“Un giallo a Napoli” di Loretta Marcon: nuove ipotesi sulla morte di Giacomo Leopardi
Alla morte di Giacomo Leopardi, Francesco De Sanctis ha vent’anni; come altri, percepisce un manto di mistero intorno all’evento. “Poco dopo seppi che il gran poeta era morto. Come, quando, dove non si sapeva. Pareva che un’ombra oscura lo avvolgesse e ce lo rubasse alla vista. Le immaginazioni, percosse da tante morti, poco rimasero impressionate di quella morte misteriosa”.[1]

Le vicende relative alla fine di Leopardi non sono ancora chiare; animam Deo reddidit. Ha reso l’anima a Dio da cattolico? Dove riposano le spoglie? Tante le domande, tanti i dubbi; la morte di Giacomo Leopardi è – e probabilmente – resterà una aporia. Varie versioni, numerose contraddizioni hanno alimentato il mistero; l’artefice fu quell’amico che il Poeta amava, Antonio Ranieri. Animata da un desiderio personale di verità, Loretta Marcon ha condotto una ricerca scrupolosa; il saggio Un giallo a Napoli (Guida Editori, 2017, 3ª ed., pp. 219), sottotitolato La seconda morte di Giacomo Leopardi, non pretende rivelare scoperte eclatanti, né definitive. Ha piuttosto lo scopo di evidenziare particolari e circostanze; suffragati da documenti inediti, essi potrebbero suggerire nuove ipotesi e piste di ricerca.
Chi è Antonio Ranieri? Biondo, di bell’aspetto, a vent’anni termina gli studi di storia e giurisprudenza a Roma; qui conosce Carlo Troya, esule dal Regno Borbonico. Lo storico si spinge in varie città per le sue ricerche; Ranieri lo accompagna, spacciandosi per esiliato. I viaggi gli permettono di frequentare ambienti letterari; al Gabinetto Viesseux ritrova Pietro Giordani. Vi conosce altri personaggi, tutti invisi ai governi dispotici; tali amicizie gli valgono la fama di cospiratore e patriota.
Il “sentimento liberale” è solo bisbigliato; non si traduce mai in azioni intrepide. Ranieri pubblica alcune opere; nel 1848 l’elezione a deputato inaugura la carriera politica. Varie vicende biografiche ne restituiscono il carattere; emerge un personaggio ambiguo, opportunista e incoerente. La vera personalità di Ranieri non sembra del tutto chiarita; viene ancora considerato solo nel binomio con Leopardi.
L’incontro avviene a Firenze il 29 giugno 1827. Un giallo a Napoli racconta che Ranieri ambisce alla gloria; la respira grazie alla vicinanza con il Poeta. Bello, affabile, lo attrae subito con le proprie doti; un destino avaro le ha negate a Giacomo. Antonio è incline al “male oscuro”; anche questo aspetto può averli avvicinati. Li lega un altro elemento di affinità; entrambi dissentono dalle idee paterne. Il rapporto si fa stretto; decidono di trasferirsi a Napoli. In piena demenza senile, nel 1880 Ranieri pubblica Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi; l’opera attira innumerevoli strali, tanto che l’autore ne fa ritirare le copie. Indigna il ritratto che traccia dell’amico scomparso; indignano le tante falsità riportate. Bugie e contraddizioni sono state dimostrate; ma si è continuato a prestare fede al Sodalizio.
Insieme a Ranieri, Giacomo Leopardi arriva a Napoli il 2 ottobre 1833; le prime due dimore si trovano nei Quartieri Spagnoli. Tra il 4 e il 9 maggio 1835, gli amici approdano nel Quartiere Stella; il nuovo alloggio è un appartamentino, al numero due di Vico Pero. Poco dopo il trasferimento, Paolina Ranieri va a vivere con loro; li accudisce e presta le cure a Giacomo.
I rapporti del Poeta con Napoli non sono idilliaci. All’arrivo nutre speranze; forse le condizioni fisiche miglioreranno grazie al clima. Così avviene, almeno all’inizio; la città gli offre anche il piacere di passare inosservato tra la folla.
Ben presto l’entusiasmo si spegne; sfuma nel rifiuto, non di Napoli ma dei suoi abitanti. Leopardi incontra personaggi di spicco dell’ambiente culturale; il loro giudizio sui suoi scritti non è del tutto positivo. In mezzo a quel fervore, Giacomo si sente un estraneo; a scaldare quella freddezza, l’entusiasmo di De Sanctis.
Un giallo a Napoli ci porta a Torre del Greco; i due amici arrivano nell’aprile del 1836. Restano nella Villa del Ferrigni fino alla fine di giugno; vi tornano il 20 agosto, con l’intenzione di terminare lì l’estate. Da Napoli arrivano notizie allarmanti; costretti a prolungare il soggiorno, si fermano fino alla metà di febbraio del 1837. Verso l’autunno del 1836 inizia a circolare una voce; una nuova epidemia di colera si sta avvicinando alla città. In poche settimane la situazione si fa drammatica; disposizioni assai rigide impongono la sepoltura nelle fosse comuni. Nelle lettere ai familiari, Leopardi esprime il desiderio di tornare a Recanati; più volte insiste sulla speranza di “sradicarsi [di lì] al più presto”. Dignitoso, forse intende evitare le ristrettezze finanziarie; mentre Ranieri lo presenta come un mantenuto.
Un giallo a Napoli introduce il “passaggio” del Poeta; il racconto segue le dichiarazioni di Antonio. Il 14 giugno 1837 la carrozza attende presso la casa di Vico Pero; insieme a Paolina, i due amici devono recarsi a Villa Ferrigni. Nel Sodalizio Ranieri ricorda quel pomeriggio; supplicato di non attardarsi, alle cinque Giacomo si appresta a desinare. Non si sente bene; ha bisogno del dottore. È Antonio a correre a chiamarlo; il responso è impietoso. Il prete arriva per ultimo; è troppo tardi.
Nella Notizia (1845) Ranieri racconta altro; Giacomo sarebbe spirato tra le sue amorevoli braccia. Il Supplemento alla Notizia (1847) introduce la versione che verrà confermata nel Sodalizio; all’arrivo del frate, Leopardi ha appena cessato di respirare.

Un giallo a Napoli si sofferma su Padre Felice da Cerignola, un agostiniano scalzo; egli si raccoglie in preghiera, insieme a tutti i presenti. Terminate le orazioni, verga il certificato per il parroco; la “fede” di Padre Felice salva il cadavere dalla confusione del cimitero colerico. Composto in una cassa di noce, il corpo viene accolto nella chiesetta di San Vitale; seppellito sotto l’altare di destra, sarà poi traslato nel vestibolo. Un giallo a Napoli si interroga sull’identità del medico; Ranieri fa il nome dell’illustre Nicola (o Niccolò) Mannella, un luminare del tempo. Come avrebbe potuto permettersi un tale lusso? Vista la sua scarsa disponibilità economica, pare più plausibile un’altra ipotesi; sarebbe ricorso all’amico Stefano Mollica, il medico che stilò il certificato di morte.
Torniamo alle diverse versioni fornite da Ranieri. Egli comunica la triste notizia a Giuseppe Melchiorri; allega alla missiva quella destinata a Monaldo. In una lettera del 26 giugno 1837, rassicura il Conte; Giacomo ha ricevuto i conforti della santa religione. Sul periodico «Il Progresso» viene stampato un necrologio, firmato A.R; vi si legge che Leopardi è sepolto nella chiesa di San Vitale. Dopo questa pubblicazione, Ranieri precisa a Monaldo che nell’articolo non ha scritto una “notizia esatta”; quando l’occasione lo richiederà, sarà sua cura dire il vero di tutto.
Un giallo a Napoli esamina il Libro X dei defunti della parrocchia di Fonseca, relativo al 1837; il nome di Leopardi figura a pagina 174. L’annotazione recita “munito de’ SS. Sag.ti”, sepolto al Camposanto dei colerosi; nessun documento contemporaneo e pubblico smentisce il registro.
Si affronta la questione della “conversione”; il dubbio sulla morte cristiana di Giacomo assilla la famiglia. In una lettera del 12 luglio 1850, Paolina cita una risposta di Padre Curci; secondo il gesuita, Padre Francesco Scarpa avrebbe somministrato i sacramenti al moribondo. Nello stampare la vita del Poeta, Ranieri ha omesso l’episodio; interrogato, ha negato di sapere alcunché. L’ottava edizione dell’opera di Curci riporta la lettera di Padre Scarpa; nel leggerla, i Leopardi sono rimasti trasecolati. Alcuni dettagli della vita di Giacomo non rispondono al vero; è un mistero destinato a restare insoluto. Nella chiusa della missiva, Paolina espone quanto ha appreso; secondo una fonte credibile, il fratello è morto cattolico. È ragionevole porsi alcune domande. L’ateo Ranieri avrebbe pregato insieme al frate? Lo avrebbe supplicato di accompagnare l’anima di un miscredente? Ranieri ha fornito una verità nebulosa; ha accreditato soprattutto una versione, priva di dichiarazioni definitive. Di sicuro, un prete fu chiamato presso il moribondo. Forse era un esplicito desiderio di Giacomo; forse si era certi che egli avrebbe voluto così.
Un giallo a Napoli affronta la questione della sepoltura; ci riporta al registro dei morti della parrocchia di Fonseca. Al Parroco viene comunicato che Giacomo sarà seppellito nel cimitero colerico; abbiamo visto Ranieri stesso smentire questa dichiarazione. Nel Sodalizio accenna a “concitati affanni e ingenti spese”; tanti sforzi valsero a salvare il cadavere da quella misera fine. Nelle Ricordanze Luigi Settembrini riporta una confidenza; nessun prete era disposto ad accoglierlo in chiesa. A Ranieri venne indicato il Parroco di San Vitale; Don Sorbino si lasciò convincere, pare per un cesto di pesce. In nessun documento si trova traccia dell’intervento di Ranieri; non risulta che si sia rivolto personalmente al parroco. Nonostante la presunta “semi-secolare modestia”, Antonio si vanta; a suo dire, è riuscito in un’impresa straordinaria in favore dell’amico.
Nel 1839 Pietro Giordani scrive al Cavalier Felice Carrone; non ricco, Ranieri avrebbe speso centoventi scudi per salvare le ossa di Leopardi. Poco prima del 1868, Brandes riferisce un’altra versione; quella cospicua somma sarebbe servita per corrompere la polizia. Dunque non bastavano la fede di Padre Felice e quella dei medici?
Giunge nel saggio la parola a Giuseppe Ranieri; egli racconta le circostanze del seppellimento. Antonio gli consegna un passaporto, ottenuto dalla polizia; lo incarica di accompagnare la salma a Fuorigrotta. La notte in cui avviene il trasporto, si corica nel letto di Giuseppe; insieme a Lucio, questi scorta la cassa con le spoglie. Alla barriera di Piedigrotta, le guardie fermano la carrozza; a nulla vale mostrare il passaporto. Giuseppe ottiene un ordine speciale della polizia; raggiunta la chiesa, la cassa viene chiusa a chiave e collocata in un luogo apposito. L’uomo non accenna ad alcuna spesa; inoltre il suo racconto pone interrogativi sulla questione del passaporto. Secondo De Gennaro, Ranieri avrebbe addirittura informato il Ministro degli Interni; questi avrebbe concesso un permesso speciale in forma privata. La sepoltura di Leopardi pare frutto di un’eccezione; ma non esiste alcun documento o permesso ufficiale, nemmeno alla curia di Pozzuoli. Verso la fine del 1844, una lapide “monumento” viene posta nel vestibolo della chiesa; lì viene traslata la cassa con le presunte spoglie. Ranieri racconta di averla trasportata con le proprie braccia; a suo dire, ha avuto l’imprudenza di aprirla.
La legge del 4 luglio 1897 dichiara la sepoltura di Leopardi monumento nazionale; agli inizi di giugno 1898 si passa alla fase esecutiva del progetto, portato a termine nel 1902. I sospetti sulla presenza della salma a Fuorigrotta sono già noti; il 21 luglio 1900 viene effettuata una ricognizione ufficiale, in presenza del Ministro Mariotti. La bara è lunga un metro e quarantatré centimetri; lateralmente è rotta in diversi punti. All’interno viene rinvenuto un ammasso di terriccio; in mezzo, si intravede qualche osso.
Lo scheletro è quasi sparito; non c’è traccia del cranio. Ci si accorge che la cassa è stata manomessa; la parete superiore laterale è stata sostituita. Vengono repertati un pezzo di soprabito verde cupo; frammenti del corpetto rosso-marrone; la suola della scarpa.
Il professor Zuccarelli esegue ulteriori studi sul materiale; Abele De Blasio osserva l’altezza della cassa, insufficiente a custodire un cadavere a doppia gibbosità. Il Conte Leopardi esige che sia fatta chiarezza; escluso “ogni sospetto di opera umana”, il Ministro liquida la questione. I dubbi persistono;
Un giallo a Napoli fissa due puntelli. Giacomo era di “statura giusta”; la cassa di 1,43 metri non avrebbe potuto contenerne il corpo, tra l’altro deforme. Ranieri dichiara di averlo rivestito con gli abiti migliori; a suo dire, il soprabito verde è finito in una cassetta “suggellata”. Ma quel frammento figura tra i reperti; possiamo dedurre che il corpo non si trovava in quella bara.

Come avrebbe potuto Ranieri inscenare la macabra farsa? La sua passione per la notomia potrebbe fornire la risposta; assiduo spettatore di autopsie, gli sarebbe stato facile procurarsi frammenti di ossa. Allora dove sono i resti di Giacomo? La mancanza delle fonti pone un limite invalicabile; è impossibile risalire con certezza a un luogo di sepoltura. Con il passare degli anni, l’urbanizzazione rende meno tranquilla la zona di Fuorigrotta; la chiesa di San Vitale, supposta tomba del Poeta, appare ormai inadeguata. Sembra che il Ministro Pietro Fedele sia stato il primo a indicare una sede; egli ipotizzava di trasferire la tomba presso il Parco Vergiliano. Dopo l’abbandono del progetto, i lavori riprendono fino all’inizio del 1939; il trasferimento avviene il 22 febbraio, con una doppia cerimonia. Il vescovo di Pozzuoli informa del programma Monsignor Montini; le due lettere paiono un indizio importante sulla questione della conversione.
Un giallo a Napoli riserva un ultimo cenno a Ranieri; egli avoca a sé il ruolo di unico curatore dell’edizione delle opere leopardiane. Si considera anche l’unico proprietario dei manoscritti; in quanto tale, li nasconde in casa per cinquant’anni. Li include nel testamento, redatto e firmato il 10 settembre 1882; morta la seconda fantesca, saranno consegnati alla Biblioteca Nazionale di Napoli. Le due donne non sono tenute a garantirne la conservazione; il Conte Leopardi ne rivendica il possesso. Il 23 agosto 1897 il nodo è sciolto; la pubblicazione dei manoscritti leopardiani è dichiarata di pubblica utilità. Dopo varie vicende giudiziarie, il 12 maggio 1907 essi pervengono alla Biblioteca Nazionale di Napoli; più sfortunate le epistole, distrutte da Ranieri.
Un giallo a Napoli è un’opera appassionante e appassionata; un atto di amore verso Giacomo, un tributo alla verità. Ranieri ha agito come un vampiro; si è nutrito della fama dell’amico per costruire il proprio mito. Magnanimo come biografo di se stesso, si è rappresentato come un Ercole infaticabile; come un Achille affranto sul cadavere di Patroclo. Ma è stato ingeneroso con Giacomo; non pago di averlo infamato, gli ha negato l’agognato riposo. Alla famiglia, a tutti noi ha negato la verità.
“In questi estremi momenti inizia un’altra morte. La morte della verità storica. Una verità che poggia sulle sole parole di Antonio Ranieri e che tale fu creduta per molto, molto tempo”.
La creazione del mito ammicca all’immortalità del nome; Antonio Ranieri ha firmato la regia di un giallo ancora aperto. E infinito.
Written by Tiziana Topa
Note
[1] F. De Sanctis, La giovinezza, a cura di G. Bavarese, Einaudi, Torino, 1961, pp. 85-86.