“Contro lo smartphone” di Juan Carlos De Martin: la connessione wi-fi è stalking tecnologico?

Già nella Prefazione de Contro lo smartphone” di Juan Carlos De Martin di Gustavo Zagrebelsky mi viene da reagire ad alcuni spunti interessanti: “L’invenzione della ruota ha cambiato l’esistenza dell’umanità, forse al pari di nessun’altra, ma chiunque poteva osservarne il funzionamento e comprenderlo…” – mentre “per la tecnologia informatica, il cui piccolo prodotto teniamo ora in mano, non è invece così.”

Contro lo smartphone di Juan Carlos De Martin
Contro lo smartphone di Juan Carlos De Martin

C’è però un’altra invenzione che, a mio parere, ha cambiato ancor di più l’immagine che l’uomo ha di se stesso: la polvere da sparo. In pochi la capirono, e meno di tutti chi la subì senza poterci fare nulla. Enormi imperi del Sud America furono schiantati da minuscoli eserciti che tanto ignoravano degli astri e delle scienze, ma che potevano disporre dei cannoni necessari allo scopo immediato: invadere un territorio al fine di consegnarlo ai propri datori di lavoro. È nella guerra che l’uomo più fraintende e mitizza se stesso.

Ogni invenzione umana pare foriera di ingiustizie sociali, politiche, economiche e culturali. Avendo letto il saggio, conosco le soluzioni indicate nell’ultimo capitolo intitolato, non a caso, Manifesto.

Dopo aver reso palesi le problematiche, occorre produrre, ognuno per sé, le idee tendenti alla soluzione, trasmettendole una per una all’intera platea degli utilizzatori della tecnologia informatica, che corrisponde, nei primi due mondi (ma non nel terzo), la quasi totalità degli umani.

Leggo un’ulteriore considerazione nella Prefazione:Nel mondo della comunicazione digitale è facile entrare con l’uso, difficile rendersi consapevoli di ciò che sta prima o dopo l’uso.” – per l’utilizzatore non è affatto agevole essere conscio di quanto stia succedendo, essendo egli occupato nell’azione che sta svolgendo, e non al significato sotteso. Chiamala, se vuoi, alienazione.

Il primo capitolo è Un’isola greca:Spiaggia considerata tra le più belle in assoluto…” – eppure “tutti e undici…” – tutti gli umani presenti – “… senza eccezioni, dal bambino all’anziano, stanno fissando il proprio smartphone…” – e questo mi fa pensare a quella foto, riprodotta ovviamente nei social, di quegli studenti che, seduti nei vari divanetti di una sala di un immenso museo d’arte, uno dei più celebri, tutti quanti, pur circondati da capolavori assoluti, erano intenti a chattare.

In inglese chat è il chiacchiericcio, il dialogo privo d’importanza, che si fonda e che cessa in sé. Chissà se la parola ha un etimo comune con ciaccolare (o ciacolare), oppure con ciacciare, che vuol dire parlare a vanvera, senza un fine preciso, con un’origine onomatopeica; oppure con acciaccinarsi, che viene dal latino àgere, spingere in avanti.

Chi chatta ha spesso il fine di passare il tempo, uscendo momentaneamente dalla realtà; oppure d’informare un solidale di una situazione che è accaduta o che dovrà accadere. Ma chissà qual è l’esatto etimo di chat?!

Il secondo capitolo, Anatomia dello smartphone, entra nello specifico della fisicità di questo strumento. E c’è chi ne ha uno, chi ne ha due (magari uno dei due è celato a chi crede che ne abbia uno solo), ma non ne ho ancora incontrato chi ne abbia tre; anche se un conoscente mi disse che il figlio ne ha quattro, di cui uno aziendale.

Leggendo il capitolo mi rendo d’aver finora tanto ignorato della fisicità dello strumento che, insieme al portafoglio e alle chiavi di casa, nonché al personal portatile che sto usando ora, da anni mi pare il più importante ausilio alla mia vita. Una volta c’era per me la tivù, che tengo spenta da due anni. Pago il canone annuale della RAI, non riuscendo a evitarlo, e perché non si sa mai, potrei sempre accenderla un giorno o l’altro, per un qualche motivo.

Alla domanda che si pone l’autore: “… perché la disattivazione è così scoraggiata?” – riferendosi “alle connessioni Wi-Fi e Bluetooth” – la risposta che egli dà è: “… se ci consentono di accedere alla Rete, con tutti i vantaggi che ne derivano, allo stesso tempo consentono ad altri ad accedere a noi.” – in altre parole: ci è data la possibilità di osservare il mondo, dopo di cui la sua parte più infiltrante e invasiva potrà osservare noi. Si tratta di uno stalking tecnologico spesso inconsapevole.

“È chiaro, dunque, che chi controlla il sistema operativo ha un enorme potere sugli oltre sei miliardi di smartphone utilizzati in questo momento sul pianeta.” – essendo la versione tecnologica del detto latino do ut des. Ognuno dà quello che ha, al fine di ottenere tutto quel che sa ricevere, anche alcuni aspetti segreti dell’anima dell’utente, a quel che sembra.

Il terzo capitolo è Da dove viene, dove finisce. L’autore qui educa il lettore, con dovizia di particolari, sulla storia di questo smilzo attrezzino, che inizia dal 1967 (quando Steve Jobs aveva una dozzina d’anni, come indica l’autore).

Si dice poi (con una certa ironia, suppongo) che “dal 2012 in avanti la battaglia si può dichiarare vinta: la standardizzazione è avvenuta, si instaura il duopolio…” – ma non nominerò le due aziende vincitrici – “… che oggi è diventato pressoché assoluto”.

Chi regge tutte le baracche sono queste due immani aziende-cònsoli – la metafora è mia – che, come i due magistrati dell’antica Roma dettavano le leggi dall’altro della loro potestas e del loro imperio. Saranno solidali fra loro, questi due aziende gerarchiche? L’autore cerca di spiegare con abbondanza di dati, fin nei minimi particolari, la questione nel resto del saggio.

Mi colpisce un’affermazione che colgo a pagina 83: “… l’amministrazione Trump ha dichiarato l’azienda cinese…” – il cui nome non indico per par par condicio“… un rischio per la sicurezza nazionale…” – comminando alla stessa – “… pesanti sanzioni che l’hanno portata a uscire di fatto dal mercato occidentale degli smartphone…” – per cui mi sorge la curiosità di sapere quale sia stato l’illecito compiuto, che qui non viene indicato. Anche la successiva amministrazione democratica “ha poi confermato le stesse sanzioni…” – per cui anche oggi quell’azienda “si concentra sul mercato cinese” – che è sicuramente più vasto di quello di Bagnolo in Piano o di Rolo.

“Duopolio”: termine che l’autore usa con frequenza m’inquieta, poiché mi ricorda il duopolio geo-politico che ci fu durante la guerra fredda, che era fondata sul reciproco terrore, con tutto il male che comportò a livello globale.

L’autore è efficacemente informativo circa i pericoli ambientali connessi con lo smaltimento dei materiali relativi agli smartphone non più utilizzati, con l’annessa ingiustizia politica e geografica (per cui, a livello planetario, le terre del fuoco, restano sempre i “Paesi a basso reddito che importano i rifiuti…” – senza che siano adottate le necessarie “infrastrutture di riciclaggio che sarebbero necessarie per controllare i rischi ambientali e sanitari dei lavoratori” – nonché lo sfruttamento di lavoratori, laddove “il costo del lavoro è più basso, i diritti dei lavoratori meno tutelati…” – che è la filosofia che informa le strategie di risparmio di numerose aziende.

Il successivo capitolo è Le conseguenze, che sono di vario tipo: “sul corpo”, “sull’ambiente”, “sull’informazione”, “sulla mente” – e la cosa che più m’inquieta è che, pur imparando ora nuove nozioni sui rispettivi argomenti, che un po’ già sapevo o potevo intuire, tali ulteriori conoscenze non mi scandalizzano più di tanto, poiché le davo già per scontate. E questo è il vero dramma: ci stiamo abituando a tale purgatorio, illudendoci di chissà quali paradisi informatici, sottovalutando l’eventualità di un forse ineluttabile inferno sociale e ambientale.

A pagina 124 leggo che qualcunovorrebbe attirare costantemente la nostra attenzione, per segnalarci che è stato pubblicato un articolo o che qualcuno ci ha scritto un messaggio oppure che stiamo passando vicino a un negozio dove ci eravamo appuntati di voler comprare qualcosa…”.

Per un paio di volte, poiché mi rivolgo di frequente a colui che quasi affettuosamente chiamo zio con l’annesso nominativo, inteso non come azienda ma come motore di ricerca, al fine di scoprire per esempio gli etimi o il significato di talune parole desuete (tipo catessi), non riesco sempre a non sfogliare le ultime notizie connesse a tale servizio. Un paio di volte ho notato nella lista alcuni miei articoli. Ho quindi chiesto ai miei familiari di controllare sui loro smartphone e nei loro non c’erano. Da cui ho dedotto che nessuno di loro li stava leggendo con la necessaria frequenza.

Un secondo fatto riguarda la mia infanzia. Quando ero alle elementari normalmente andavo a letto dopo Carosello (come il 98,45% dei miei coetanei italiani: la percentuale l’ho ovviamente inserita alla carlona). Accadendo ciò anche nelle sere in cui la mia squadra preferita giocava una partita in una competizione europea, fremevo all’idea che fino al radiogiornale del giorno dopo, che la mia famiglia ascoltava ogni mattina, e che normalmente poco m’interessava, non avrei saputo l’esito dell’incontro di calcio. Mentre mi addormentavo, una volta mi venne da pensare che, in nessun libro delle centinaia che erano nella biblioteca di papà, era presente l’informazione. E la cosa mi angustiava. Al bimbetto di pari età di oggigiorno è normalmente consentito di dormire col cellulare posto sul comodino e nulla toglie che, dopo il primo sonno, questi possa connettersi al suddetto zio ed essere in grado di conoscere il risultato della partita. Dopo aver letto questo saggio, non so se e quanto debba invidiare quel telematico moccioso.

A pagina 129 inizia il capitolo Chi controlla lo smartphone, di cui cercherò di non riportare granché, essendo sì intrigante ma anche micidiale. Basta forse questo accenno: “… lo smartphone. A differenza del personal computer, è tendenzialmente sempre connesso a Internet e ha inoltre perso le tre libertà fondamentali del PC.”che sono indicate nel capitolo stesso. Mi va di sintetizzarle così (il saggio va letto per intero, se si vuol giungere a una più complessa consapevolezza dei fenomeni connessi all’argomento). Homo est homini lupus ma, senza collegarsi ai suoi consanguinei, egli non ce la fa a gestirli.

Due sono le aziende che dettano legge, entrambe con sede nel primo mondo (di cui facciamo parte noi italiani). Due sono le potenze che comandano nell’intero e azzurro pianeta. E ognuno di esse dipende dall’altra e forse questo condurrà a un equilibrio non meno infame di quello che c’era nel secondo dopoguerra, fondato ora non più sul terrore nucleare, ma sulla mutua necessità economica. Questa è la mia personale interpretazione del capitolo e dell’intero saggio. Conto su qualsiasi critica che mi permetterà di mutarla e migliorarla.

L’ultimo capitolo è il suddetto Manifesto, che rivolge la sua attenzione ai quesiti esistenziali che sorgono a proposito di quanto sia “bene che lo smartphone, qualsiasi tipo di smartphone, anche il più equo, il più sostenibile, il più trasparente, il più fedele, diventi un oggetto necessario…”.

Venti punti per un futuro migliore è il titolo del paragrafo in cui sono affrontate, una a una, le problematiche di natura ecologica, economica, politica, sociale e culturale connesse all’uso e all’abuso dello smartphone.

Non sono un politico, ma uno che cerca di usare il cervello (non so se questo tipo di homo sapiens saepe nesciens possa definirsi un filosofo) per osservare e tentare di comprendere la realtà.

Alberto Moravia riconosceva in Karl Marx la scoperta (a suo modo banale, nel senso indicato da Salvatore Patriarca nel suo Elogio della banalità, ma non per questo ovvia; anzi, essa è stata geniale) che la nostra società è basata sull’economia (strutturale) e non sulla cultura (sovrastrutturale). Anche se è stata la cultura a permettergli di comprendere l’economia.

Credo che una possibile soluzione dei problemi denunciati dall’autore possa essere la soluzione, non a livello locale, ma planetario, dell’ingiustizia che tanti lutti adduce all’umanità, specie nel terzo mondo, ma anche nei primi due (che ormai s’assomigliano tanto da parere due bipolari gemelli siamesi).

Finché esiste un umano che muore di fame, o un altro che è costretto al crimine oppure di fuggire di casa al fine di sopravvivere, finché l’1% della popolazione mondiale è in possesso di oltre la metà delle risorse totali, ed è in grado di gestire la restante metà, ogni soluzione non è che un palliativo.

Questo non significa che tutti gli aspetti del problema non debbano essere analizzati, al fine di rendere democraticamente civile La scimmia nuda, come la chiama Desmond Morris, quel contraddittorio animale che, unico fra tutti gli altri, è capace d’inventare utensili che conducono alla costruzione di altri utensili, come indica Danilo Mainardi ne L’animale culturale.

Juan Carlos De Martin - scrittore tech
Juan Carlos De Martin – scrittore tech

Il fine deve essere produrre quella serie di miracoli sociali e tecnologici che sono indicati dall’autore, di cui un po’ invidio la precisione matematica nelle statistiche e nelle abnormi cifre che egli dimostra di conoscere, nell’intero saggio, di cui stamattina ho ultimato la lettura.

Grazie al tuo saggio, Juan Carlos de Martin, come anche grazie a quello di Lisa Iotti, autrice di 8 secondi, che tratta il medesimo argomento, a quello di Luciano Floridi, autore di Etica dell’intelligenza artificiale e a quello di Matteo di Michele, autore di Intelligenza artificiale, sto prendendo a poco a poco coscienza di quanto siamo inadeguati a tanta tecnologia informatica.

Per usare un’espressione più icastica, siamo tutti quanti inguaiati.

Chissà quando si concluderà questo non più così occulto dramma umano?

Quando potrai scrivere un nuovo saggio che potrai intitolare Andando incontro allo smartphone?

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Juan Carlos De Martin, Contro lo smartphone, Add editore, 2023

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