Antica Roma: omosessualità e potere tra gerarchia, trasgressione e controllo
Nell’Antica Roma, l’amore non occupava un posto di rilievo nella scala delle priorità sociali. La sessualità, invece, rivestiva un ruolo centrale, poiché rappresentava uno strumento di potere e affermazione sociale. Il sesso non era soltanto un piacere, ma un atto di supremazia e controllo, un modo per ribadire la gerarchia: “questo è il mio posto, quello è il tuo”.

Non esisteva una distinzione dell’orientamento sessuale come la intendiamo oggi. Termini come eterosessuale, omosessuale o bisessuale non avevano senso nel contesto dell’Antica Roma, dove l’elemento cruciale non era il genere del partner, ma il ruolo svolto nell’atto sessuale. La società si divideva rigidamente in due categorie: chi dominava e chi era dominato. Nella prima rientravano gli uomini liberi di rango elevato; nella seconda, invece, donne, schiavi, liberti, uomini di status inferiore e tutti coloro che, per vari motivi, erano considerati privi di onore e dunque fuori dalla gerarchia sociale.
Di conseguenza, l’omosessualità, nel senso moderno del termine, non era realmente condannata. Ciò che veniva stigmatizzato era la pederastia, ossia il rapporto sessuale con un puer, considerato infamante e soggetto a restrizioni legali, soprattutto dopo la Lex Scantinia del 227 a.C. Tuttavia, avere rapporti con uno schiavo o con un uomo di rango inferiore non era ritenuto illegittimo: il sesso, per i Romani, era espressione di virilità e dominio. In particolare, i militari – simboli di forza, disciplina e strategia – erano considerati tra i più grandi interpreti dell’arte del sesso, così come gli imperatori e gli uomini di potere.
D’altro canto, intrattenere rapporti con un pari grado era visto come degradante. Un uomo libero che accettasse un ruolo passivo avrebbe perso prestigio, virilità e il rispetto dei suoi simili, infrangendo i valori del mos maiorum, pilastri della moralità romana.
Se paragonata all’intimità greca, la concezione romana della sessualità appare meno progressista e più rigida. Nell’Antica Grecia, infatti, la pederastia era considerata una fase formativa di grande valore: i giovani aristocratici, destinati a ruoli di responsabilità, dovevano sperimentare la sottomissione per comprendere appieno la struttura del potere. Solo attraverso questa esperienza, i puer avrebbero acquisito la maturità necessaria per diventare cittadini consapevoli. Oggi, questa pratica è giustamente condannata come abuso sui minori, ma al tempo era ritenuta una tappa educativa fondamentale.
Questa differenza tra le due civiltà classiche riflette il loro spirito più profondo: per Roma, il sesso era un mezzo di dominio e affermazione sociale; per Atene, un momento di crescita e apprendimento. Due visioni opposte che rispecchiano l’anima stessa delle rispettive società: la supremazia e la gerarchia da un lato, la formazione e l’educazione dall’altro.
Con il passare dei secoli, i Romani si avvicinarono sempre più alle abitudini elleniche, soprattutto in termini di ricerca del piacere. Il sesso, infatti, smise gradualmente di essere considerato un atto di forza per trasformarsi in una pratica volta alla gratificazione personale.
A Roma cominciarono a diffondersi le cosiddette pratiche del “vizio greco”, che consistevano in relazioni sia sessuali che sentimentali con un puer delicatus, ovvero un adolescente dalle fattezze femminili e quasi angeliche, che incarnava un ideale di tenerezza e delicatezza. Questi ragazzi venivano spesso ospitati nelle case dei domini con il consenso delle dominae. In generale, le relazioni extraconiugali, specialmente quelle del marito, erano ampiamente tollerate. Il matrimonio, infatti, non era fondato sull’amore, ma su convenienze sociali ed economiche, e il piacere e i sentimenti venivano cercati al di fuori del letto coniugale, che aveva principalmente una funzione procreativa. Le dominae, quindi, accettavano la scelta dei mariti di tenere in casa gli efebi angelici, a volte in una stanza situata tra quella del marito e quella della moglie. Non era raro che anche le matronae approfittassero sessualmente della presenza dei suddetti giovani dai capelli profumati e dalla pelle diafana.
Questo fenomeno si radicò così profondamente nella società romana da diventare una consuetudine consolidata. Da tutte le province dell’Impero affluivano giovani disposti a vendere la propria bellezza al miglior offerente. Tuttavia, l’elevata concorrenza fece crollare i prezzi, come testimoniano alcune scritte ritrovate a Pompei: “Isidoro si offre per due assi”, “Meandro, di buon carattere, per due assi di bronzo”. Presto, però, la richiesta ossessiva del puer delicatus lasciò il posto al desiderio per l’eunuco, considerato ancora più femminile, soprattutto nell’aspetto fisico. La prostituzione maschile divenne così un affare redditizio nel mercato romano, ma anche un problema sociale che contribuì a erodere i valori tradizionali. Di fronte a questa deriva, l’imperatore Domiziano intervenne dichiarando illegale l’evirazione. Tuttavia, questa misura non fermò il commercio di schiavi castrati, venduti come prostituti agli aristocratici.
Nel corso dell’età imperiale, la sessualità sembrò sfuggire completamente al controllo. La trasgressione, la ricerca del diverso e dello stravagante divennero una tendenza diffusa. Vari imperatori tentarono di porre un freno alla situazione imponendo un calmiere sui prezzi degli schiavi giovani, ma senza successo. Né le matrone né i domini erano disposti a rinunciare ai loro piaceri.
I teatri dell’Antica Roma, in particolare, si affollavano di persone in cerca di attrici e attori avvenenti, poiché la recitazione e l’intrattenimento erano spesso associati, nella mentalità romana, alla prostituzione. Infatti sia gli attori sia le meretrici ‒ o i meretrici ‒ erano classificati come infames, ossia colpevoli moralmente di infamia. Il motivo era da additare alla truffa di emozioni che elargivano, poiché, seppur in modi differenti, regalavano al pubblico emozioni finte in cambio di denaro. Inoltre utilizzavano travestimenti, e questo uso era pericolosamente criticato dalla morale romana. In aggiunta, i drammaturghi si ispiravano spesso alle vite delle prostitute per realizzare i propri spettacoli. Difatti uno dei personaggi fissi delle opere romane era la meretrix, una prostituta dal cuore d’oro oppure una donna cattiva che ammaliava gli uomini solo per accaparrarsi quanto più denaro possibile.
Quindi, gli aristocratici guardavano gli attori e le attrici come mezzo per soddisfare i propri vizi sessuali: rappresentavano figure di alta trasgressione, anche più di quelle presenti all’interno dei lupanari, ossia i bordelli che si trovavano nella suburra ‒ di cui abbiamo tracce visibili negli scavi di Pompei.
La trasgressione sessuale nell’Antica Roma, tuttavia, si limitava al rapporto che gli uomini avevano con le donne e che gli uomini avevano con gli uomini. Ma non era minimamente contemplata l’idea che due donne potessero vivere la propria sessualità sole, senza la presenza di una figura maschile. Questo accadeva perché l’omosessualità femminile era vista come estremamente depravata, in quanto il piacere sessuale doveva essere una prerogativa maschile. Infatti le donne, a prescindere dal loro ruolo all’interno della società, avevano il compito di dare alla luce dei cittadini romani, in modo da incrementare la popolazione e dare onore alla Patria ‒ un po’ come avviene per le ancelle de “Il Racconto dell’Ancella” di Margaret Atwood. Per cui, l’idea che due donne potessero giacere con la sola finalità del godimento era percepita come un delitto contro natura. In particolare, era il rimpiazzo dell’uomo nell’atto a venir considerato un oltraggio, perché solo l’uomo poteva concedere il piacere. La possibilità di un’omosessualità femminile metteva in discussione la potenza sessuale dell’uomo, e di conseguenza, la sua virilità e il suo potere.
Non bisogna dimenticare che la società romana, pur essendo all’avanguardia sotto molti aspetti, era fortemente maschilista e gerarchica. In questo contesto di Antica Roma, la trasgressione era concessa solo agli uomini, mentre alle donne non era riconosciuta la libertà di vivere pienamente la propria sessualità, se di nascosto. E secoli dopo, il peso di queste gerarchie continua a farsi sentire.
Written by Ilenia Sicignano