“Il grido dell’aquila” di Karin Smirnoff: il settimo episodio del sequel di Millennium
“La strada del destino non si può cambiare. Si può solo scegliere su quale lato camminare.” ‒ Karin Smirnoff
Le vie dell’Inferno sono lastricate di buoni propositi: Greenwashing. Il romanzo Il grido dell’aquila di Karin Smirnoff (Marsilio) getta uno sguardo su scenari già noti ai lettori italiani: l’infiltrazione del crimine organizzato in settori dell’economia legale e nello specifico nel settore delle energie rinnovabili che è stato ampiamente dimostrato da numerose inchieste (Operazioni Eolo, Broken Wings, Hermes 2 inerenti l’eolico siciliano).
Quello proposto nella fiction Il grido dell’aquila dell’autrice svedese è un business ‒ l’eolico appunto ‒ che appare un’attività dove trovano terreno fertile i punti di forza delle organizzazioni criminali quando rivolgono la loro attenzione all’attività legale: necessitano del capitale per l’investimento iniziale, controllo del territorio e capacità di influenzare i processi amministrativi e di autorizzazione degli enti regionali, provinciali, comunali nonché presenza nel settore delle costruzioni. Un nuovo settore d’investimento per le eco-mafie è rappresentato dai contributi pubblici per accelerare lo sviluppo delle energie rinnovabili e da altri alti ritorni d’investimento (certificati verdi, feed-in tariff, ecc.).
Un quadro indagato nelle sue pubblicazioni da Roberto Saviano e nelle sue diramazioni nel mondo della finanza internazionale/globale da Walter Siti nel romanzo Resistere non serve a niente o da Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini in Suburra. Così come nelle regioni del meridione d’Italia (e molte del Nord) così nella Svezia contemporanea il crimine organizzato si estende insinuandosi tentacolare in una zona grigia dove imprenditori tradizionali, multinazionali, politici e imprese a retroterra criminale convivono ed interagiscono.
Su queste tematiche della contemporaneità si impernia il nuovo atteso capitolo ‒ il settimo per la precisione ‒ della saga “Millennium” di Steig Larsson edito da Marsilio, 2023, nella traduzione di Laura Cangemi e Katia De Marco, per la prima volta scritto da un’autrice, Karin Smirnoff.
Svezia 2023 ‒ un autunno gelido. Uno stato apparentemente immacolato alle prese con le sfide cogenti della contemporaneità: la crisi climatica, l’immigrazione con le relative sfide sociali ed una non malcelata deriva nera o meglio nazional socialista (nulla a che vedere con gli eco-nazi di Greta Thumberg).
La rivista d’inchiesta Millennium non esiste ufficialmente più e presto diventerà un podcast. Mikael Blomkvist, che l’ha diretta per trentun anni, sta attraversando un periodo di profonda crisi esistenziale, si sente sfibrato come un “dinosauro”, ma neanche questa nuova fase della sua vita è in grado di placare la sua sete di verità o annichilire il suo fiuto per la notizia. Pernilla ‒ sua figlia, nata da una delle sue numerose relazioni e che da poco ha iniziato a conoscere e frequentare, sta per sposarsi. Mikael è in viaggio verso la regione selvaggia del Norrbotten per raggiungerla. Paesaggi incontaminati, distese di conifere a perdita d’occhio.
Ma fino a quando? Nulla è come appare. Un moderno Klondike, un nuovo Far West questa è la cogente vocazione di queste terre intoccate al confine con la Lapponia: l’ultima mecca della new economy: terre rare per alimentare le batterie elettriche e pale eoliche a perdita d’occhio. Un brodo primordiale perfetto per alimentare gli interessi delle multinazionali e delle organizzazioni criminali, in una parola: greenwashing.
La nuova corsa all’oro: l’energia elettrica green.
Gasskas, ridente centro del Norrbotten che tanto ha in comune con il Maine di Stephen King, sono in progetto grandi opere pubbliche. Centinaia di pale eoliche da erigere per ettari e un presupposto: l’esproprio delle proprietà private in cui ancora dimorano i legittimi proprietari e l’abbattimento delle foreste.
Henry Salo, city manager rampante di Gasskas, “uomo del fare”, ambizioso quanto elusivo sul suo passato, sta per sposare Pernilla. Marcus Branco, potente e controverso personaggio “deforme” in sedia a rotelle, proprietario di una multinazionale svedese ‒ una delle proponenti per il parco eolico ‒ lo sta braccando per acquisire la totalità dell’affare: tangenti e minacce. I guai per Salo non tardano ad arrivare: Lukas, il figlio di otto anni di Pernilla, nato da un altro legame, e quindi nipote di Mikael, viene rapito durante una sparatoria proprio alla festa del matrimonio.
Mikael, sconvolto dal fatto, inizia ad indagare con una partner… Lisbeth. Sì, anche Lisbeth Salander è in viaggio verso il Nord della Svezia, convocata dai servizi sociali per prendersi cura di una ragazzina tredicenne di nome Svala, sua parente ‒ la nipote di cui ignorava l’esistenza ‒ che è rimasta sola. La madre scomparsa, la nonna morta ed il padre (Ronald Niedermann)… ucciso, diciamo così, da Lisbeth. Ma questo la ragazzina non lo sa.
Svala, tostissima sami, saggia, geniale, coraggiosa, indipendente, un nome che per assonanza richiama il termine “risposta” (svara) delle antiche lingue norrene, poetessa, una creatura rara con un dono altrettanto speciale: la Veggenza ‒ per dirla alla maniera del poeta Verlaine. Come sua zia un “magnete” per i guai e per un passato oscuro che sarebbe meglio dimenticare.
Due donne allo specchio se non fosse che Svala è la versione 4.0 di Lisbeth. Una creatura cresciuta troppo in fretta capace di tenerle testa. Uno strano connubio di opposti: la fisicità teutonica e l’insensibilità al dolore ereditate dal padre Ronald (tuttavia diversa interiormente da lui, con un senso dell’appropriatezza, della giustizia, dell’importanza delle regole tutte sue) unite alle doti di Lisbeth.
Mikael è un pendolo del desiderio oscillante fra Erika Berger, ex-caporedattore e sua amante, elusiva quanto lontana a Stoccolma e Lisbeth “meravigliosa, strana creatura”.
Lisbeth ha altro per la testa: le sue vecchie conoscenze del motoclub Svavelsjö e una poliziotta sexy… le sue gambe da Barbie, le sue labbra… Quanto basta per infiammare la sete di vendetta ed il desiderio in Lisbeth.
“Il grido dell’aquila”: perché questo titolo?
Un richiamo agli antichi poemi dell’Edda norreno, alla chiarezza di “visione”, al volo dell’anima per la popolazione sami, un richiamo sinistro al Nido dell’Aquila di Hitler ed ai vessilli nazional-socialisti oppure un riferimento all’abitudine delle femmine delle aquile di mare di emettere un verso solo quando hanno nel nido gli aquilotti che difendono con ferocia, come osserva acutamente un personaggio inquietante chiamato lo “spazzino”? Tutte queste cose insieme, forse.
Che sia un monito o un richiamo alla natura? Nessuno tocchi o minacci i piccoli, animali o umani, altrimenti le madri, biologiche o meno, da amorevoli e docili si potrebbero trasformare in fiere senza pietà.
Il femminino nel romanzo di Smirnoff è depositario di valori, vocato alla resilienza in contrasto ad un mondo maschile misogino costituito da una galleria degli orrori di “uomini che odiano le donne” ‒ per non dire sociopatici, degna progenie di una società patriarcale. Gironi infernali che ospitano violenti e violentatori, deboli, codardi e pusillanimi, prevaricatori, adulteri, animaleschi e primitivi ‒ vere e proprie belve predatrici di donne e bambini.
Apprezzabile il tentativo dell’autrice di creare nuovi punti di vista sui personaggi principali della saga. Ella toglie Mikael e Lisbeth dalla loro confort zone sia in senso geografico che emotivo. Un cambio di habitat che ci propone due personaggi sottotono, quasi sfibrati ma, che nel caso di Lisbeth, rende il suo personaggio meno inquietante, più maturo, responsabile e introspettivo. Dal lato opposto Mikael è un personaggio alla deriva ed in crisi che deve fare i conti sul lato personale con le sue responsabilità come padre e nonno, con la scoperta di sentimenti affettuosi e protettivi, che non si aspettava di riuscire a provare nei confronti del nipotino, sul lato professionale ‒ come un dinosauro nemico del progresso ‒ non riesce ad adattarsi ai nuovi scenari del giornalismo, alla crisi della carta stampata e non si vede proprio a registrare podcast. In poche parole si sente solo e senza un proprio ruolo o con un ruolo in ridefinizione alla sua non più verde età.
“Il grido dell’aquila” è anche una favola nera di Natale: i bambini sono tutti più buoni a Natale? Non proprio… Svala, Lukas, non entrate nel bosco sebbene innevato e incantato!
Le foreste incontaminate possono da un lato con un abbraccio quasi materno disvelare qualcosa di puro, di infantile ‒ seppur residuale ‒ nei personaggi di questo romanzo oppure nascondere e nutrire demoni, far sparire persone sino a divorarle, rivelare il lato più oscuro e animale ‒ direi rettiliano ‒ celato nell’innocenza: Fight or flight! Stay dead!
Si tratta di un romanzo in cui è centrale l’aspetto della cura reciproca e dell’accudimento (anche come affetto ed amicizia) nella sua capacità di presenza che di redenzione. Nel caso di Lisbeth la ricerca e la scoperta della capacità di maternage.
La cifra stilistica di Smirnoff è uno scritto asciutto, preciso, di taglio giornalistico (lessico e parole ridotte al minimo), talvolta freddo, crudo e cinico quanto altrove sensibile e profondo ‒ un nonsoché di androgino, terrifico e sublime. Un minimalismo dello scritto senza perdita di significati e suggestioni che sovente travalicano dalle pagine dello scritto.
“Il grido dell’aquila” è un romanzo coinvolgente ed avvincente, complessivamente ben costruito, con un numero adeguato di personaggi protagonisti e comprimari ben tratteggiati nella loro psicologia ciascuno con una propria storia che nel dipanarsi delle vicende narrate assumono un aspetto a tratti di racconto corale (con modalità che ricordano lo stile di Stephen King).
Un ritmo narrativo incalzante incastra una trama complessa di un puzzle di rapporti malati, omicidi, ricatti, sepolcri imbiancati, segreti inconfessabili e misteri. Un percorso di molteplici piste narrative tortuose che convergono nell’accelerazione conclusiva del romanzo, in una sintesi suprema condita anche di notevole dark humour. Il romanzo è compensato da un numero adeguato di capitoli e tuttavia il volume mostra dimensioni contenute rispetto ai capitoli precedenti della saga.
Lo scrittore svedese Steig Larsson nel 2004, a soli 50 anni moriva stroncato da un infarto, lasciando come lascito i primi tre volumi di una serie poliziesca -ideata dall’autore in dieci volumi: Millennium. I volumi pubblicati tutti postumi in Svezia sono stati pubblicati per la prima volta in Italia dall’editore Marsilio nel 2007.
Un fenomeno editoriale unico nel suo genere, milioni di copie vendute in tutto il mondo. Da questi tre libri sono stati tratti tre film di produzione svedese “Uomini che odiano le donne”, “La ragazza che giocava col fuoco”, “La regina dei castelli di carta” (interpretati da Noomi Rapace e Mikael Niqvist) la cui trama rispecchia fedelmente lo stile di Larsson, a cui è seguita nel 2012 la versione americana de “Uomini che odiano le donne” (interpretati da Rooney Mara e Daniel Craig) a cui va ad aggiungersi la riduzione a fumetti. Una trilogia in cui corruzione, misoginia, violenza, vicende potenti e oscure, ritmi al cardiopalmo si intrecciano attorno alle vite di due personaggi iconici entrati nell’immaginario collettivo: l’hacker Lisbeth Salander e il giornalista Mikael Blomkvist. L’una una nerd minuta, pallida, di un’età indefinita, con un dragone tatuato, piercing ovunque, look gotico-punk, asociale e una insopprimibile sete di giustizia per le violenze e ingiustizie subite. Una icona femminile che incarna la capacità di ribellarsi contro le più grandi ingiustizie in una società che si dimentica degli ultimi. In lotta contro la pesante eredità del padre, i servizi sociali, i tutori. L’altro, giornalista quarantacinquenne, scomodo e famoso, coraggioso e donnaiolo, tuttavia capace di meritare la fiducia di Lisbeth, insomma un paladino dell’informazione libera contro i poteri forti ed il suo mensile Millennium, specializzato in inchieste su grandi scandali sociali ed economici internazionali. Due eroi dei nostri tempi.
Successivamente, il testimone della narrazione è passato al giornalista esperto di giornalismo investigativo, romanziere e biografo, David Lagercrantz, che ha firmato i successivi tre titoli della saga “Quello che non uccide”, “L’uomo che inseguiva la sua ombra”, “La ragazza che doveva morire”. Tre volumi in cui, l’autore onorando la passione politica che caratterizzava gli scritti di Larsson, ha proposto varie vicende in cui cyber crime, estremismo di destra, corruzione e derive violente variano per scenari mettendo a dura prova i due eroi.
Fatte queste premesse i lettori o i cinefili che si sono appassionati ai primi capitoli della trilogia potrebbero restare delusi dopo la lettura di questo settimo capitolo della saga. Una narrazione dal grande potenziale che contiene alcune incongruenze e divagazioni personalmente non necessarie unite a vicende cariche di ricordi potrebbe lasciare i fans di Larsson con l’amaro in bocca. Personalmente trovo l’esperimento di Smirnoff ardito ma interessante anche se tuttavia perfettibile.
La lettura de Il grido dell’aquila ci lascia con una domanda evasa per Svala: Babbo Natale esiste e porta doni per il Nuovo Anno e una inevasa per Lisbeth: non sarà più sola?
Karin Smirnoff: è nata nel 1964 e vive a Piteå, in Svezia. Ex fotografa, ha lavorato come giornalista fino a quando non ha voluto provare qualcosa di nuovo e si è occupata di una segheria. Dopo qualche anno, desiderosa di tornare a scrivere, ha pubblicato nel 2018 il romanzo Mio fratello, finalista al prestigioso premio letterario Agustpriset e tradotto in undici Paesi, il primo libro di una trilogia best seller in Svezia, da cui è stata tratta una serie tv. Con Il grido dell’aquila firma il primo episodio del nuovo sequel della saga Millennium, creata da Stieg Larsson ‒ un successo da oltre centocinque milioni di copie, di cui sei solo in Italia.
Written by Federico Ielusich
Bibliografia
Karin Smirnoff, Il grido dell’aquila, Marsilio, 2023