“Stai cercando me?” poesia di Kabir: il respiro dentro il respiro
Di seguito si potrà leggere la poesia intitolata “Stai cercando me?” del mistico Kabir, una breve analisi e qualche cenno di biografia del poeta.
“Stai cercando me?”
Stai cercando me? Sono nella sedia accanto.
La mia spalla è contro la tua.
Non mi troverai negli stupa,
o nelle sale dei templi indiani,
né nelle sinagoghe, né nelle cattedrali:
né nelle masse, né nei kirtan,
né nelle gambe che si avvolgono
intorno al tuo collo,
né nel non mangiare nient’altro
che verdure.
Quando mi cercherai veramente, mi vedrai
immediatamente,
mi troverai nella più piccola unità di tempo.
Kabīr dice: «Lo studente mi chiede: “Che cos’è Dio?”
È il respiro dentro il respiro…»
***
Con la poesia “Stai cercando me?” il mistico Kabir si esprime per ricercare l’alto valore della spiritualità. La più intima essenza della vita è espressa da questi versi che si allontanano dalla religione intesa in modo ufficiale pregna di regole e formule.
Già dal primo verso, Kabir risponde esattamente con “sono nella sedia accanto”, l’immediata e sincera ricerca garantisce l’immediata e sincera risposta.
Dio, l’Uno, l’Essenza, è nella sedia accanto. Non si deve cercare altrove, nei templi, negli altri, ma accanto e dentro sé. Così come Kabir esprime nell’ultimo splendido verso che chiude la poesia “Stai cercando me?”: “È il respiro dentro il respiro”.
La parola “respiro” riporta alla memoria quel pneuma greco (πνεῦμα) avente proprio come significato “respiro”, “aria”, “soffio vitale” che come termine filosofico affine a psiche (ψυχή) ‒ i.e. anima ‒ porta seco il significato di principio di vita di ogni essere vivente ed anche dell’universo in toto. Le antiche tradizioni filosofiche incontrandosi oltre lo spazio, dall’India all’Egitto passando per la Grecia, pongono l’attenzione verso il respiro perché fisicamente anima il corpo: un uomo che non respira più è un uomo morto.
Kabir con l’ultimo verso vuole scendere in profondità ragguagliando il lettore di osservare attentamente il proprio respiro per poterne catturare l’essenza del “respiro dentro il respiro” alla ricerca del diamante nascosto.
Così con l’indicazione dei luoghi (stupa ‒ i.e. monumenti buddhisti ‒, templi indiani, sinagoghe, cattedrali), con la negazione delle masse che si affollano nei luoghi di culto e la negazione dei kirtan ‒ i.e. canti devozionali simili a mantra, preghiere ‒ Kabir esprime un concetto simile a quello del Cristo nei Vangeli od a quello di Plotino delle Enneadi: la sincera ricerca della prima essenza ‒ i.e. Dio ‒ è immediata e la si può avere solo con il dialogo interiore, con uno sforzo dell’anima alla ricerca del Tutto.
Singolare l’aver inserito anche un verso che riguarda la pratica dei vegetariani “né nel non mangiare nient’altro/ che verdure”. Nella nostra tradizione mediterranea uno dei filosofi più citati che ha promosso l’astenersi dal mangiare carne è Pitagora ma le fonti non sono concordi, ad esempio Aulo Gellio (125-180) riporta la testimonianza di Aristosseno (…-335 a.C.), uno dei principali allievi di Aristotele che scrisse un libro su Pitagora. Riportiamo la testimonianza di Aulo Gellio:
“Una falsa vecchia opinione prese piede e poi forza, secondo cui il filosofo Pitagora non avrebbe mangiato animali, e anche si sarebbe astenuto dalla fava, che i Greci chiamavano kyamos. […] Ma Aristosseno il musico, uomo informatissimo di letteratura antica, uditore del filosofo Aristotele, nel libro che ha lasciato su Pitagora, dice che di nessun legume più spesso fece uso Pitagora che delle fave, poiché questo cibo avrebbe sul ventre un’azione blandamente lassativa nonché lubrificante. […] Che del suo vitto ricorresse anche a porcellini piccoli e capretti tenerelli, lo riferisce il medesimo Aristosseno. Cosa che sembra avesse egli saputo da Senofilo il Pitagorico, suo familiare, e da certi altri più anziani […]”[1]
Infine una piccola perla lanciata ai lettori: la parola Deus/Dio è l’indicazione del mestiere della divinità creatrice. Di norma gli dèi o l’unico Dio ha un nome, così è per Yahweh, Elohim, Allah, Zeus, Ahura Mazda, Fanes, Metis, Ganesha, Shiva, Vishnu, Odino, et cetera.
Nato a Vārāṇasī nel 1440 circa e deceduto a Maghar nel 1518 circa, il poeta Kabīr (o Kabir) è uno dei mistici indiani più celebri dell’India, venerato sia dai musulmani sia dagli hindū.
La nascita lo vede nella casta degli umili, quella dei tessitori che proprio nel XV secolo si era convertita all’Islam. Ma non si conosce con certezza l’appartenenza religiosa di Kabir, e leggendo la poesia “Stai cercando me?” si comprende quanto il poeta sia su un altro livello di percezione. Ebbe due mogli e due figli.
Analfabeta, non scrisse mai nulla, ma i suoi canti furono trascritti e raccolti ne Kabīrvāṇī, propriamente “Parole di Kabir”. Il linguaggio adottato fu quello degli asceti erranti, una forma di hindi molto antica.
Probabilmente centenario, al momento della sua morte a Maghar, musulmani ed hindū giunsero per contendersi le spoglie ma Kabir scomparve in una tenda ed al posto del suo corpo fu ritrovato un mazzo di fiori.
Written by Alessia Mocci
Note
[1] I Presocratici, Rizzoli, a cura di Alessandro Lami, 1991