Dario Argento: l’estetica della violenza

Quando ero ancora un bambino, andavo spesso a trovare mia zia che possedeva una magnifica collezione di film in VHS.

Dario Argento citazioni
Dario Argento citazioni

M’imbattei in “Profondo Rosso” (1975) di Dario Argento e ricordo che rimasi sbalordito per quell’esplosione di creatività, quella capacità di penetrare fino ai recessi più profondi della mente alla ricerca di qualcosa che sfugge, un dettaglio forse, per quello stile elegante, estetizzante e violento.

C’era inventiva in ogni inquadratura, nelle carrellate strette, nelle soggettive, negli stacchi, in altre parole, il mio immaginario stava subendo una profonda trasformazione.

Poi fu il turno di “Suspiria” (1977) e mi vengono subito in mente le parole di Banana Yoshimoto, che si dichiarò “salvata” dalla fotografia di Luciano Tovoli che ricalca il technicolor classico, da quell’utilizzo dirompente e affascinante dei cromatismi, dalla colonna sonora inarrivabile dei Goblin, dalle architetture degli interni, ma anche, ovviamente, dal contenuto del film.

Ma qui entra in gioco la fiaba come processo iniziatico; tutti dobbiamo contare quei passi, aprire quelle porte, azionare meccanismi segreti.

“Suspiria” era un itinerario, una discesa nei regni oscuri dell’anima; ognuno di noi deve prima o poi incontrare la sua strega, la propria zona d’ombra e farci i conti.

Tutto questo ebbe un’influenza decisiva nella mia vita.

La violenza reale, che è la distruzione di ogni forma di linguaggio, di comunicazione, con Dario Argento diventa linguaggio essa stessa. Il miracolo della settima arte è quello di ridefinire la violenza, di trasfigurarla, di farne motivo di interesse, di apprendimento, di estetica.

Nei film di Dario Argento, la violenza è persino una dichiarazione di poetica.

Il motivo per cui parlo dell’assassino è che lo amorivelò in un’intervista; non tutti sanno che nelle sue pellicole, spesso, la mano guantata del killer è la sua, così come la voce che talora presta al suo personaggio.

Questo “amore” non deve essere frainteso: in un’altra, singolare intervista, il regista alla domanda “Perché nei tuoi film fai morire sempre le donne e quasi mai gli uomini”, rispose disarmante “Perché le donne mi piacciono”.

È evidente che la sua scelta di sacrificare le donne, sia un modo di consegnarle all’eternità.

Il misticismo è una delle più affascinanti inclinazioni argentiane, come egli stesso svela nella sua autobiografia “Paura”.

L’identità tra il sublime e l’orrore, la meraviglia, il Thauma, sono sicuramente aspetti nascosti del suo cinema.

La cura maniacale con cui viene concepito ogni omicidio, la forza immaginifica delle inquadrature e delle scene, l’elemento “ritualistico” che si ripropone frame dopo frame: tutto questo si chiama “arte”.

La violenza come linguaggio appunto, un linguaggio magari bizzarro, singolare, ma proprio per questo creativo e non distruttivo.

Sempre Dario Argento, durante l’ennesima intervista, evidenziò l’aspetto “ironico” della violenza cinematografica, paragonandola più al sogno che alla realtà.

Spesso criticato per buchi di sceneggiatura e assenza di intreccio nella trama (almeno a partire da “Inferno” in poi), Argento, come tutti i grandi artisti non venne compreso, quando i suoi film divennero meno lineari e più anarchici.

Partendo dalla lezione di Alfred Hitchcock (basti pensare a “Psycho” del 1960), il regista romano, nel capolavoro “Inferno” del 1980, smantella la struttura e i punti di riferimento dell’horror classico.

I detrattori lo avrebbero voluto irretito in una sorta di spaziotempo ordinario, con leggi ben definite, mentre lui, un passo alla volta, un film alla volta, faceva a pezzi gli stilemi canonici non solo del cinema cosiddetto “di genere”, bensì del cinema tout court.

La tanto bistrattata assenza di intreccio era invece una negazione della logica nel modo di dirigere un film, riscoprendo la pura ispirazione e piegando tutto unicamente al suo genio.

In questo senso, il passaggio dal thriller-horror all’horror puro, avvenuto con “Suspiria”, fu una vera e propria dichiarazione di intenti, un balzo nell’ignoto, un atto di liberazione dal conosciuto.

Mi dissocio completamente da chi parla di un regista “bollito” già dagli anni Novanta.

Lungometraggi come “Trauma”, “La Sindrome di Stendhal”, “Non ho sonno”, “La Terza Madre”, sono ancora opere profondamente visionarie e sublimi.

In particolare, “La Sindrome di Stendhal” del 1996, a mio avviso è senza dubbio uno dei capolavori di Dario Argento. È un film che evidenzia il rapporto che intercorre tra il sublime e l’orrore, la paura, l’inquietudine.

Come fatto notare dal grande filosofo Umberto Galimberti, la bellezza, anche quando placida e amena, è fonte di inquietudine, perché per essere goduta pienamente necessita di una sospensione dell’io e tale sospensione è sempre un balzo nell’ignoto: ecco perché la bellezza inquieta.

Mi hanno sempre fatto paura le cose belledice Adrien Brody ne “Giallo”, un altro film incompreso del regista.

Il cineasta nostrano aveva afferrato questa connessione tra bellezza e paura, che infatti attraversa tutto l’arco de “La Sindrome di Stendhal”.

Come volesse sviscerare l’unità fondamentale del dionisiaco, dalla forma che lo racchiude.

Elegante, estetizzante, ciò che il pittore fa con il pennello, il cineasta nostrano lo fa con la MDP.

Rispetto, per esempio, ai primissimi thriller-horror del Maestro, ne “La Sindrome di Stendhal” la narrazione, come già detto in precedenza, è meno lineare, grazie soprattutto a una serie di depistaggi, plot twist, operazioni “chirurgiche” sulla trama.

Visivamente strepitoso, coadiuvato dalla grande colonna sonora di Ennio Morricone, che un Argento ispiratissimo sfruttò al massimo come elemento extradiegetico.

Come sempre da antologia la shooting list, ovvero la lista delle inquadrature che il regista inventa, ogni volta, prima dei suoi film. Opera spesso stroncata dalla critica, è invece uno dei vertici della filmografia argentiana.

“Ho voglia di raccontare le cose assurde che abbiamo dentro di noi, la bellezza, ma anche la bruttezza degli uomini.”

 

Written by Fabio Soricone

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *