“Della cura” saggio di Loredana Di Adamo: la prefazione di Natale Calderaro

“Ci sono molte monografie sui maestri della filosofia e psichiatria fenomenologica, e questo non vuole essere un lavoro storiografico, ma la possibilità di tratteggiare alcuni passaggi di una speculazione che ha avuto un grande valore per il progresso dell’umanità nell’assistenza delle persone fragili.”dall’introduzione di Loredana Di Adamo

Della cura Loredana Di Adamo Natale Calderaro
Della cura Loredana Di Adamo Natale Calderaro

“Della cura. Studi fenomenologici e salute mentale” (Negretto editore, 2024) è il titolo del saggio della filosofa teoretica e psicologia clinica Loredana Di Adamo, autrice di numerosi articoli di divulgazione su riviste specializzate e del volume intitolato “Filosofia e clinica” (Negretto editore, 2022).

“Della cura”, dedicato allo psichiatra e saggista Eugenio Borgna, è suddiviso in 7 capitoli di cui proponiamo in lettura i titoli assieme ai paragrafi per comprendere la vastità e l’importanza delle argomentazioni trattate: “Ha ancora un senso la fenomenologia” (Ha ancora senso la fenomenologia?; L’analisi antropologico-fenomenologica: il cammino che conduce a se stessi. Eugène Minkowski, Ludwig Binswanger e Franco Basaglia; Franco Basaglia, pioniere della psichiatria fenomenologica in Italia; Obiettivismo e fatti umani. Per una critica della conoscenza), “Fenomeni vissuti e mondo-della-vita. Per una filosofia del mondo umano” (La fenomenologia e l’essere-nel-mondo come trascendenza: per una filosofia del mondo umano; Il mondo-della-vita e la crisi radicale delle scienze quale crisi di vita dell’umanità; Il fenomeno vissuto. Chiudete gli occhi. Ora dov’è il tavolo?), “Franco Basaglia, la filosofia antica e l’epochè. Fenomenologia” (Franco Basaglia e la forza di un pensare che ha la qualità dell’eterno; La filosofia antica e l’etica di Franco Basaglia; L’epochè. L’essenza della cura; La dimensione pratica del pensare; La questione filosofica ed esistenziale dello sguardo), “Della cura. La nostra contemporaneità e il compito filosofico. Una proposta” (Autismo e malattia mentale. L’uso del linguaggio nella costruzione della patologia. Cosa rimane da capire; La nostra contemporaneità e le nuove pratiche di medicalizzazione del bisogno; Il corso abbandonato a se stesso della scienza. Una riflessione critica; Il ruolo degli operatori. Quale cura?; Quale destino per la psichiatria e per la psicologia. Custodia o cura?; Per la cura. Il compito filosofico), “Analitica della temporalità, della spazialità e dei significati vissuti. Studi fenomenologici” (La fenomenologia semantica e lo spazio vissuto; La temporalità è prima di tutto un possibile; Temporalità e semantica vissuta negli autismi e nelle altre esperienze di vulnerabilità; Ermeneutica fenomenologica dell’esperienza olfattiva; Il rumore del mondo; Coesistenza e linguaggio. Riconoscere «nell’essere là dell’altro un’esperienza coesistente al mio essere qui»), “Oltre la psicopatologia” (Per una filosofia della vita; Perché l’essere piuttosto che il nulla? La valutazione psicopatologica e la considerazione esistenziale del fenomeno vissuto; Uno sguardo singolare sulla realtà e nella logica del senso; Il «senza gli altri» come modalità del «con-essere»), “Fenomenologia e cura. Per una pratica possibile” (La clinica neuropsichiatrica e l’età adulta, una visione di continuità. Per una fenomenologia radicale della vita; Famiglia e cura; Gli «operatori dell’esistenza» e il «salto qualitativo nel metodo»; Per una pratica del possibile).

Per gentile concessione dell’editore Silvano Negretto pubblichiamo un estratto tratto dalla prefazione di Natale Calderaro, medico psichiatra che dal 1972 ha preso parte al processo di deistituzionalizzazione, conoscendo Franco Basaglia e seguendone l’opera.

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Prefazione di Natale Calderaro ‒ estratto

“[…] Gli anni ’60 si annunciano con alcune opere che testimoniano i cambiamenti culturali in ambito filosofico, epistemologico, antropologico, sociologico e psichiatrico. Nel 1961 sono pubblicati: I dannati della terra di Frantz Fanon (con prefazione di Sartre) che ha le sue radici nell’esperienza drammatica della rivoluzione algerina ma con uno sguardo allargato ai movimenti di lotta anticoloniali e all’esercizio della violenza tra colonizzati e colonizzatori. Ancora Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza, di Erving Goffman, tradotto per Einaudi nel 1968 da Franca Basaglia, di cui si raccomanda la rilettura per un’importante introduzione di Franco e Franca Basaglia. Esce, ancora, di Michel Foucault il libro La storia della follia nell’età classica, un testo troppo noto per aggiungere altro. Segnalo solo che, pur essendo l’uno a conoscenza degli scritti dell’altro (vedi, per esempio, la presenza di uno scritto di Foucault in Crimini di pace, testo a cura di Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia), Basaglia e Foucault non si sono mai incontrati personalmente, a differenza della regolare frequentazione che intercorreva con Sartre.

Infine si segnala l’uscita di Esperienze nei gruppi di Wilfred Bion, un libro a cui faranno riferimento tutti quelli che si occuperanno di gruppi. Ma segnalo soprattutto che sul finire del ‘61 (16 novembre) Franco Basaglia va a dirigere l’Ospedale Psichiatrico di Gorizia, da cui tutto avrà inizio. Antonio Slavich lo raggiungerà a Gorizia nel marzo 1962, di ritorno dalla Germania dopo essere stato ospite presso gli psichiatri antropo-fenomenologi Erwin Straus e Vicktor von Gebsattel. Da loro prenderà commiato (e dalle rispettive mogli) per recarsi direttamente da Basaglia a Gorizia.

Eugenio Borgna dichiara che la rivoluzione basagliana non sarebbe potuta avvenire se non in un contesto filosofico di matrice fenomenologica. Ed è qui che mi piace collocare la presentazione del libro di Loredana Di Adamo, Della Cura. Studi fenomenologici e salute mentale, un testo che si pone l’obiettivo di rilanciare il tema della Fenomenologia e della Cura, partendo dal processo di Riforma psichiatrica e dalla figura di Franco Basaglia, quale pioniere dell’antropo-fenomenologia in Italia. Si tratta di tematiche che mi mettono in connessione con l’autrice e con quanto ho vissuto nell’esperienza di distruzione del Manicomio.

Il retroterra delle nostre esperienze di lotta al Manicomio si ritrova nelle inziali letture, a partire dall’antipsichiatria inglese, e dalle opere di David G. Cooper e Ronald D. Laing. Il termine “antipsichiatria” fu usato per la prima volta da David Cooper nel 1966 e definiva un movimento eterogeneo che si opponeva alle teorie e alle pratiche della psichiatria dominante. Sudafricano, laureato presso l’Università di Città del Capo, nel 1955 si trasferisce a Londra dove lavora in numerosi ospedali, e dirige un’unità sperimentale per giovani schizofrenici chiamata Villa 21. Fa parte, con Laing, della Philadelphia Association che poi lascia negli anni ’70.

Ho conosciuto personalmente David Cooper nei primi anni ’80, presso l’Ospedale Psichiatrico di Quarto, dove era stato invitato per un breve soggiorno da Slavich. Mi colpì la sua figura imponente, con una lunghissima barba bianca. Era accompagnato da una giovane ragazza di piccola statura che faceva contrasto con la fisicità dirompente di Cooper. Era piuttosto evidente che Cooper non stava attraversando un buon momento personale. Taciturno e pensoso, amava leggere seduto sotto il tavolo nella stanza dove in genere tenevamo le nostre riunioni. Ho un ricordo di come Slavich stroncò una battuta infelice di un collega del “gruppo degli esuli”, come lui amava definire quelli venuti a Genova per un impegno nella pratica di distruzione del manicomio: “se non sta attraversando un momento felice non dimenticate di quanto vi abbia ‘nutrito’ tutti in questi anni”.

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Loredana Di Adamo citazioni Della cura
Loredana Di Adamo citazioni Della cura

Nei manicomi si poteva far nascere dei bambini da partorienti con disturbi mentali, come accadeva a Palermo nella Real Casa dei Matti. Nei manicomi poteva anche accadere che ci fossero reparti speciali per bambini, come nell’Ospedale Psichiatrico di Cogoleto, e che venissero, come documentato dalle fotografie di Giorgio Bergami, legati ai letti, bambini di 3 o 4 anni, in quanto magari un po’ irrequieti. Il massimo dell’insensatezza!

Poteva anche accadere, come nell’Ospedale Psichiatrico di Reggio Calabria, che un ricoverato di piccola statura, dall’aria mite, fosse ritenuto e chiamato “il muto” e che si potesse poi scoprire nella scarna cartella clinica che in qualche tempo aveva fatto il fotografo. Dopo silenzi prolungati nel tempo tra paziente e medico, una macchina fotografica, posta sulla scrivania nella stanza dei colloqui, e scambi di sguardi nel silenzio tra medico e paziente e poi l’implicito invito a toccare quell’oggetto, infine produrranno la scoperta che il “muto” non fosse muto affatto. Solo che non aveva avuto voglia di parlare in un’istituzione che racchiudeva solo corpi e dove erano scomparse le persone.

Vorrei concludere così: medici come Basaglia e Slavich ci hanno insegnato che prima e dopo una diagnosi c’è sempre una persona, con la sua storia, che non è solo storia di malattia ma anche storia di vita.”

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Info

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