“Little Creatures” album dei Talking Heads: 40 anni di surreale pop

Mi sono sempre chiesta da dove sia nato il mio gusto musicale, quando abbia cominciato a prendere una forma definita, a scegliere una strada piuttosto che un’altra. È una domanda legittima, soprattutto per chi, come me, ha vissuto la propria adolescenza in un’epoca in cui scoprire nuova musica era un’impresa ben più complicata di oggi.

Little Creatures Talking Heads
Little Creatures Talking Heads

Erano i tempi pre-streaming, prima dell’avvento delle radio indipendenti, quando l’unico modo per ascoltare qualcosa di nuovo era infilarsi in un negozio di dischi e lasciarsi guidare dall’istinto o dalla grafica di una copertina. E, va detto, questa possibilità era un lusso per chi viveva vicino a una grande città.

A volte, la bussola musicale era rappresentata da fratelli maggiori, amici più grandi, adulti con una collezione più fornita e qualche soldo in più da spendere in vinili. Così è stato per me.

Dal 1978 in poi, il mio gusto musicale è stato modellato da questa cerchia di mentori involontari, e così, nel 1985, era inevitabile che la mia attenzione cadesse su un disco come Little Creatures dei Talking Heads.

Ora, è il loro album più cool? Quello più artistico? No, decisamente no. È il loro più pop? Assolutamente sì. E all’orecchio di una giovane donna cresciuta in un habitat musicale ben preciso, suonava come una rivelazione.

Sin dalla prima traccia, And She Was, l’album sprigiona un’energia gioiosa, quasi infantile. Non che i Talking Heads non fossero già noti per la loro stravaganza, ma qui David Byrne sembra divertirsi come un bambino alle prese con una scatola di colori. Il ritmo saltellante, i cori squillanti, la produzione nitida e luminosa: And She Was è una sorta di filastrocca pop-rock, con la leggerezza di una giornata d’estate e l’innocenza di un gioco di strada.

Classificare Little Creatures non è un compito facile. L’istinto lo colloca nella new wave o nel post-punk, complice la voce e la figura di Byrne, che negli anni ha rivelato di avere lievi tratti dello spettro autistico.

Ma il disco è molto di più: c’è dentro il country rock, il gospel, l’Americana, l’art rock, un pizzico di pop. Un pastiche stilistico che sfugge alle etichette e finisce per diventare un genere a sé, qualcosa di unico e inclassificabile.

E sì, è un disco strano. I Talking Heads sono strani. David Byrne è strano.

Non che ci si potesse aspettare qualcosa di diverso da chi ha inciso Remain in Light e More Songs About Buildings and Food. Ma anche quando si tuffano nel pop, lo fanno a modo loro: come se Jean Luc Godard girasse un cinepanettone o Gabriele Salvatores dirigesse un film di supereroi. Il risultato è qualcosa che sembra rientrare nei canoni del pop, ma che al tempo stesso si muove in una dimensione tutta sua, leggermente sghemba, surreale.

Little Creatures non somiglia a nient’altro nel tempo. E io l’ho consumato, letteralmente, nel mio Walkman, lasciandolo girare all’infinito. Mi chiedo quanto abbia influito su di me, su quella che sono diventata. Perché riascoltandolo oggi, mi sembra chiaro che sarebbe la colonna sonora perfetta di un bizzarro sogno notturno, dal quale, una volta sveglio, riesci a riprenderti a fatica. Eppure, quarant’anni dopo, non smette di essere luminoso, spiazzante, incredibilmente vivo.

Tracklist

And She Was
Give Me Back My Name
Creatures Of Love
The Lady Don’t Mind
Perfect World
Stay Up Late
Walk It Down
Television Man
Road To Nowhere

 

Written by Cinzia Milite

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

OUBLIETTE MAGAZINE
Panoramica privacy

This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.