“Segantini, ritorno alla natura” documentario di Francesco Fei: l’essenza del fare pittorico
“Il mescolare i colori sulla tavolozza è una strada che conduce verso il nero; più puri saranno i colori che getteremo sulla tela, meglio condurremo il nostro dipinto verso la luce, l’aria, la verità.” ‒ Giovanni Segantini
Noto soprattutto per i suoi paesaggi alpini, il pittore Giovanni Segantini è protagonista di un eccellente docufilm della piattaforma Nexo Plus di Nexo digital.
Successo cinematografico già collaudato Segantini, ritorno alla natura, titolo del docufilm, è diretto dal regista Francesco Fei, che esplora con ampiezza narrativa la vita e l’arte di uno dei massimi esponenti della pittura dell’Ottocento italiano.
Il documentario gode della presenza dell’attore Filippo Timi, a cui è affidato il compito di interpretare il pittore attraverso la lettura di lettere inviate da Segantini ad artisti del suo tempo.
Pittore amato e apprezzato, Giovanni Segantini ha avuto una vita intensa, seppur breve.
Nato ad Arco (Trentino Alto Adige) nel 1858 è però milanese d’adozione. Rimasto orfano in giovanissima età, il vuoto lasciato dalla madre segnerà per sempre l’artista. Ed è una perdita che, da ragazzino, lo porta a condurre una vita sregolata, tanto da venir confinato in un riformatorio per adolescenti problematici. Luogo triste, ma che rappresenta per il pittore un’occasione di riscatto. Qui, infatti, scoprirà l’amore per l’arte e avrà occasione di manifestare il suo talento con sperimentazioni pittoriche. Luogo dove in seguito tornerà in veste di insegnante.
Nonostante la cupezza del posto, a cui si aggiungono i disagi e le difficoltà per l’assenza di una sua istruzione, Segantini prende consapevolezza dell’importanza e del valore dell’arte per la sua formazione di giovinetto.
Uscito dall’istituto di pena, per sopravvivere pratica il mestiere di garzone, e contemporaneamente si iscrive ai corsi serali dell’Accademia di Belle Arti di Brera, dove le lezioni di Giuseppe Bertini gli aprono orizzonti inediti. Gli anni di Brera saranno fondamentali per Segantini, durante i quali stabilisce i primi contatti con l’ambiente artistico milanese. Così come l’incontro con Vittore Grebucy, gallerista e pittore anch’esso.
È il 1879 l’anno in cui Giovanni Segantini riceve i primi riconoscimenti e viene notato dalla critica nel corso dell’esposizione nazionale di Brera. Da quel momento ha inizio la sua carriera artistica, che lo porterà a superare i confini italiani.
Segantini riconosce in se stesso il bisogno interiore di allontanarsi dal frastuono e dal caos della grande città, per rifugiarsi in un luogo idilliaco che lo soddisfi intimamente.
Sarà Savognino (Alpi Svizzere) il luogo che corrisponde alle sue aspettative, dove nel 1886 stabilisce la sua residenza con la giovane moglie, inizialmente sua modella, e i figli.
Luogo elegiaco dove scoprirà la vera essenza del suo fare pittorico, completamente proteso a rappresentare la vita bucolica.
Nello specifico è la vita contadina e i paesaggi i soggetti privilegiati da Segantini, intrisi dei valori della natura, con quieti dipinti a rappresentare gli animali al pascolo immersi in paesaggi intrisi di grande purezza. Ne è esempio la sua opera Mezzogiorno sulle Alpi del 1891.
A Savognino, inoltre, come ben evidenziato dal docufilm Segantini, ritorno alla natura, il pittore ritrova il sè fanciullo e acquisisce uno spirito religioso che si coniuga con l’interesse pittorico della vita rurale del mondo agricolo.
Attraverso i suoi soggetti pittorici entra nella vita dei pastori, scoprendo la natura e i suoi cicli, raffigurata da scenari incontaminati all’interno dei quali gli animali assumono un valore simbolico, se non addirittura mistico.
Anche la luce è un elemento assunto a simbolo, oltre che ad essere innalzata a una sorta di afflato mistico caratterizzata da straordinari effetti di luce, dipinti en plein air. Ne è esempio Il trittico delle Alpi.
Infine, dopo aver dato al mondo opere di pregio, a soli 41 anni, nel 1899, Giovanni Segantini muore, lasciando un’ampia eredità espressiva ai pittori a lui successivi.
“Io non so se il rosso sia più bianco del nero, ma è certo che l’arte della pittura, è e sarà sempre lo spirito della materia, e non mai la materia dello spirito, del resto non tutti i bipidi hanno le ali…” ‒Giovanni Segantini, da una lettera a Vittore Grubicy
Il linguaggio pittorico di Giovanni Segantini fruisce fin da subito di una ricerca personale lontano dai dettami accademici, ispirata dal mondo della natura. Ne è esempio l’opera Le due madri, presentata ancora una volta presso l’Accademia di Brera nel 1891.
Da considerarsi il manifesto che sancisce la nascita del movimento divisionista.
Nato sul finire dell’Ottocento, il Divisionismo, fenomeno artistico italiano, trae ispirazione e lo si può accostare da un punto di vista tecnico al Simbolismo, da cui recupera il senso del mitologico.
Dal Puntinismo francese, nato sul finire dell’Ottocento con una tecnica che contrappone i colori attraverso piccoli punti, le cui radici affondano anche nell’Impressionismo, dal quale eredita lo studio della luce, prenderà l’avvio il Divisionismo.
Nel Puntinismo il punto è una breve pennellata che si distende in un impasto di colore e di luce dalla forma circolare, dove ogni colore è influenzato da quello vicino; soltanto accostandoli fra loro si può ottenere l’effetto desiderato come viene percepito dall’occhio dell’osservatore.
“L’arte moderna deve dare delle sensazioni nuove, perciò ci vuole nervi di finissima delicatezza che raddoppino le più lievi impressioni. Ciò che si vede si deve sentire e riprodurre con vita personale. Sotto il pennello la gamma deve scorrere smagliante e deve far nascere gli oggetti le persone le linee, il colore deve essere intenso ma puro perché la luce sia profonda e viva. Ci vuole evocazione continua, continuo miraggio.” ‒ Giovanni Segantini, da una lettera a Alberto Grubicy
Per gli esponenti del Divisionismo l’approccio alla tela si caratterizza con la dissociazione dei colori in singole linee minuscole, che da un punto di vista ottico interagiscono fra di loro. Stesi con pennellate brevi, spesso sovrapposti gli uni agli altri, i colori assumono contorni più sfumati e meno rigidi.
In questo senso può essere definito come una variante specifica del Puntinismo, da cui si distanzia per una visione dei soggetti raffigurati, rurali piuttosto che urbani.
Il Divisionismo entra a far parte del panorama artistico italiano grazie ad esponenti dell’Accademia di Brera di Milano, centro propulsore del movimento.
Giuseppe Pellizza da Volpedo, Gaetano Previati, Filippo Carcano, Emilio Longoni, Angelo Morbelli, Plinio Nomellini, Augusto Mussini, Matteo Olivero e ultimo, certamente non per ordine di importanza Giovanni Segantini. Sono questi alcuni dei nomi dei pittori che sviluppano i nuovi principi del movimento, seppur con differenze dovute allo stile personale di ciascuno.
“Il ritratto occupa un posto nobilissimo nella categoria degli studi, che è quello di studio del sembiante umano, ed ecco come lo definisco. Il ritratto è lo studio che con la maggior semplicità di mezzi racchiude la più efficace parola dell’Arte nell’espressione della forma viva.” – Giovanni Segantini, da una lettera a Vittore Grubicy
Grazie anche ad interventi, che danno completezza ad un lavoro di spessore artistico alto, il docufilm, come già detto, ricostruisce la vita di Giovanni Segantini, ripercorrendo le strade, i borghi, le valli e i paesaggi alpini dove ha trascorso l’esistenza in un rapporto viscerale con la natura.
Oltre alla presenza dell’attore Filippo Timi, che mostra l’intensità delle lettere autografe del pittore, sono essenziali per esplorare la vita di un maestro della pittura dell’Ottocento, quale è stato Segantini, altri interventi. Uno fra tutti è quello di Gioconda Segantini, nipote del pittore, che dà al docufilm una versione del tutto privata della vita del maestro. Che insieme ad Annie-Paul Quinsac, massima esperta e studiosa dell’arte di Segantini, restituisce la genesi e lo sviluppo del suo percorso artistico interrogandosi su pensieri e ricordi di chi l’ha studiato e conosciuto.
Oltre all’intervento di Franco Marrocco direttore dell’Accademia di Brera, e dello storico d’arte Romano Turrini.
“L’arte moderna deve dare delle sensazioni nuove, perciò ci vuole nervi di finissima delicatezza che raddoppino le più lievi impressioni. Ciò che si vede si deve sentire e riprodurre con vita personale. Sotto il pennello la gamma deve scorrere smagliante e deve far nascere gli oggetti le persone le linee, il colore deve essere intenso ma puro perché la luce sia profonda e viva. Ci vuole evocazione continua continuo miraggio.” ‒ Giovanni Segantini, da una lettera a Vittore Grubicy
Written by Carolina Colombi
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