Alex Colville: il maestro del realismo magico
“Vedo il mondo come una sorta di gioco serio. C’è sempre qualcosa di sinistro o di strano nel mondo.” ‒ Alex Colville
Nato a Toronto (Canada) il 24 agosto 1920, il pittore Davide Alex Colville, meglio conosciuto come Alex Colville, è stato definito ‘maestro del realismo magico’.
Segnato da un’infanzia tutt’altro che serena: la Grande Depressione, che ha portato gran parte della popolazione americana dell’epoca a destreggiarsi per far quadrare miseri bilanci, rappresenta un momento di precarietà per le difficoltà economiche in cui versa la sua famiglia.
Comunque sia, incoraggiato dalla madre che riconosce nel figlio una creatività che va oltre la passione per il disegno, l’incertezza del momento storico non impedisce a Colville di coltivare il suo innato talento artistico, quello che lo caratterizzerà per tutta la vita. Che lo spinge a proseguire gli studi presso l’Università Mount Allison di Sackville (New Jersey), dove ha l’opportunità di approfondire lo studio delle basi prospettiche, nonché l’esercizio pittorico. Con un approccio artistico fondamentalmente basato sul realismo e sullo studio dei dettagli.
È il 1942 quando Colville si laurea, poco prima che la Seconda guerra mondiale coinvolga l’intero pianeta. Sarà proprio durante la Seconda guerra mondiale che Colville entra nell’esercito canadese, diventando ufficialmente ‘artista di guerra’.
Incarico affatto facile da ricoprire, che lo porta a documentare eventi bellici quali lo sbarco in Normandia o la liberazione del campo di concentramento di Bergen-Belsen, rimasti nella memoria collettiva come momenti altamente drammatici, che segneranno nel profondo il pittore. La cui inevitabile conseguenza è condizionare la sua visione del mondo focalizzandola sul tema della morte, che sarà uno dei temi centrali della sua produzione.
Terminata la guerra, torna in Canada e si dedica all’insegnamento presso l’Università Mount Allison, sviluppando uno stile pittorico in cui il minuzioso realismo, pregno di una tensione pittorica, è accompagnato da un senso del mistero che lo contraddistingue da altri artisti a lui coevi.
La Nuova Scozia è la località dove Colville, in compagnia di Rhoda, sua moglie, stabilisce la sua nuova residenza. Una vita, quella condivisa con la donna, anch’essa artista, che sarà per la coppia manifestazione di piena libertà, oltre che motivo di isolamento, indispensabile per esprimere la loro passione per l’arte.
Dichiaratamente contrario all’arte astratta, è invece attratto dalla tradizione pittorica con Piero della Francesca, per esempio, in cui vedeva un suo mito.
In Nuova Scozia Colville affronta il proprio universo artistico con un approccio estremamente preciso e meticoloso, il cui aspetto fondamentale è una minuziosa costruzione geometrica. Dettata da un uso rigoroso della prospettiva, dove nulla è lasciato al caso, la visione geometrica delle sue opere è specchio del suo studio della matematica. Inclinazione questa, che porta il pittore a combinare gli elementi dei suoi soggetti, creando nell’osservatore la percezione di assoluta armonia prospettica.
Uno dei temi più frequenti nelle opere di Colville è la morte, che fa il paio con l’idea dello scorrere inesorabile del tempo.
L’arte di Colville è associata all’idea di ‘realismo magico’ presente in tutta la sua produzione; dove le situazioni quotidiane raffigurate, gite in barca, uomini al volante, paesaggi notturni, treni, animali, sono colmi di tensione nonché di una sorta di ambiguità, peculiarità dei suoi lavori. Alcuni dei quali custodiscono aspetti enigmatici.
È il caso dell’opera L’uomo con la sua pistola (forse un autoritratto) che suggerisce al contempo un senso di sicurezza, portato dalla presenza dell’arma, e una situazione che può sfociare in un episodio di violenza. Da cui, inoltre, nasce l’impressione che qualcosa di misterioso o di minaccioso si nasconda dietro alla rappresentazione. E ciò grazie all’impiego della luce e del colore che contribuiscono a creare una sensazione di instabilità dove un pericolo sembra sempre in agguato.
Così come dagli altri suoi lavori, da cui scaturiscono sensazioni singolari; dietro la tranquillità della vita quotidiana, per esempio, pare nascondersi la minaccia costante della morte e del cambiamento dovuto all’evolversi del tempo. Pur rappresentando momenti ordinari, i suoi dipinti sono dunque permeati da una sottile angoscia esistenziale.
A questo proposito, un esempio lo si può rintracciare nel celebre dipinto Horse and Train (1954), in cui un cavallo galoppa a tutta velocità sui binari fronteggiando un treno in corsa. Che è forse il dipinto più iconico dell’artista, allegoria del contrasto tra forza e vulnerabilità.
L’immagine, pur basata su un evento che potrebbe essere reale, assume un significato simbolico e mitologico, diventando riflesso della potenza della vita e della morte, quale risposta a una dimensione esistenziale precaria. Dove ogni attimo viene eternizzato perché immortalato dall’espressione artistica.
Parte della critica lo ha inteso quale metafora di un inevitabile destino, altri come uno stigma alla modernità e all’avvento tecnologico.
Nei suoi dipinti, inoltre, Colville esplora il rapporto tra uomo e natura, focalizzandosi sulla questione della fragilità umana messa di fronte agli elementi naturali, oltre che allo scorrere del tempo. Collocate in una rigida postura, o in momenti di quiete apparente, le figure umane dei dipinti del pittore sembrano aliene dall’ambiente in cui sono collocate, ritratte in momenti di introspezione, messe in creano appositamente contrasto con la natura circostante, talvolta descritta come minacciosa, altre volte, invece, indifferente. E permeate da un senso di solitudine che riflette la concezione antropica di Colville. Che vede la condizione dell’uomo come un’esperienza vissuta in modo individuale e aliena dalla collettività in genere.
L’attenzione ai dettagli, nella rappresentazione dei personaggi così come nei paesaggi raffigurati da Colville, contribuisce a plasmare un’atmosfera quasi fotografica, sempre attraversata da una sorta di inquietante sensazione di immobilità, come se il tempo si fosse fermato in un momento critico dell’esistenza.
Raffigurazioni pittoriche trasmettono che un senso di sottile inquietudine, per certi aspetti vicini all’estetica di Edward Hopper, il cui parallelismo artistico è inevitabile.
“Io sono un imprenditore. Faccio cose e le vendo. Creativo è una parola che detesto. Io dipingo, incornicio e spedisco. Questo è tutto.” ‒ Alex Colville
La produzione artistica di Colville, sempre tesa a rappresentare la realtà, comprende una grande quantità di opere. Il già citato Horse and Train, che custodisce in sé anche tratti della pittura surrealista. In quanto, sebbene sia scena reale ricorda un sogno dagli aspetti surreali.
To Prince Edward Island (1965) è opera in cui viene descritta una donna che da una barca osserva con un uccello che vola lontano attraverso la lente di un binocolo.
Pacific (1967), altro capolavoro di Colville, mostra un uomo nudo, di spalle, che guarda fuori dalla finestra una pistola posata sul tavolo. L’immagine è carica di tensione, e l’interpretazione di questa scena è aperta a diverse letture. Alcuni critici hanno suggerito che il dipinto parli della vulnerabilità maschile e della minaccia latente della violenza, mentre altri lo vedono come un commento esistenziale sulla condizione umana e sulla solitudine raccontata attraverso una lente che rivela la complessità nascosta dietro ogni gesto, ogni sguardo, ogni scena.
La sua arte ricorda che nella calma apparente si nasconde un mondo di emozioni e di significati tutti da esplorare.
“Non ho mai desiderato frequentare altri artisti. Odio l’idea di artisti che si incontrano e parlano. Non mi interessa.” ‒ Alex Colville
Considerato uno dei più grandi artisti del Canada, i lavori di Colville hanno avuto un profondo impatto sulla scena artistica del suo paese d’origine e sulla sua cultura, con cui ha mantenuto sempre un forte legame. Sono infatti molti i dipinti dei paesaggi che evocano le vaste distese del Canada orientale.
Ancora, le opere di Colville hanno avuto una notevole influenza sul cinema e sulla cultura popolare.
Il regista Stanley Kubrick, ad esempio, si è ispirato a Colville per alcune scene del suo capolavoro Shining (1980), apprezzando il modo in cui il pittore ha saputo creare una tensione palpabile e un’atmosfera inquietante attraverso scene di apparente normalità.
Alex Colville, morto nel 2013, ha lasciato una traccia importante della sua produzione artistica.
La sua capacità di combinare il realismo con un senso di mistero, esplorando temi universali come la morte, lo scorrere del tempo o la solitudine, hanno reso profondamente significativo il suo rigore formale e il suo impegno per l’arte figurativa, offrendo al suo lavoro l’immortalità.
Continuando nel tempo a essere motivo di ispirazione per l’arte contemporanei e riferimento in tutto il mondo per i pittori che vedono in lui un solido modello da emulare.
“Credo che la condizione umana sia tragica. Al fondo la mia opera è pessimista, ma io sono felice della mia vita.” ‒ Alex Colville
Written by Carolina Colombi