“Tu” di Alan Magnetti: l’io è una verità da scoprire?
Recentemente ho assistito alla presentazione di Tu di Alan Magnetti, che ha avuto presso il C. S. Catomes Tôt, luogo splendido della mia Reggio Emilia, a cui consiglierei solo di mutare l’accento di quel Tôt in un più chiuso e breve Tót. Questione di punti di vista (e di ascolto): probabilmente s’è preferito mantenere la o aperta e lunga al fine di favorire una miglior accoglienza a chi accede in quel mitico ritrovo d’umani.
Sono stati dapprima proiettati alcuni short in cui dei celebri personaggi, fra cui Max Gazzè, Beppe Carletti dei Nomadi ed Elio di Elio e le Storie Tese dicono la loro sull’autore di Tu. Elio è l’ideatore della definizione: “Alan Magnetti è Magnetico, a differenza del magnetismo che attacca i metalli, il Magnettismo invece attacca gli esseri umani.” – nel senso che ci si attorciglia, correlandosi all’Altro. L’espressione di Elio è detta nel filmato e riportata nella quarta di copertina.
Non conosco Max, ma vorrei visitare la Lucania insieme a lui e al parente stretto di Rosy (Papaleo). Beppe l’ho incontrato un pomeriggio in un centro commerciale, mentre ero con un’amica, la quale gli chiese un autografo. Nessuno dei tre aveva con sé una biro, per cui il tastierista di uno dei complessi che più ho amato s’è gentilmente recato nella limitrofa farmacia per farsela prestare, dopo di che ha adempiuto cortesemente alla richiesta. Fossero tutti così i personaggi mitici!
Presentatore del libro Tu di Magnetti è stato il quasi metafisico e metapsichico Stefano Raspini, che ama definirmi Maestro Bidello, mentre io chiamo lui Bidello Poeta, e che era fresco e non troppo abbronzato reduce da una tournée letteraria sulla costa sarda.
Alan Magnetti è stato padrone della scena dal primo istante, tanto che il mio alter Stefano ha preferito girovagare all’interno del locale, recando al Magnetti un appoggio saltuario, essendo quello un tipo che sa sbrigarsela da sé. Dopo la concione iniziale, s’è svolto un gioco. Magnetti s’è dichiarato disposto a scrivere in diretta una dedica a chi desiderava interagire con lui, al suono di una particolare musica, dopo un’immediata indagine di tipo psicologico. A furor di Raspini, nonché del regista Carretti, co-ideatore dell’incontro, è toccato anche al sottoscritto il suddetto sacrificio (un sacro incontro di stampo mirceaelidiano fra autore e lettore), dopo di cui Alan (nome che mi induce ogni volta a rimembrare il trasformista Alan Mistero della mitica EsseGesse) m’ha trasmesso una sapida dedica di cui non dirò nulla, salvo che ben s’adatta al mio essere del segno della prima decade dei Gemelli (al pari di Dante e di Mike Bongiorno).
Dopo di ciò è stato proiettato il film Inferno Tube di Luca Carretti, al termine del quale, ognuno di noi s’è eclissato a rincorrere i suoi guai. Tipo dormire, mangiare, bere, leggere e tant’altro.
A pagina 8 di Tu è scritto: “Ogni giorno è qualcos’altro, è così che dovrebbe essere, ma non sai se ci credi davvero.” – e chi potrebbe averne almeno una mezza idea?!
Panta Rhei con la erre più dura che si può, ma dove finisce di scorrere, quel Tutto, dove conclude il suo mandato? Se la terra fosse lineare, la risposta (e la caduta nel Kaos) sarebbe immediata. Ma essendo, si dice, a forma di palla, mi sa che sia tutta una presa in giro su e giù per il globo, e pure a destra e a sinistra. Io non credo a nulla, se non che cogito fin troppo. Mi dovrei calmare.
“Provi a rammentare l’ultima cosa che ti ha detto tuo padre, ma non ricordi com’era tuo padre. Non sai più il nome di tua madre. Non sai se sono ancora vivi. Ti spaventi.” – penso di sapere che i miei sono morti, ma qui urge la battuta che Antonella Bezzi predilige fra quelle che dispenso (e che sono tante): Mah, chissà! La quale espressione talvolta ama trasformarsi, per mitico refuso, in Mha chissà!
“Chiudi gli occhi, cercando una certezza, qualcosa che possa…” – e non riporto altro, ché il senso è avvolto intorno a quella buia e allucinante pagina 10 di Tu.
Il tutto pare un’illusione, però…. È l’illusione che illude me? O sono io a crearla dal nulla? È il sogno che a un dato punto risveglia me? O sono io che ogni notte m’azzardo ad ammaliare lui?
“Cominci a non dare più niente per scontato e…” – lusingandoti “che hai appena fatto un passo in avanti verso qualcosa, una verità che forse devi scoprire.” – anche se in seguito sarai costretto a versare l’onere con una mistica carta di credito (e qui urge il quesito: o forse di debito?).
“Dentro di te sai che non c’è stato verso di addormentarti stanotte, sai che non hai sognato.” – chi? Tu!
Lo scrittore è colui che comincia col sedersi sul proprio sedere. E inizia a pensare come l’omone di Auguste Rodin. Poi, come dice Ernst Hemingway, si mette a sanguinare. Quando si sveglia va a controllare le lenzuola. Non c’è traccia di liquidi organici… per cui urla: miracolo!
Tutto ciò può capitare a mezzogiorno, alle 4:00 di sera o di mattina, oppure alle “2:00”.
“Sei al buio. La canzone non c’è più.” – e due sono le ipotesi.
Sei in una singolarità nera, ora tutto sei tutto e nulla di te è rimasto tuo.
Sei disperso nel nulla equipollente, dove ogni residuo è inerte e infinitamente variegato, magica conseguenza del secondo principio della termodinamica, che induce alla più gelida entropia, a meno 273 gradi sotto zero. Non t’è più dato di scrivere, né di suonare il piffero. Il silenzio non è unico, ma sparso dappertutto, in quello che un tempo era detto Ognidove.
“Quando non riesci a dormire, l’unica via d’uscita…” – no, non ve n’è di vie d’uscita, né d’entrata. Tutt’al più se ne può inventare una, l’unica percorribile, la tua.
La musica che regge il mondo coi suoi mistici accordi “… è come se non provenisse dallo stereo, è come se fosse soltanto dentro le tue cuffie.” – o sono le cuffie che si agitano dentro la musica?
Getti le cuffie, quando sei appena a pagina 36. Occhio che potrebbero servire ancora alla narrazione…
Hai un’inaudita difficoltà non solo a comunicare i tuoi dati al prossimo ma persino a te stesso.
“Sigaretta in bocca, bottiglia di birra in mano…” – questa è la vitaccia.
Apri il tuo “ultimo” cassetto: “dentro ci sono delle ossa umane.”
Una volta sentii sparare una balla, non meno falsa di ogni altra verità: i fantasmi non appaiono, come si dice, a mezzanotte, ma alle “2:00”. Arthur (Schopenhauer) mi seppe poi disilludere.
Ancora e per sempre il pensiero va precipitando al rimbaudiano Je est una autre… nonché alla complementare canzone Gli altri siamo noi di Raf e Umberto Tozzi.
Fra un “Aiutoooo!” – e l’altro, ogni tanto tornano a essere le “2:00” o giù di lì.
Se non tutto, gran parte della nostra vita gira intorno a: “tre bottiglie di birra”, “un pacchetto di Marlboro aperto sopra il frigo”, e le cuffie poi vanno e tornano, mutando il colore e le ossa continuano a rinsecchirsi o a darsi alla fuga.
Le mani sono di un uomo, che forse fa il detective, di una vetusta “pittrice”, di un instabile bebè, di un vetusto farista e di una sinuosa cubista o apprendista tale.
Chiama-ti come vuoi: i tuoi tu si trascinano in strada o sul pavimento, ognuno con la sua storia e l’incapacità di narrarla manco a sé, ognuno col suo destino, che egli contribuisce a formare, attimo dopo attimo, solo e confuso nell’alveo dell’antagonista Kósmos. È tutto lì, quell’ordinato groviglio e arcanamente sinergico di casi umani: è in quel Tu. Il quale si oppone… ma fino a quando?
L’Universo è diretto dappertutto, non soltanto lì. Il destino altrui è un immondo coacervo di cavoli loro (e anche nostri).
“Avevo le mani di un fottuto bambino, pensi scolandoti una birra” – ognuno di noi è sorto al termine di un’azione che più fottuta non poteva essere.
“… l’acqua è grigia e non potrebbe essere altrimenti in una città in bianco e nero.” – e quei non colori, mescendosi fra loro, creano la differenza. Fellini nei suoi film in bianco e nero a volte cerca la nettezza che divide, a volte la miscellanea che fa convergere gli opposti.
Carmelo Bene s’appassiona alla separazione che unisce. Chissà che significa…
Amo io? Cerco? Oppure odio? Rifuggo?
Ha tentato di dirmelo Alan Magnetti nella sua dedica. Non lo sa nemmeno lui, m’ha confidato. Nessuno lo sa. La bellezza, se c’è svanisce. La bontà fiorisce, e questo lo dice ogni tanto, da Chissà Dove, mia madre. La speranza è uno specchio che riflette quel che vogliamo che appaia, ma non sempre è così, necessariamente. Sono gli scherzi dell’anima?
“‘È impossibile’ dici provando improvviso stupore, ‘questo non sono io!’” – e nessuno è in grado di scontare la tua pena vivendo al tuo posto.
Quante volte leggo le parole: “Tu non sei.” – ma ci fosse un mezzo punto interrogativo o esclamativo!
“Perché sono qui?” – e sarebbe ugualmente interessante sapere perché non ci dovrei essere.
Getti le bobine e quelle, mutate il loro colore, la loro luminosa illusione, ti ritornano addosso.
Sei destinato ad ascoltare ogni volta la musica che tanto bene ti fa. Finché ti dura.
La scrittura è un’infinita rilettura, ogni volta muti una nota. Ma poi dici Basta! Tanto la perfezione è solo da evitare!
La tua è una canzone magica per lo più basata su una coppia di parole esteriormente gemelle: “Infinity, infinity” – il cosmo, che pare infinito, è invece illimitato. E sempre s’espande nel Nulla.
“… qualcuno che non riesci a vedere, qualcuno che ti tocca, qualcuno che ti stringe forte, poi senti qualcosa di caldo…” – e questo ti rallegra. Dai! Forse non si tratta di Belzebù!
Mi chiedo, Alan, se hai contato le volte che hai scritto “Tu” e le volte che t’è uscito “io”. Chi ha vinto fra i due antagonisti?
“Ha la faccia piena di rughe, ha così tante rughe da somigliare alla cartina geografica del Kentucky.” – talvolta è una splendida ragazza immagine, uno strisciante testé nato, o un vetusto addetto al faro, o un investigatore, oppure una decrepita pittrice. Ma è sempre lui, è Tu. Tu è io, un altro sé.
“… perché, ancora una volta, hai bisogno della musica.” – ‘sta droga divina, che ti sei scolato per tentar di capire chi reagirà al tuo libro.
“La musica è il tuo rifugio.” – come, per me è, ora, la tua scrittura.
Sì, ti capisco quando dici: “Per la prima volta vorresti vedere un’immagine sfocata.” – e lo capì Stan Laurel sul letto di morte, allorché chiese al figlio di portarlo quel giorno a sciare, attività che mai era riuscito ad amare. Piuttosto che morire, egli disse, era meglio scivolare nel bianco infinito.
L’universo è orribile, diceva Pier Paolo Pasolini.
Lo si evince leggendo il Capitolo 28, e i precedenti 27, nonché, intuisco, i rimanenti 6.
“…non voglio vedere qualcuno che sta dentro lo specchio al posto mio.” – e ognuno ha la sua manciata di secondi e di eoni di celebrità. Poi rimane, a tempo determinato, il mito. Non sempre, però. C’è chi muore ancor prima di nascere, avvolto in uno scafandro di plastica.
“… attraverso la musica spesso diventi qualcun altro…” – non migliore di te, né peggiore. Un autre… che sei Tu.
“Forse la mia vita è così perché devo fare qualcosa per cambiarla…” – cambia rotta, allora. Essa sarà solo tua, e lì ci sarai solo Tu, correlato a tutto il resto. E che credevi? D’essere l’Unigenito?
Le cose, di bello e di orribile, è che talvolta, eternamente, ritornano.
“Forse tu sei semplicemente Tu.” – l’unico, immenso e (in)confondibile Niente.
Alan! Dici che Reggio è più bella di Torino, città inclìta in cui mi recavo con papà da ragazzo, perché ci abitava Polimondo detto Mondo, mio zio. La tua frase m’ha donato un malinconico buon umore.
Paul Newman è più bello di te, forse, ma tu, Alan, hai di certo qualcosa che a lui manca.
Qua la mano, bro. Per oggi almeno, siamo stati in Due Tu!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Alan Magnetti, Tu, Capponi Editore, 2024