“Le vie del vento” di Fabio Soricone: la prefazione della silloge poetica

C’è chi combatte/ in nome degli Dèi/ chi in vece parla/ esaltandone la gloria/ ma chi ha compreso/ porta nel cuore/ solo il silenzio e l’atavico/ stupore e ancora silenzio/ e meraviglia// […]” ‒ “Canto”[1]

Le vie del vento Fabio Soricone prefazione
Le vie del vento Fabio Soricone prefazione

“Le vie del vento” (Tomarchio Editore, marzo 2025) è la settima raccolta poetica di Fabio Soricone, preceduta da Messi d’oro”, “La fascinazione della paura”, “I fiori sul sentiero” (Aletti), “Pescina e il primo canto” (Gruppo Albatros il Filo), “Il Segreto della Presenza” (Europa) ed “Eos” (Pagine). La prefazione de “Le vie del vento” è stata curata da Alessia Mocci e la postfazione da Franco Carta.

A gennaio 2025, le liriche “Poesia”, “Il profumo della vetta”, “Oceano”, “Autunno”, “Quanto silenzio sotto questa luna” e “Grido” sono state insignite del Premio Speciale della Giuria al prestigioso concorso “Ossi di Seppia” nella sezione “breve silloge”. A febbraio 2025, la poesia “Cielo d’agosto a Pescina” è risultata finalista nella sezione Poesia singola dell’8ª edizione del Premio Internazionale “Michelangelo Buonarroti”.

Per gentile concessione della casa editrice Tomarchio Editore pubblichiamo in anteprima la prefazione de “Le vie del vento”.

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Prefazione de “Le vie del vento”

La ricerca di sintesi trascina il poeta verso il nucleo del suo sentire, ogni rivisitazione tracima la necessità di trasparenza perché è nel “poco” che si ha percezione del “molto”. Così quel percorso verso la chiarezza del dire diventa “una terra priva di sentieri[2] nella quale si procede in silenzio ed in attesa di udire sussurrare la voce che “apre il varco del mistero[3].

Unico e privilegiato testimone, il poeta si accinge a trascrivere ciò che ha colto alimentando quell’antico dubbio sulla provenienza del ritmo e del senso (“faccio breccia nel cuore di un dio”)[4] che, da millenni, prospera nelle pagine più illuminanti ‒ ma anche più angoscianti ‒ della storia della letteratura, religione e filosofia. Perché definire il sacro è compito di per sé impossibile da adempiere eppure l’impulso verso la condivisione ‒ tramite parole od immagini ‒ del “sentirsi nel sacro” diviene dovere prioritario e necessario per la propria esistenza.

Potrebbe sembrare un’esagerazione: come si può ritenere necessario per la propria sussistenza definire proprio il sacro essendo consapevoli dell’impossibilità dell’impresa? Una domanda legittima ma è proprio l’inattuabilità che rende cogente il lavoro. Infatti, coloro ai quali è accaduto di vivere l’evento estatico sperimentano l’immortale nel mortale, l’impossibile nel possibile, l’infinito nel finito, l’eterno nello spaziotempo.

Quella notte fu un anelito a svegliarlarivela Fabio Soricone nella lirica “Caterina da Siena”[5] dedicata alla mistica italiana che, sin dall’età di otto anni, trascorreva le notti con “una candela accesa nella stanza” aspettando i “rapimenti che spesso sopraggiungevano”.

L’estasi ‒ il rapimento del dio ‒ è semenza primigenia del concetto filosofico di eterno ‒ senza principio e senza fine ‒ che mostra “solo il silenzio e l’atavico/ stupore e ancora silenzio/ e meraviglia[6] nelle sembianze di luce vivissima che opera verso l’unione degli opposti, infatti è lo stesso bagliore che, dominando la vista, rende sia vedenti sia ciechi.

Tale è la forza del dio da rendere vana qualsiasi fuga. L’attenzionato vive lo stupore[7] della visione di un fulmine ed egli stesso diventa fulmine essendo il momento estatico un’esperienza che si osserva dall’esterno e dall’interno nel medesimo istante perché “l’infinito non è lo spazio immenso delle stelle/ ma un segreto condiviso”.[8]

Un “segreto condiviso” che evoca nella memoria il precetto epicureo del vivere nascosti (λάθε βιώσας, lathe biosas) ed il frammento eracliteo “l’origine ama nascondersi[9] che svolgono la funzione di aprire la via verso l’abisso (“Ma è Dio stesso a guidarle,/ dopo aver letto nell’abisso dei loro cuori.”[10]) nella quale l’iniziato avrà l’occasione di risvegliarsi[11] dal torpore della personalità ‒ plasmata dalla società ‒ per cercare “un silenzio che non abbia/ la roboante speme impazzita del mondo”.[12]

Nell’istante dell’estasi inizia e termina tutto il percorso: il poeta mistico dovrà ripercorrerlo ciclicamente assurgendo a divenire egli stesso la figurazione dell’immagine del serpente che si morde la coda[13] che, senza sosta, pone la domanda fondante che ha infiammato la visione (“Che Dio fosse tra le innumere/ Cose la più ascosa/ (una fenditura nel reale)/ Incavata nel tempo, per noi fuori dal tempo,/ Rivelata in un colore che sfuma/ E trascolora pianamente e si fa vento/ Non seppi che all’Angelo Verde…// Scoprii tutto questo una strana notte./ Dragando un sogno.”)[14] e che rinnova, ad ogni respiro, il ricordo in un immutevole presente.

Fabio Soricone citazioni poesia
Fabio Soricone citazioni poesia

Così sul poeta mistico incombe il peso più grande: il coraggio di chiedere il fondamento del Tutto con tensione ed intenzione tali da far precipitare la coscienza nella voragine della follia tanto è luminosa ed oscura la risposta alla domanda fondante (“Ma in quel momento senza speranza divenni un testimone./ Il sottofondo di un’intera esistenza/ come un canto che ignoravo si diffuse per sempre/ nel mio romito cuore.”)[15] e tanto è contrastante l’emozione che ne deriva: ora di gioia ed ora di angoscia.

L’arduo compito sarà quello di equilibrare gli antitetici moti, facendo del due l’uno. Animato da coraggio, il poeta riuscirà ad annientare la caduta nell’abisso quando ne avrà raggiunto il fondo: la compassione (“Ignorando le altezze imperiose/ della terra ferma,/ conobbe la speranza nei silenzi/ imperituri dei fondali,/ catturò la compassione dove la luce/ non attecchisce mai.”)[16] pura ed incondizionata, patita e non più pensata.

“Le vie del vento”[17] soffiano e sbuffano “ammantate di silenzio” in un continuo torcersi, in un incessante avvitamento nella “discesa là dove si spezzano gli incanti/ e germoglia l’Amore.”[18] trascinando il lettore in una storia che bisbiglia il canto atavico del fiato divino.

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Written by Alessia Mocci

 

Note

[1] Fabio Soricone, Le vie del vento, Tomarchio Editore, 2025, p. 25.

[2] La citazione iniziale della raccolta “Le vie del vento” è “La verità è una terra priva di sentieri” del mistico Jiddu Krishnamurti. Fabio Soricone mostra la sua capacità di sintesi proprio con la scelta di questa frase che racchiude il nucleo di interpretazione della sua silloge.

[3] Poesia “Il profumo della vetta”, p. 14.

[4] Ibidem.

[5] Poesia “Caterina da Siena”, p. 17.

[6] Poesia “Canto”, p. 25.

[7] Da intendersi come fusione tra terrore e meraviglia.

[8] Poesia “La casa nascosta”, p. 48.

[9] Traduzione di Angelo Tonelli tratta da “Dell’Origine” edito da Feltrinelli nel 1993, il frammento è il numero 116. Diversamente Giorgio Colli traduce con “Nascimento ama nascondersi” nel volume “La sapienza greca III Eraclito” edito da Adelphi nel 1980 (frammento A92).

[10] Poesia “Segreto”, p. 24.

[11] È importante ricordare un altro frammento di Eraclito che contrappone i risvegliati ai dormienti ‒ cioè coloro che vivono inconsapevoli ‒ ma per entrambi allude alla facoltà di creazione “coloro che dormono sono artefici e complici delle cose che sorgono nel cosmo” (fr. 91, Angelo Tonelli ‒ fr. A98 per Giorgio Colli che traduce con “I dormienti sono artefici delle cose che accadono nel mondo, e aiutano a produrle”).

[12] Poesia “Quanto silenzio sotto questa luna”, p. 46.

[13] La celebre figura dell’Ourobóro (dal greco οὐροβόρος) con etimologia ermetica che rappresenta l’eternità come l’unione dell’inizio e della fine.

[14] Poesia “L’Angelo Verde”, p. 52.

[15] Poesia “Il ponte ai confini del mondo”, p. 77.

[16] Poesia “Oceano”, p. 72.

[17] La poesia che dà il titolo alla raccolta è sita a p. 88.

[18] Poesia “Ineffabile”, p. 20.

 

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