“I vizi degli italiani” di Giacomo Leopardi: una valida analisi anche per l’Italia contemporanea
Le condizioni fisiche di Giacomo Leopardi, purtroppo, mai gli permisero di viaggiare in Europa come avrebbe voluto e come facevano tanti altri giovani come lui.

Ciò non gli impedì, tuttavia, di scrivere questo breve saggio, “I vizi degli italiani”, in cui mettere a confronto i costumi dei suoi connazionali con quelli di altri popoli europei.
Aveva solo 25 anni quando scrisse “I vizi degli italiani” in cui il “nostro” si rivelò essere anche un “sociologo ante litteram”, e non solo un poeta e filosofo.
Sono necessarie, a mio parere, due importanti annotazioni da portare in premessa, le seguenti.
A questo saggio Leopardi diede il seguente titolo: “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani“. Un titolo abbastanza eloquente, direi. Per questo mi stupisce la scelta della Garzanti di pubblicarlo con un titolo diverso. Assegnarli un titolo nuovo e diverso, non lo ritengo opportuno, prima di tutto per un discorso puramente di ordine filologico, secondariamente perché non ne vedo la necessità, essendo che ormai il saggio è universalmente conosciuto con il titolo originale.
La seconda annotazione è che questo pamphlet non fu mai pubblicato con Leopardi in vita, ma venne pubblicato per la prima volta solo nel 1908, dalla casa editrice “Le Monnier”. È un dato importante da conoscere perché dimostra come Leopardi non si convinse mai a pubblicarlo, molto probabilmente perché le sue idee sul tema si modificarono successivamente. In lui subentrò successivamente quella nota visione del mondo assai più segnata dal pessimismo e dalla disillusione, tale da fargli mettere probabilmente in discussione quanto scritto nel “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani“.
Tutto ciò premesso vengo ai contenuti veri e propri del testo in oggetto.
I giudizi degli scrittori stranieri sugli italiani erano allora fin troppo generosi, perché secondo Leopardi i suoi connazionali erano portatori di non pochi difetti, a partire dalla mancanza in loro di un sentimento ben ancorato del carattere della nazione.
Scrive nella prefazione Sergio Romano: «Mentre in Europa stavano nascendo società nazionali per cui ogni cittadino apparteneva a una stessa comunità e i ceti sociali interloquivano nell’interesse dell’intero paese, l’Italia soffriva continuamente di cinismo e frivolezza».
Tant’è che per il grande poeta di Recanati la nostra penisola non aveva spazi di scambio di idee che non fossero quei luoghi in cui si esprimevano solo canzonature e dileggio.
La causa dei difetti degli italiani dipendeva per Leopardi dalla mancanza di una società “stretta”, vale a dire di una società più ristretta e coesa, formata dalla classe dirigente e più colta del paese, in grado di costruire questo carattere nazionale, basato su un’identità e una comunione di intenti e di ideali. Ciò che manca ancor oggi, direi.
È quasi incredibile constatare come Leopardi, nel 1824, anticipasse in parte la sociologia di stampo positivista che nascerà di lì a poco, in Francia, con Auguste Comte, quando per spiegare il comportamento degli italiani chiamerà in causa le condizioni climatiche.
Leopardi imputa infatti al clima caldo ciò che induce gli italiani a vivere gran parte delle loro giornate all’aperto, a passeggiare, ad assistere a spettacoli vari o anche ad andare in chiesa, evitando attività più faticose, come quelle più spirituali e rivolte alla conoscenza.
Da notare che l’andare in Chiesa degli italiani viene osservata da Leopardi più che altro come attività mondana.
Anche nell’identificazione delle classi sociali Leopardi anticipa successivi studi sociologici, seppur in modo abbastanza schematico.
Leopardi individua due classi principali, quella di coloro che per vivere hanno bisogno di lavorare, per lo più manualmente, e quella di coloro che per vivere non hanno bisogno di lavorare.
Ovviamente è a quest’ultima classe che Leopardi imputa la responsabilità di non aver saputo costruire in Italia una società più giusta, laboriosa e coesa, come avveniva invece negli altri paesi europei.
Tuttavia, ne “I vizi degli italiani”, Leopardi riconosce agli italiani una capacità filosofica che definisce pratica e che li porta a comprendere più degli stranieri la “vanità” di ogni cosa.
Questa capacità però fa si che i suoi concittadini vengano di conseguenza pervasi da un individualismo profondo e da una forte diffidenza verso gli altri e perfino verso se stessi. Gli italiani sono quindi definiti come un popolo di cinici, senza un senso morale ed etico radicato.
Ciò comporta però la presenza anche di un aspetto positivo, come il saper ridere di se stessi, cosa che, invece, molto spesso manca agli stranieri.
La vena sociologica che Giacomo Leopardi esprime in questo saggio si evidenzia anche quando questi analizza la differenza tra i popoli settentrionali e quelli meridionali, senza escludere l’interno dell’Italia stessa. Leopardi intravede già l’inizio di un processo di decadenza dei popoli del Sud e, viceversa, di crescita di quelli del Nord.

Scrive a questo proposito: «A proposito delle quali osservazioni, sia detto di passaggio che io non dubito di attribuire in gran parte la decisa e visibile superiorità presente delle nazioni settentrionali sulle meridionali, sì in politica, sì in ogni cosa, alla superiorità della loro immaginazione. Né questa, né quella per conseguenza, sono da considerarsi per cose accidentali. Sembra che il tempo del settentrione sia venuto. Finora ha sempre brillato e potuto nel mondo il mezzogiorno. Ed esso era veramente fatto per brillare e prepotere in tempi quali furono gli antichi. E il settentrione viceversa è propriamente fatto per tenere il disopra ne’ tempi della natura de’ moderni».
Ciò che meraviglia delle considerazioni riportate del giovane Leopardi è come la sua analisi dell’Italia e degli italiani nella società della sua epoca sia ancora valida nell’Italia contemporanea.
Si può forse meglio dire che Leopardi seppe individuare gli inizi di quel processo sociale e culturale che ha portato a costituire la società moderna italiana.
Written by Algo Ferrari
Bibliografia
Giacomo Leopardi, I vizi degli italiani, Garzanti, 2019