“La madre del vento” di Emma Fenu: la storia di una maledizione che degenera in follia
Il Diverso fa paura; è il frutto corrotto dell’Albero della Vita. Va scartato; tenuto ai margini, affinché non contamini la parte sana. Mila di Codra, la figlia di Iorio, è la pecora scabbiosa; Marta Ajala è l’esclusa. Donne immaginate, queste; come loro, tante “diverse” sono state condannate.
Donne in carne e ossa; definite streghe, pazze, lascive. Disobbedienti; ribelli al ruolo che la società si aspettava dalla loro natura. Extra vaganti, avevano smarrito la strada; andavano riportate sulla retta via. La clinica psichiatrica era un luogo di cura; un Purgatorio in cui espiare, invero molto più simile all’Inferno.
Emma Fenu esplora un lembo del mondo femminile; quello delle donne segnate dallo stigma sociale, dalla perdita, dalla solitudine. Con uno struggente lirismo, impregnato di salsedine e sangue, La madre del vento (Gli scrittori della porta accanto, 2024, pp. 135) evoca la storia di Dalida; un cuore divorato a morsi, un cordone ombelicale reciso a forza. È una donna fatta a pezzi, Dalida; figlia rinnegata, moglie maltrattata, madre mancata. È nata con un dono; una maledizione che genera dolore che degenera in follia.
Il romanzo La madre del vento è introdotto da un componimento poetico in variante dialettale algherese; l’autore è Antonello Colledanchise, psicologo e psicoterapeuta cui si deve anche la prefazione. La madre del vento è una sorta di confessio vitae da parte di Dalida; a raccoglierla è Lucia.
“Tienimi la mano, Madre. Stanotte ho paura”. Supplica, Dalida; non è ancora pronta. Lo ammette; è stata cattiva. Si sente un’estranea nel proprio corpo; ma la mente è lucida. Spietata, le ricorda ogni cosa; anche i segreti, soprattutto quelli più inconfessabili. Una mano fredda le si posa sulla fronte; supplica ancora, Dalida.
Chi è la donna seduta alla sua sinistra? Non ne riconosce la voce; è dolce e delicata. In quella notte di febbraio tutto tace; e Dalida inizia la sua confessio. Guelar, un paese di pescatori sulla costa sarda, le ha dato i natali; lì è il mare a decidere la vita e la morte. È il 2 febbraio; il maestrale urla. Dalida ha cinque anni e sa; sa che la morte si annida in casa. È una notte di pesca, con il favore del vento; santa Barbara è sorda alle giaculatorie dei marinai. Lo schianto di una saetta; il finimondo.
Distesa nel letto, Dalida vede; le sue parole suonano come una maledizione. Rabbia negli occhi neri della madre; la stessa con cui la guarderà fino all’ultimo incontro. Una giovane vedova, due figli piccoli cresciuti al porto; senza protezione maschile, sono esposti alle insidie. Il Farmacista è mosso dalla pietas; accoglie nella sua villa la famiglia dell’amico. Maddalena lavora come domestica; Dalida conserva l’indole selvatica, nonostante gli sforzi materni di ingentilirla. Donna Marta non nasconde la disapprovazione; quasi che il contegno, l’aspetto stesso di Dalida siano un insulto alla morale. Nell’ottobre 1932, la bambina raggiunge l’età per frequentare la scuola; anche se è povera e femmina, i padroni di casa le permettono di studiare.
A differenza del marito, Donna Marta non è animata dalla carità cristiana; le interessa solo vantarsi di averla civilizzata. Gli anni delle elementari sono tra i più belli per Dalida; grazie alla maestra, arriva a comprendere se stessa. Capisce che anche lei merita l’affetto; che possiede la dote della bellezza, ma può anche sviluppare l’intelligenza e la disciplina. Ignora il nome della donna; non lo conoscerà mai. Ma è davvero importante saperlo? Dalida la ama più di sua madre; e l’amore è reciproco. La maestra ne perdona le intemperanze; la loda, la coccola. L’ombra della maledizione si stende anche su di lei; e la conduce oltre il Promontorio del Gigante, dove sarà giovane per sempre. Donna Marta è inflessibile sulle regole del decoro; la familiarità di suo figlio con Dalida è sconveniente. A undici anni, la ragazza ha il corpo di una donna fatta; è necessario allontanarla. Non verrà cacciata; studierà nello stesso collegio di Bianca Maria. La rara avvenenza potrebbe nuocere a Dalida; gli uomini sono accecati dal fascino femminile. Se accadesse l’irreparabile, sarebbe la giovane ad avere la peggio; Donna Marta ha insinuato in Maddalena il senso del pericolo.
La decisione è presa; e sia. Quel giorno di ottobre piove a dirotto; la grandine flagella i finestrini dell’automobile. Per Dalida inizia la prima media; per Bianca Maria la prima ginnasio. Nessuna delle due conosce il collegio; quel poco che sanno non è incoraggiante. Suor Concetta porge a Dalida un libricino di preghiere; una folata di vento lo fa cadere per terra. Si sente un urlo; suor Concetta lo attribuisce alla nuova arrivata. Ne condanna e invidia la bellezza; la considera già la figlia del diavolo. Poco tempo dopo apprenderà che è la maledetta di Guelar; colei che porta la morte. Il passo di quel libro nero rimarrà scolpito nella memoria di Dalida; le ricorderà la sua colpa e la sua condanna.
In collegio la ragazza dovrebbe affinare l’educazione e salvare l’anima; ma la maledizione la segue fin lì. Un giorno di giugno del 1940 la voce grave della Direttrice rompe il silenzio; l’Italia è in guerra. La notizia colpisce Dalida con la forza di un pugno nello stomaco; il pensiero corre al fratello. Bianca Maria apprende da una lettera una triste novità; il buio la inghiotte. Parla raramente; quando lo fa, una inedita malinconia soffia sulle sue parole. Alle allieve non è consentito comunicare tra loro; eppure Dalida avverte il crescente malessere di Bianca Maria.
Il giorno di San Biagio partecipano alla benedizione della gola; è l’ultima volta che Dalida la vede in collegio. Chiede notizie a suor Concetta; insiste. La religiosa la mette a tacere; parole infuocate, come il marchio del diavolo che segna la strega. Qualche tempo dopo, la Direttrice aggiorna le allieve sui voti e sulle celebrazioni; prima di concludere, comunica una notizia riguardo Bianca Maria. La ragazza, di salute cagionevole, ha contratto la polmonite; con ogni probabilità non terminerà l’anno scolastico, a meno di un miracolo. Questa spiegazione non convince Dalida; Bianca Maria non le è mai sembrata così bella e sana. Il cambiamento si è fatto visibile dopo le vacanze di Natale; dicono che sia una malattia. Dalida non ottiene il permesso di vederla, nemmeno per pochi minuti; a mali estremi estremi rimedi. Elusa la sorveglianza, si introduce in camera; Bianca Maria le fa spazio nel letto.
Non sono amiche; le unisce la condivisione della vita in collegio. “Tienimi la mano, Dalida”. Anche Bianca Maria cerca il conforto del contatto; le chiede di mantenere il segreto. È una verità straziante; confessata in un pianto silenzioso. Dietro di lei, Dalida vede la Madre del Vento; ne vede le mani, e vede sangue. Cosa è successo? La voce trema; le parole sfumano in un non detto vibrante di rimpianto. Suor Concetta si scaglia contro la figlia del maligno; e caccia via quella strega. La parentesi del collegio si chiude; le ragazze vengono ritirate. A sedici anni Dalida si esprime nella lingua materna, quella dell’infanzia; e in italiano corretto, appreso a scuola. In quanto figlia della serva, non potrebbe accedere ai libri; avverte l’ammirazione e l’umiliazione di chi è escluso da questo privilegio. Non le mancano corteggiatori e pretendenti; a differenza delle coetanee che sognano il matrimonio, Dalida conserva fiera la propria natura selvatica. Il destino è segnato; e pone Gerardo sulla sua strada.
È un’indecenza parlare a una ragazza onesta; ma l’uomo non ha paura né rispetto, per niente e nessuno. Spavaldo, la apostrofa in modo sconveniente; Dalida gli tiene testa. Gerardo ha solo alluso a un bacio; ma le labbra di lei bruciano. Da bambina irradiava un’aura di santità; per via del suo dono misterioso, molti le rivolgevano preghiere.
Era bella come un angelo; ma aveva natura di animale notturno. Dal Paradiso all’Inferno; da santa a strega. Sa che tanti occhi sono su di lei; sfrontata, spudorata, si mostra in tutta la sua bellezza. Dopo l’incontro con Gerardo, Dalida perde il potere di maliarda; vinta da un desiderio accecante, cerca l’ammirazione di lui. Ne brama l’amore; strega, donna innamorata, segue il rituale delle figlie della grande Dea. Forse sono le arti magiche, forse è la sua bellezza acerba; il richiamo di Dalida attrae Gerardo. Dopo la prima notte, molte altre; troppe per passare inosservati. Gli innumerevoli occhi della Fama vedono; le innumerevoli bocche malignano. Nessuno rivolge più il saluto a Maddalena; la sua colpa è aver messo al mondo una poco di buono. Gerardo è un coralliere arrivato da Torre del Greco; molto più grande di Dalida, è sulla soglia dei trent’anni. È un cavaliere senza paura; non certo senza macchia. I tesori del mare non sono l’unico bottino; desidera prendersi anche le ragazze più belle. Senza padre né fratelli, Dalida è in pericolo; la avvisano, i pescatori.
Quel fannullone lo conoscono tutti; sanno chi ha lasciato nel suo paese. Meglio perderlo che trovarlo; ma Dalida continua a cercarlo. Si nutre di amore e sogni; non vede, o sceglie di non vedere. Uno strattone, la caduta; la ferita, il sangue. Ma un po’ di gelosia ci vuole; la donna ancora gli crede. Gerardo è un abile affabulatore; le giura amore eterno, le promette un matrimonio sontuoso. Il primo novembre Dalida si prepara per recarsi in chiesa; il rito verrà celebrato senza nemmeno un fiore, come usa se la sposa è incinta o disonorata. Non un abito di seta azzurro, ma un vestito smesso, nero; nessun gioiello, ma un livido sul polso sinistro.
Giano bifronte, Gerardo; una faccia in pubblico, una in casa. Si mostra bello e accattivante, per concludere i suoi traffici; è un demonio con sua moglie. Spesso rientra ubriaco, è violento; nonostante i furti e la malavita, i soldi non bastano mai. Folle di gelosia, non tollera che Dalida esca di casa; eppure la donna gli è fedele. Mese dopo mese, l’amore di lei si estingue; si accende l’odio. Monta il desiderio di vendetta; paziente, aspetta il momento propizio. Una sera Gerardo torna a casa ubriaco e furibondo; un affare è saltato, gli usurai gli stanno alle costole. Deve stordirsi, ma non c’è vino; sua moglie è la vittima sacrificale. Dalla furia di quella notte, il germoglio di una nuova vita; Dalida sa che sarà una bambina. Con la gravidanza sviluppa un forte istinto di protezione; la creatura va difesa perfino dal padre. L’uomo festeggia, ignaro della propria condanna; Dalida lo vuole morto.
Il dono le permette di fiutare la tempesta; suo marito ha paura di lei, della sua maledizione. Andare per mare a strappare il corallo? Gerardo è incerto; ecco l’occasione. Suadente, Dalida gli suggerisce di osare; lo lusinga con la prospettiva del guadagno che ne trarrà. I soldi, l’ostentazione; l’uomo ne è così ossessionato che vince la riluttanza. Si procura la barca, prende il mare; e si compie quanto previsto.
2 febbraio. Candelora, la luce; l’inizio della primavera, sotto il potere della dea Brigid. Nascere in questa notte dovrebbe essere di buon auspicio; un parto difficile, urla e paura. Dalida vede appena la figlia; le mani di Maddalena gliela strappano dal ventre. Era nera, fredda; così le dicono quando riprende i sensi. La sua bambina; un’altra vittima della maledizione. La più amata; l’ombra che la perseguiterà ogni giorno. Dalida la vedrà anche nelle bianche stanze del Santa Brigida; sentirà il vento gridarle nelle orecchie la propria colpa. Lucia è partita da Roma con un bagaglio di domande; solo Dalida conosce le risposte.
Nella notte del 2 febbraio 1969, il vento urla; la confessio è finita. Ego te absolvo; Dalida è pronta a seguire la Madre del Vento oltre il Gigante Addormentato. Il percorso esistenziale delle due donne presenta notevoli affinità. Entrambe sono vittime. Dalida è segnata dallo stigma della sua diversità; Lucia si trova stretta in una tela che altri hanno tessuto per lei. Entrambe vivono nella menzogna. Dalida si è costruita una vita che non esiste; Lucia è cresciuta nell’inganno. Entrambe sono alla ricerca di sé. Il loro incontro è per ciascuna una agnizione; dei nodi si sciolgono, dei fili si intrecciano e la trama si completa.
Dalida ha due madri. Maddalena l’ha partorita; ma non le perdonerà mai la diversità.
“Io non ero la figlia perfetta, ma un essere inquietante e animalesco, e mia madre sentiva la condanna delle altre e di tutti, della Gente. Io ero la manifestazione di qualcosa di strano, qualcosa che le famiglie timorate di Dio non accettavano. Sentendosi derisa, biasimata e allontanata, mia madre fece lo stesso con me […]” ‒ La madre del vento
La Madre del Vento l’ha scelta; le ha dato il dono di vedere prima. Le ha dato capelli biondi, occhi di mare; mentre le donne di Guelar sono scure, come la Madonna del Sole.
Dalida avrebbe dovuto chiamarsi Dalia; ma un errore di trascrizione all’anagrafe ne cambiò la sorte. Nella tradizione marchigiana vigeva una convinzione; se il padrino avesse sbagliato la formula battesimale, la neonata sarebbe diventata una strega.
La vita di Dalia sarebbe stata diversa da quella di Dalida? Nomen omen. Il nome del fiore della libertà; un nome da seduttrice, venuta dall’inferno.
Written by Tiziana Topa
Bibliografia
Emma Fenu, La madre del vento, Gli scrittori della porta accanto, 2024