“Storia della musica classica” di Nicola Campogrande: dal Medioevo a Spotify

La lettura di Storia della musica classica di Nicola Campogrande, oltre che un’avventura straordinaria, è una scampagnata meravigliosa, come quella che si fa camminando tra le valli alpine, dal Trentino Alto Adige e la Val d’Aosta, o nei territori transalpini.

Storia della musica classica di Nicola Campogrande
Storia della musica classica di Nicola Campogrande

Territori ugualmente belli e ricchi di immagini che ti rallegrano e t’emozionano al contempo, come quel laghetto di Carezza, così azzurro che ti pare di volarci dentro, o quel baratro quasi insuperabile, che puoi mirare da quel Ponte Tibetano, così miracolosamente sospeso, o quel branco di bovini che corrono come cerbiatti, o quel picco gelato, che tanto desta meraviglia, allorché sali su quella piattaforma circolare, o quell’ermo paesino, tanto minuziosamente disegnato… e che dire di quella pozza d’acqua che s’intravvede poco più in là? T’immergi, e subito ti rigiri a rivedere quegli ameni picchi che paiono candide sommità e che subito svaniscono come sgargianti volatili.

Tutto nella musica e nella vita accade mentre accade…

Essa è una delle tante manifestazioni della natura che l’uomo scopre perché esiste già, lì fuori, da tempo immemorabile, e che ti aspetta. E che è ogni volta lì, dentro di te… Con la musica ho sempre avuto un rapporto occasionale, che non ho mai saputo perdonarmi. Non si può far tutto nella vita, occorre scegliere. È una Dea che non ti consente di farlo. Ti cattura e ti ruba il tempo, facendotelo dimenticare.

Con la letteratura il rapporto è, per forza di cose, più dialettico: essa ammette il confronto. Costa fatica, dopo un po’ ti dici: ecco, per oggi basta. Con la musica è diverso: è lei che ti governa, che ti rapprende, che ti sommuove. Che ti abbandona a te stesso, quando finisce il suo mandato: “Ecco, la musica è finita,/ gli amici se ne vanno/ e tu mi lasci solo/ più di prima…” – così cantava Franco Califano.

Questi sono i pensieri che mi sorgono quando, nell’ultimo mesetto, sto leggendo il saggio Storia della musica classica di Nicola Campogrande, ascoltando ogni volta il brano musicale a cui posso accedere tramite un’app del mio cellulare, che si collega a un software telematico, tramite un lettore di codici.

Di ogni autore è tracciato un profilo rapportato all’importanza da lui avuto nel periodo storico esaminato: dal Medioevo, al Rinascimento, al Barocco, al Periodo Classico, al Romanticismo, alla Fine dell’Ottocento, dal Novecento a oggi, verso il Futuro.

Il tono della scrittura di Campogrande ne Storia della musica classica è di tipo confidenziale, mentre egli ti offre di ogni singolo autore un profilo essenziale e, a seconda della sua grandezza, più o meno esteso.

Nel mondo dell’arte la misura del genio è quanto di più relativo e temporaneo ci possa essere. Si pensi a Johann Sebastian Bach, che è attualmente reputato uno dei padri della musica di tutti i tempi.

Scrive Campogrande: “Il fatto che durante la propria vita Bach non sia apprezzato quanto lo apprezziamo oggi, è in parte paradossalmente legato a questa perfezione artigianale, all’abilità, per così dire, di far ruotare insieme in modo impeccabile tutte le rotelle dei suoi meccanismi musicali.” – la qual cosa era troppo immensa per essere compresa da chi non aveva mai ascoltato nulla di simile.

Il che capita tutt’oggi a chi non ha la pazienza di cercare di capire, facendosi aiutare da chi è in grado di spiegare le ragioni di un pezzo. In verità, questo capita anche con la scrittura, i cui simboli sono così tanti da potercisi perdere, ma che prima o poi si acquisiscono. L’importante è non darli mai per scontati, ma saperli rivivere ogni volta.

Il segreto dell’arte è che essa ti sa ogni volta sorprendere con le infinite semplicità che compongono un’opera, sia letteraria, che musicale, che figurativa. Il tuo studio è solo il mezzo che ti permette di prepararti all’evento, di controllarlo mentre si manifesta, non di comprenderne le esatte ragioni. Come nella disamina di un evento fisico, non ha senso parlare di certezza, di assoluta determinazione, bensì di accuratezza dell’analisi.

Quando lessi il profilo di John Cage, uno degli autori del Novecento che più m’hanno colpito, e di cui già conoscevo le strepitose e paradossali performance, che parevano basate su un mistico non sense, mi risolsi a un piano reagente.

Alla musica ci si confronta emotivamente, e io già lo ero, emozionato. Essa poi ti sa condurre fuori da ogni logica verbale, e io ero pronto a prenderne atto.

Avevo assurdamente deciso di abbinare a ogni autore un solo vocabolo: nel caso di Cage sarebbe stato “materiale”, per Chopin sarebbe stato “poeta”, per Verdi, “teatrale”, per Mozart, “idee”, per Haydn, “struttura”, per Beethoven, “energia”, per J. S. Bach “sovrapporre”, per Wagner “totale”. E compagnia cantando…

In tutti i casi avevo sottolineato la parola del testo che più mi avrebbe permesso d’identificare l’autore anche a distanza di tempo.

Anche qualora fossi stato distante da casa (e da questo inclìto tomone) avrei potuto (forse) ricordare la caratteristica personale dell’autore grazie a quella sola parola, astutamente inserita nell’articolo.

Sempre che esso fosse stato giudicato pubblicabile e non sottoposto a diaspora. Magari con conseguente TSO nei confronti del sottoscritto. Al che mi sarei difeso attribuendo ogni responsabilità del mio gesto al buon John Cage che, dall’alto dell’empireo, avrebbe senz’altro abbozzato un sorriso tintinnante e compiaciuto.

Sarebbe stato un articolo quasi bipolare: da una parte ci sarei stato io e dall’altro l’opera esaminata. In genere è così, ma in questo caso il divario sarebbe stato, anche da parte mia, inaccettabile.

Scherzo o sono serio? Forse, lo si dovrebbe chiedere a Luigi (Boccherini), che tanto celiò col suo “quartetto d’archi” (più che altro col suo quintetto), ma anche a Ludwig, Joseph, Wolfgang, Gustav, Dmitrij, Johannes, Fryderyk, Robert… e chi più ne ha più ne moduli i sempiterni suoni!

Nicola Campogrande citazioni - Photo by Lorenza Daverio
Nicola Campogrande citazioni – Photo by Lorenza Daverio

L’ultimo autore esaminato da Campogrande è “Tan Dun” e qui il problema si fa complicato, poiché il vocabolo da attribuire sarebbe necessariamente doppio, come lo è la sua musica: “globale” e “radici”.

E poi, mi si potrebbe chiedere, perché teatrale è Verdi e non Wagner? E poeta, non lo è anche Schubert?

In effetti, a pensarci bene, nemmeno un entomologo del calibro di Edward O. Wilson avrebbe condiviso una tale ex-agerata icasticità.

Mi convinsi allora che, come temo capiti di sovente, solo io avrei compreso a fondo la mia reazione al testo esaminato. Dopo aver opportunamente consultato l’anima di John, con lui concordai di ridurre al massimo la mia originalità e di lasciarmi condurre dalla scrittura stessa.

Ogni armonia, anche letteraria, deve rispettare il suo limite!

Ogni eventuale addebito va dunque a lui più che al sottoscritto, che ha composto il presente tema letterario, anche perché tutta ‘sta musica m’ha frastornato!

Invito chiunque a provare (a leggere questo salvifico saggio Storia della musica classica) per finalmente credere.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Nicola Campogrande, Storia della musica classica, Ponte alle Grazie, 2024

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *