“Paradigmi della complessità” di Silvia Elena Di Donato: la tensione al movimento
Nella collana “Il Gabbiere” della Di Felice Edizioni, diretta da Sante De Pasquale, è stato pubblicato l’ultimo lavoro poetico della poetessa abruzzese Silvia Elena Di Donato, di professione docente.
L’opera, dal titolo Paradigmi della complessità, è introdotta da una puntuale nota critica di Vincenzo Guarracino, noto saggista e, in particolare, studioso leopardiano.
Guarracino, con opportuni richiami al dettato lirico della poetessa pescarese, parla di “[un] filo” di un’ansia, inesausta, di ricerca e di sapere che si svolge attraverso “parole” che servono a chi “sull’orlo del cadere” come un “funambolo” ha bisogno di appigli per non soccombere alla “vertigine” (dei ricordi, della quotidianità) e sopravvivere alla “sproporzione incombente della vita” (5).
Nella cover dell’elegante volume campeggia il colorato quadro “In The Blue” dell’espressionista astratto Vasilij Kandinskij datato 1925. Campiture geometriche di diverse colorazioni e relativi aloni alla materia descrivono uno scenario tra il visionario e il metafisico.
L’elaborazione delle forme richiama, per alcuni aspetti, gli esiti sperimentali di un cubismo particolare con influssi di tendenze altre, a descrivere, nel caso specifico, una situazione di apparente motilità delle strutture, su di un campo di fondo tra lo smeraldo e il cobalto.
Le sessantotto liriche (di cui una in forma di trilogia) si dispiegano su poco meno di un centinaio di pagine. Questo per dire delle brevità, in generale, della gran parte dei componimenti e, al contempo, dell’importanza delle pause, degli stacchi “a capo”, nonché della conformazione visiva dei testi sullo spazio bianco della pagina.
Lo stile è piacevole per la freschezza, il verso sciolto con predilezione di terminologie che appartengono al vocabolario della realtà, piuttosto che a quello delle tensioni metafisiche, fa sì che le poesie si scoprano interessanti per il lettore e che quest’ultimo sia in grado di scorgervi, da sé, le intenzioni della Nostra, le possibili significazioni, nonché permettono un rimando all’esperienza personale di chi, leggendole, in qualche modo se ne “appropria”.
Paradigmi della complessità – che segue la precedente raccolta dal titolo La maschera di Euridice (2018) – va letto anche nella ricercatezza e nella ricchezza delle citazioni, in esergo o meno, ai vari componimenti (autori della letteratura, testi sacri e filosofici) vale a dire a tutto quel complesso di intertesto particolarmente vivido, foriero di ulteriori approfondimenti ed elemento manifesto della vasta cultura e dei diversificati interessi dell’Autrice.
La cultura classica ha per la poesia della Nostra un rimando fondamentale e indissolubile: leggendo l’opera s’incontreranno nomi e vicende legate ad alcuni dei più noti miti. Essi non sono richiamati in quanto miti ma attualizzati alla luce dell’esperienza della Nostra, alla riflessione, all’intersezione che i medesimi possono sviluppare con l’ordinario dell’esistenza che la poetessa traccia sulla carta.
Tematiche importanti risultano essere l’allontanamento e la distanza tra gli amanti; il sogno inteso non quale evasione dalla realtà ma quale prosecuzione della realtà difettata o ritenuta mancante; l’esigenza di svelarsi per quel che si è; il deterioramento del tempo e l’ancora sicura dei ricordi; i momenti d’amore e d’unione, il donarsi all’altro; la centralità dell’emozione capace di dominare negli istanti e di vivificare nelle memorie.
Ci sono poi, a latere o non particolarmente approfonditi, anche i temi della disoccupazione e dell’immigrazione. Quest’ultima non in relazione alla situazione attuale ma con riferimento a quella di un determinato fatto consegnato alle pagine di storia, degli italiani che andarono a lavorare in Belgio. Rievoca, infatti, “i minatori di Marcinelle/ che piangono e soffocano/ e piangeranno sempre” della tragica ecatombe dell’agosto 1956.
Enfatico e apprezzabile il canto di lode alla sua città, Manoppello, nella poesia “A mani pieni”, una visiva diacronica della piccola realtà di provincia, con i suoi abitatori e le essenze più pregnanti della vita di un tempo. Molto appassionata la lunga poesia dedicata alla madre, “L’operaia”, mentre al genitore paterno dedica “Accmemè”.
Riflessioni sulla vita, la sua genesi e i suoi limiti, così come sul viaggio e il linguaggio adoperato. Nel sostrato la filosofia di Sant’Agostino ma anche dell’esistenzialista Wittgenstein quando scrive: “Da ogni mancanza nascono domande/ e queste – quasi sempre – valgono/ più delle risposte” (poesia “Itaca”, 63) richiamando, in esergo a “Vivere il presente” il filosofo tedesco in un breve passo del Tractatus.
La poetessa affronta il reale con onestà e una saggezza che le proviene di certo dall’esperienza del mondo maturata; non incespica neppure dinanzi alle tante “dubbiose scuciture e mute/ che restano/ delle nostre parallele emozioni” (29) che la vita ci pone dinnanzi. Al contrario, in lei è forte la convinzione che, sempre e comunque, “L’accadere è relazione, non somma/ tra le parti e, anche fossero taciute,/ le parole sono atti” (37).
Ed è così che i suoi versi, nella loro precipua tensione al movimento e nell’attitudine all’azione, si fanno materia.
Written by Lorenzo Spurio