviste. Dico pseudo, perchè ricordiamo che quei reperti non sono esseri viventi e non hanno risposto, tanto quanto i dialoghi di Platone ( Timeo, Crizia, Fedro, Critone …. ) non sono MAI avvenuti, ma volevano solo esprimere dei concetti sotto forma di dialogo, ossia di puro artifizio letterario. Lungi da me paragonarmi a un tale maestro, ovviamente, ho solo giocato sulle sue tecniche di ragionamento e rimesso nel calderone più “voci” facendole discorrere tra loro.

  5. Ovvio che le navicelle nuragiche non siano modelli precisi di imbarcazioni ma rappresentazioni stilizzate che rimandano all’idea delle imbarcazioni, così come i cosiddetti modellini di nuraghe in bronzo ed in pietra non sono ricostruzioni in scala dei veri nuraghi ma rimandono comunque all’idea di un nuraghe.
    “Possiamo parlare di navi nuragiche senza avere un relitto da studiare?”
    Certo che possiamo, possiamo parlarne in maniere molto generica, così come si può parlare di navi micenee anche se non è mai stato ritrovato uno scafo (il relitto di Capo Gelydonia è cipriota, non miceneo, e quello di Uluburun è Cananeo/Siro-Palestinese).
    Allo stesso modo si può parlare di navi minoiche anche se non sono stati trovati scafi ma al massimo carichi di imbarcazioni, idem per i nuragici, esistono numerosissime raffigurazioni di imbarcazioni e carichi di imbarcazioni in fondo al mare con tanto di dotazione di bordo. Come per i Minoici anche per i Nuragici esistono evidenze materiali di viaggi compiuti da loro stessi, come i materiali rinvenuti a:
    Kommos, Cannatello, Pyla Kokkinokremos, Lipari, Taormina, Pantalica, Huelva, Knossos, Malaga, Utica, Cartagine, Lixus, Monte Vetrano, Aldovesta, S. Bartolomè, Marsiglia, Cadice, Castillo De Dona Blanca, El Carambolo, Las Chorreras, Toscanos, Almonte, Vetulonia, Vulci, Populonia, Isola d’Elba, Corsica, Bologna, Monte Vetrano, Hera Lacina (Crotone), Motya, Tarquinia, Ponte Cagnano, Fiumicino, Cuma, Cerveteri, Veio, Marcellano, San Feliciano, Pisa, Montaione, Roselle.

    Per alcuni di questi non si parla solo di materiali fittili importati, ma anche di ceramiche nuragiche fabbricate localmente nei luoghi di rinvenimento, chiaro indizio della presenza fisica dei nuagici stessi; inoltre esistono ulteriori elementi a sostegno della navigazione nuragica: i nuraghi nelle coste e nelle isole, così come l’esistenza di insediamenti portuali di evidente vocazione commerciale come Sant’Imbenia, e di depositi di materiali nelle spiagge.

    Molto probabilmente i Minoici navigavano più intensamente, suppongo che siano stati ritrovati più materiali minoici fuori da Creta che nuragici fuori dalla Sardegna, anche se per i materiali nuragici ormai si può parlare di numerosi ritrovamenti come evidenziato sopra.
    Per i Minoici abbiamo anche delle evidenze testuali, basti pensare agli uomini di Keftiu citati dagli Egiziani e dai Caphtoriti citati a Mari. Per i nuragici non esistono al giorno d’oggi riferimenti testuali certi che indichino che i nuragici si recavano in altre terre a bordo dei loro vascelli, sappiamo però che gli indigeni sardi di età romana lo facevano per depredare l’area di Pisa, ma non si può più parlare di nuragici per un’epoca così recente; anche se il fatto che i sardi montanari possedessero ancora imbarcazioni, nonostante la loro condizione di estrema povertà, può indurre a pensare che i molto più prosperosi ed indipendenti nuragici di 1000 anni prima lo facessero anche loro, dato che avevano sicuramente più mezzi a disposizione e più controllo sulle coste dell’isola.
    Esistono i riferimenti agli Shardana ma non esiste nessuna certezza sulla loro identificazione coi Sardi Nuragici, ovviamente nell’articolo questo problema non viene afferontato seriamente ma si preferisce far passare tutti quelli che non la negano a priori come invasati mentalmente sottosviluppati piuttosto che argomentare. Ribadisco che personalmente non credo che esistano certezze sull’identità degli Shardana, ma non per questo bisogna negarlo a priori.

    Concludo col dire che i lavori di archeologi come Francesco Tiboni, Depalmas, o Lo Schiavo rimangono validissimi. Il fatto che le navicelle non siano rappresentazioni in scala di imbarcazioni ma modellini stilizzati pregni di significati simbolici non significa che da esse non si possa trarre alcuna conclusione sulla navigazione nuragica. Le rappresentazioni fittili e pittoriche dell’Egeo o di Cipro non sono rappresentazioni sempre accurate, non per questo bisogna tacere e non formulare ipotesi su di esse.
    Lei scrivendo un articolo come questo sta implicitamente accostando studiosi come quelli sopra citati a dei poveri pazzi invasati. Cercare di combattere il fantasma dell’archeonazisardismo con l’archeonaziantisardismo è solamente dannoso. Quello che lei sta facendo forse l’aiuta a scaricarsi ed a trovare un fantasma contro cui lottare, ma non aggiunge nulla agli studi sulle navicelle nuragiche ed al massimo crea disinformazione.
    L’articoletto è quello che è, uno sproloquio demenziale ed offensivo per i numerosi studiosi che hanno affrontato l’argomento della navigazione nuragica seriamente.

  6. Caro Claudio, ti devo tirare le orecchie per una cosetta, non siamo gli indipendentisti a sostenere i deliri dei fantarcheologi, in realtà ci siamo rotti parecchio le scatole di quelli che dichiarano di essere sardisti (quindi leghisti) o astrattamente indipendentisti,appoggiando un nazionalismo reazionario, che ha assunto il volto dell’etnicismo esasperato con assetti niente affatto emancipativi, in nome dell’appartenenza ad una presunta e astratta “sardità”, che spinge il popolo verso la superiorità della razza, e la non accettazione di tutto ciò che viene dall’esterno. Sono contenta che lo specialista che si fa chiamare Pincopallino (perché tale è), abbia incassato la mia bella lezione su Pisa Vichinga sugli “Eroi Vichinghi di Mont’ e Prama, e abbia capito che noi archeologi quando vogliamo abbiamo le capacità di dimostrare grazie alle nostre conoscenze che è possibile tramutare l’acqua in vino o anche camminare sull’acqua. Per quanto riguarda la discussione in oggetto, Pincopallino scrive anche in maniera forbita perché il suo modello sono archeologi che hanno sempre commesso errori, soprattutto perché di archeologia subacquea e navale non erano per niente esperti, e ancora oggi ammettere che hanno preso una cantonata è un colpo troppo duro. La navigazione da parte delle popolazioni di cultura nuragica, è sempre stato argomento di acceso dibattito fra gli studiosi soprattutto in seguito dei ritrovamenti a Cannatello-Agrigento, Kommos a Creta e Pyla Kokkinokremos a Cipro, di materiali perlopiù ceramici di imitazione o produzione nuragica attribuibili alla fine del XIII-inizi XII sec. a.C. Il rinvenimento in questi siti di frammenti di forme ceramiche di uso comune hanno infatti posto il problema della presenza fisica o meno di genti provenienti dalla Sardegna coinvolte nelle rotte degli scambi su lunga distanza. Esiste una cosetta che ai Fantarcheologi proprio non entra nel cervello, la CRONOLOGIA e che dal momento che i nuraghi non si costruivano più ci troviamo in un periodo ben preciso ovvero la fine del Bronzo Recente. Dal Bronzo Finale non possiamo più parlare di nuragico ma al limite di popolazioni di tradizione e cultura nuragica e proprio in questo periodo, mentre gli Shardana erano belli che insediati in Egitto i sardi iniziano a costruire le navicelle, le più antiche sono del IX sec. a. C. e spero con tutto il cuore che chi ha affermato ciò lo abbia fatto con alla mano dati stratigrafici attendibili. Non si può parlare di flotte nuragiche organizzate per il ritrovamento di pochi frammenti ceramici sparsi per il Mediterraneo e soprattutto in assenza di raffigurazioni, grazie a queste abbiamo la certezza che esistesse una marineria etrusca e soprattutto fenicia grazie anche al ritrovamento di relitti. Insieme alla Dott. ssa Laura Garau e un equipe di esperti stiamo studiando un relitto probabilmente antichissimo (quello di Sa Domu e S’Orku), allo stato degli studi non possiamo affermare né che il relitto sia di età nuragica e nemmeno che sia sardo, in quanto nel carico abbiamo dei lingotti di stagno. Solo le analisi archeometallurgiche di cui avremmo a breve i risultati potranno darci qualche notizia in più a riguardo. Parlare dei ritrovamenti ceramici, di frammenti o di navicelle di Lipari, Taormina, Pantalica, Huelva, Knossos, Malaga, Utica, Cartagine, Lixus, Monte Vetrano, Aldovesta, S. Bartolomè, Marsiglia, Cadice, Castillo De Dona Blanca, El Carambolo, Las Chorreras, Toscanos, Almonte, Vetulonia, Vulci, Populonia, Isola d’Elba, Corsica, Bologna, Monte Vetrano, Hera Lacina (Crotone), Motya, Tarquinia, Ponte Cagnano, Fiumicino, Cuma, Cerveteri, Veio, Marcellano, San Feliciano, Pisa (a questo punto pienamente Vichinga), Montaione, Roselle è una cavolata in quanto non ci troviamo più nella bella età dei nuraghi. Lo specialista Pinco Pallino si è dimenticato di Emporion in Catalogna, ma lasciamolo ai suoi sogni di gloria da Pincopallo quale è. Sulla base di questi pochi dati da studiosa non mi sento di avallare con certezza l’ipotesi in queste fasi cronologiche dell’esistenza di una flotta nuragica organizzata e impegnata in traffici transmarini, pur non escludendo che le popolazioni isolane avessero già sviluppato tecnologie sufficienti per affrontare navigazioni a lunga distanza. Come è noto, il carico dei relitti finora indagati della Tarda età del Bronzo (Capo Gelidonya, Punta Iria e Uluburun), risulta composto da merci assortite provenienti da luoghi diversi del Mediterraneo e probabilmente anche gli equipaggi erano eterogenei (Bass 1967, Pulak 1998, Lolos 1999). Purtroppo al momento non conosciamo la tipologia delle imbarcazioni che solcavano i mari, e soprattutto non sappiamo se le popolazioni nuragiche avessero un ruolo attivo in queste traversate e con ciò mettiamo un PUNTO e attendiamo nuove scoperte quando arriverà il giorno in cui in Sardegna sarà ritenuto importante l’apporto dell’archeologia subacquea e navale. Ah scusate ho nominato solo una volta gli Shardana, che con la Sardegna fino a prova contraria non c’entrano nulla e vengono nominati continuamente ad mentula canis, infatti, finora non è stata ritrovata nessuna evidenza materiale della loro presenza. Ritengo che il popolo che anticamente abitava la Sardegna avesse delle caratteristiche che lo distinguevano dagli altri e non necessitava per ottenere dignità storica di essere assimilato a un gruppo etnico non ben definito, di mercenari o pirati , addirittura sconfitto dall’esercito del Faraone. In quest’ottica la tesi che vede la corrispondenza tra Shardana e Nuragici non va criticata o accettata sul piano politico bensì su quello metodologico.

  7. Cito paro paro dall’articolo quì sopra:

    “ma alcune di noi in età antica hanno viaggiato su navi con altre merci, giungendo in Etruria, Spagna, Cipro…”

    Ergo io per primo concordo sul fatto che merci di età nuragica e della prima età del ferro sarde abbiano viaggiato per mare giungendo in altre destinazioni.

    Vi invito a leggere anche i miei due commenti a pincopallino, che sono puramente metodologici e tecnici, sia il primo che il secondo.

    Sono a conoscenza del carico di Sa Dom’e S’Orcu, ma appunto ripeto: carico, non relitto. E’ stato catapultato li? certo che no, ovviamente si trovava su una imbarcazione. Per quanto si sa, potrebbe pure essere stato un abbandono volontario per alleggerire la nave. Finchè non avremo uno scafo da studiare, Sia noi archeologi sia gli studiosi appassionati, indipendenti, o chiamateli come vi pare, possiamo solo ragionarci su, chi più, chi meno fantasiosamente.

    Ripeto infine, che per parlare di navi in senso stretto, occorre sapere come le navi siano realmente fatte, e come esse facciano a navigare. Eccellenti esempi ce li danno i colleghi del museo di Roskilde, per alcuni relitti medievali, dove, appunto, avendo i relitti a disposizione, è stato possibile fare uno studio completo sino a ricostruire copie naviganti seguendo le tecnologie dell’epoca così come è stato fatto per alcune navi cucite del Mediterraneo, con ovviamente molte più difficoltà dato lo stato di conservazione dei relitti.

    Sulla questione politica, abbiamo anche recenti articoli riguardanti proprio Oristano: http://www.sardiniapost.it/politica/oristano-mibact-regione-giganti-monte-prama-non-gli-eroi/
    Ditemi voi se trovate giusto che ci si immischi in questioni puramente accademiche, e se questo non possa trascinare la popolazione che legge le notizie su uno o sull’altro versante dell’ago della bilancia.
    buona lettura della notizia.

  8. Aggiungo solo una cosa: non confondiamo l’archeologia del commercio del Mediterraneo antico con l’Archeologia navale. Sono materie interconnesse, ma totalmente diverse tra loro.

  9. @Anna Ardu Il problema è che le vostre critiche non sono affatto sul piano metodologico ma su quello ideologico e politico.
    Ma soprattutto chi gliel’ha detto che i Sardi dopo il XII secolo a.c non sono più nuragici? Lo stesso articolo si chiama “intervista alle navicelle nuragiche” o sbaglio? Non ha appena scritto che la navicelle nuragiche risalgono al IX secolo a.c?
    Forse prima dovrebbe chiarire meglio la sua terminologia. Le ceramiche ed i manufatti metallici dell’età del ferro e del bronzo finale sono chiamati nuragici in tutte le pubblicazioni. I Sardi dell’età del ferro non vivevano forse in villaggi collocati attorno ai nuraghi polilobati? Non si riunivano attorno a modelli in pietra di nuraghi? Non scolpivano altari a forma di nuraghe? Non creavano bottoni di bronzo a forma di nuraghe?
    Le stesse navicelle talvolta presentano raffigurazioni di nuraghetti a bordo come in quella di Vetulonia.

    1. Pinco hai la mia solidarietà. Da quando ho avuto modo di leggere un articolo sulle navicelle nuragiche, mi si è aperto un mondo.
      http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2011/07/civilta-nuragica-le-navicelle-bronzee.html
      Ma mi chiedo se questi nuragici o popolazioni della Sardegna navigavano come hanno iniziato questa antica e millenaria attività? Dal nulla non di certo.
      I popoli nuragici o Sardi come costruivano le loro magnifiche imbarcazioni visto che qualcuno in siti web scrive :
      “I cosiddetti Fenici furono favoriti dalla disponibilità di legname d’alto fusto, indispensabile per costruzioni navali di questo tipo. …….”
      Quindi che legni usavano?
      Le barche per essere costruite hanno necessità di un quantitativo di legname non indifferente ma anche di forme diverse. Almeno così ho sempre visto nei cantieri dove si costruiscono ancora oggi i gozzi.
      Inoltre si aggiunge, sempre dal web: “Occorre comunque rilevare che le prime imbarcazioni fenicie furono coeve delle ultime nuragiche. La struttura a chiglia e coste è costituita da un elemento longitudinale sul quale si impostano le coste, disposta in senso trasversale…..”
      Ma la “navicella trilobata” rientra tra le riproduzioni navali? perchè allora si potrebbe ipotizzare l’esistenza del trimarano. Barca di concetto molto avanzato ma che non trova riscontri iconografici ne bibliografici (Thockmorton1987- Richard Steffy 1994)

      Scusa la mia non è solo curiosità

      Virgilio G.

      1. Non so se sia giusto dire che le prime imbarcazioni fenicie siano coeve alle ultime nuragiche. Sicuramente piccole imbarcazioni si utilizzavano in tutto il Mediterraneo da tempo immemore, già dal Neolitico antico, se non prima. Leggendo i documenti mediorientali del terzo e del secondo millennio a.c si evince che le navi erano già ben conosciute in tutto il Mediterraneo Orientale.
        Ad esempio dalla lettura delle lettere di Amarna si evince che anche le città fenicie disponevano di navi commerciali. Ugarit, una città non propriamente fenicia ma comunque di cultura prevalentemente cananea, disponeva di una grande flotta, se non ricordo male la città aveva a disposizione 150 navi.

  10. Muovo solo una piccola osservazione che non vuole essere polemica, ma costruttiva:

    In Libano allignano il Cedro del Libano (Cedrus libani L.) ed altre piante ad alto fusto adatte alla realizzazione del fasciame e dell’alberatura.
    In Sardegna, dopo il periodo delle glaciazioni, assistiamo ad un progressivo inaridimento del clima, con una regressione di alcune specie come il Tasso (Taxus bacata) che troviamo relitta solo nelle stazioni più fresche della barbagia. Pianta che comunque non è adatta alla costruzione del fasciame.
    Gli esami palinologici finora pubblicati e a disposizione, ci riportano per l’età del bronzo un paleoambiente che favoriva lo sviluppo della vegetazione boschiva di latifoglie, come elce, quercus, pioppi, salici e olivi, mentre verso l’età del ferro, troviamo lo sviluppo più tipico della macchia mediterranea.
    Ora: da un punto di vista tecnico navale, abbiamo delle essenze perfette per la costruzione di ordinate, ma ci mancano quelle atte a costruire il fasciame (larice, pino rosso, pino argentato, cedro, etc… ). Fatta esclusione FORSE per il pino marittimo, di cui abbiamo traccia nelle pigne contenute nelle anfore cartaginesi di IV sec.a.C. rinvenute a Santa Gilla.
    La cantieristica navale moderna in Sardegna, pur replicando e adattando linee d’acqua tipicamente genovesi e campane, ha dovuto adattarsi alle essenze lignee presenti sul territorio, sfruttando appunto le essenze di pino per il fasciame. Ora, per quanto siano legni poco duraturi in ambiente marino, questo è ciò che si aveva a disposizione per la costruzione. tuttavia, a causa delle caratteristiche tecniche di questo legname, non si arriva facilmente a costruire imbarcazioni di dimensioni superiori ai 5-9 metri.
    Riportando il tutto in un ambiente di età del bronzo, a patto che queste essenze fossero disponibili, queste sono le dimensioni medie delle barche che possiamo aspettarci. Naturalmente, per poter dire di più, dobbiamo attendere il ritrovamento di uno scafo databile e identificabile con certezza.
    E’ possibile navigare dalla sardegna con una barca del genere? certo, lo abbiamo fatto sino a pochi decenni fa.
    Lo si è fatto in età nuragica con navi costruite in Sardegna? difficile dirlo. Possiamo dire con certezza che le merci sarde hanno viaggiato su navi, ma non sappiamo di che provenienza. Finora si può solo ipotizzare, ma è come discutere del sesso degli angeli, finché non troviamo una prova archeologica di ciò. Per questo confido nelle ricerche della dott.ssa Ardu, che giustamente cita il rinvenimento del carico di Sa Dom’e s’Orku. Quello che mi auguro, è che in una campagna di scavi che si rende quanto mai necessaria, si abbia la fortuna di rinvenire tracce della nave, e poter dare più risposte in merito.

      1. Molto interessanti questi dati sul pino d’Aleppo e la sua diffusione. Il pino d’Aleppo ha caratteristiche tecniche simili al marittimo.
        Non eccezionali per la cantieristica, ma appunto, adattabili come accennavo sopra per la costruzione del fasciame di barche di non grandissime dimensioni, o per la riparazione di imbarcazioni più grandi in mancanza di altre essenze.

  11. Perdonate la brevissima aggiunta: va da se, che scavo archeologico e analisi palinologiche, sarebbero da portare avanti di pari passo in ogni scavo, al fine di poter ricostruire il maggior numero di dati sul paleoamebiente sardo.

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