“Soli” di Daniel Schreiber: scrivere è un mestiere che richiede solitudine

“La solitudine non crea solo distanza nei confronti degli altri, ma anche un inquietante allontanamento da se stessi, da tutte le parti di noi che esistono solo in virtù della relazione con gli altri.” Daniel Schreiber

Soli di Daniel Schreiber
Soli di Daniel Schreiber

Quando mi capita di leggere un autore nuovo (per me tale, mentre magari è celebre nel resto del mondo) sento il bisogno assai criticabile, stimolato dalla nuova tecnologia che questo si aspetta da me, di correre a mirarne le effigi su zio Google. E magari su zia Wiki. Non sempre c’è, in questo caso sì, nell’edizione tedesca. Occhio però a non confonderlo con i due Dan Schreiber, uno è un produttore radiofonico australiano che fa un po’ di tutto, l’altro è un giocatore di poker yankee.

Cosa m’ispira il viso dell’ormai mio autore Daniel Schreiber? Onestà, gentilezza, sensibilità. Scopro che ist ein deutscher Schriftsteller und Journalist e che se un paio d’anni prima di andare a militare avessi avuto una storia erotica, mi sarebbe potuto essere figlio.

Decido subito di trattarlo da coetaneo, sennò non mi uscirebbe la reazione al suo saggio-romanzo Soli”, il cui argomento principale è lo stato d’animo in cui ci si sente quando si è soli.

Salvatore Quasimodo scrisse la sua più celebre poesia in uno di quei momenti: “Ognuno sta solo sul cuor della terra,/ Trafitto da un raggio di sole:/ Ed è subito sera.” È un grande componimento con un unico difetto: sembra che ognuno sia sempre solo, sempre trafitto da quel raggio e che per tutti quanti subito si diventa vecchi, salvo magari rinascere il giorno dopo. Non è chiaro se sia una metafora di un’esistenza intera, oppure del ripetersi sempre uguale (o quantomeno simile) di una giornata, magari trascorsa a leggere o a faticare in un lavoro sempre più alienante. Questa è una differenza notevole fra gli umani. Poi ce ne sono altre. Molti non arrivano a sera, morendo, per malattie o per gli stenti, anche in giovane età. C’è chi non riesce mai a sentirsi solo, essendo dotato di spirito estremamente sociale (mi viene in mente le figure di Don Milani e di Don Bosco). C’è chi non si sente mai trafitto da alcun raggio, perché vive nel buio di una mestizia orba di speranza. I casi sono così molteplici e caotici, che rischiano di farmi perdere la consapevolezza che sto commentando un libro che parla della solitudine.

Noto che solo a pagina 29 ho iniziato a sottolineare qualcosa. Questo non vuol dire che un’opera non mi stia stimolando a recepire, ma che non mi sta ancora causando una reazione scritta. Ogni opera la esamino leggendo e poi scrivendo, prendendo spunto da dei passi che ho evidenziato col lapis.

“… mi si dice che devo riuscire a cavarmela senza le due componenti pressoché essenziali della fantasia della buona vita, vale a dire benessere e felicità in amore.” – sono delle avvisaglie che l’autore coglie giornalmente, che lo inducono a sentirsi solo, tutti i giorni, ma soprattutto “alla fine dell’anno”, quando si fanno i consuntivi e si prevedono le stagioni che sono dietro l’angolo.

Daniel giunge alla consapevolezzache si tratta piuttosto di una solitudine stagionale, sintomo di un momento in cui non riesco a...” – ad accorgermi che non mi sta andando malaccio, così sintetizzo il suo più delicato discorso.

Vorrei far ascoltare all’amico Daniel, a cui ora darò del tu, la canzone Anna di Lucio Battisti, parole di Mogol (Giulio Rapetti): “Hai ragione anche tu/ Cosa voglio di più/ Un lavoro io l’ho/ Una casa io l’ho/ La mattina c’è chi/ Mi prepara il caffè/ Questo io lo so..”. – e poi Lucio continua a elencare le sue normali fortune, per poi chiedersi, infine: “Cosa voglio di più?”, al che lo coglie un’assurda e assoluta consapevolezza di quel che già sa: gli manca una donna che esula dalla suddetta norma e che si chiama “Anna! Voglio Anna!

Nella vita ci si dovrebbe accontentare, ma non è mica facile. Il voler di più è positivo, ti fa andare avanti, a meno che tu non pretenda l’impossibile, per cui si sviluppa una sempre più dolorosa ansia di essere inadeguato alla propria esistenza, in un distacco fra quel che si è e quel che si vorrebbe essere. Una specie di Khaos, in cui tutto pare andare a rotoli, in direzione dell’atroce imo della nostra anima. Aiuto! Glu glu glu!

“Credo che molte scrittrici e scrittori condividano la passione per le camminate perché quell’attività è un efficace strumento per contrastare gli stati bui in cui la scrittura fa precipitare.” – il Khaos di cui si diceva poc’anzi? Un giorno, se ci capiterà di incontrare, in quel ceruleo bistrot, che ogni tanto vagheggio, “Virginia Wolf, la romanziera più dotata, la camminatrice più dotata e purtroppo anche la depressa più dotata di tutti” una persona la cui espressione del viso m’ha sempre inquietato, glielo potremo chiedere. E speriamo che lei finalmente sorrida alla nostra sciocca domanda!

“… camminare non è un modo per trovare se stessi, o per lo meno non lo è sulle prime, ma piuttosto un tentativo per sfuggire a se stessi.” – che, visto da un’ottimista qual è il sottoscritto, significa andare sempre avanti. Per me camminare a piedi, svicolare in bici o guidare l’auto vuole sempre dire spostarsi dal punto a al punto b. E poc’altro.

Nel frattempo (sempre che il tempo esista, e non mi va ora che di accennare al nome di Julian Barbour, che però saluto) molte delle mie cellule sono ri-morte e a altre sono ri-nate. Gran parte dei miei fermioni hanno voltato i piedi all’uscio, prontamente sostituiti dai loro teneri figlioli. Per quanto riguarda i bosoni sono troppo rapidi perché possa individuarli e descriverli. Anch’io sono fuggito da me per tornare a un altro me, quantisticamente più attuale. Amo andare un paio di volte alla settimana al Parco delle Caprette, ma solo se trovo l’amico con condividere il relativo spazio-tempo, al massimo un paio d’ore e una decina di chilometri, con pausetta al bar, in una pace dell’anima condita da sapide chiacchiere, con l’unica preoccupazione d’evitare lo scontro con quel ciclista all’ultimo velodromo che crede di essere Kaiser Jan e che quando passa urla, come un gerarchetto di non so quale infame regime: State sulla sinistra, perdio! Se non trovo il pollo con cui razzolare per l’aia, me ne resto a casa a leggere, scrivere e ogni tanto sollevare un kambered (per una mezz’oretta, due giorni su tre).

Se non lo scrivo almeno una volta in ogni reazione, la direttrice della rivista mi guarda male, per cui lo faccio, senza torcere il collo però: Tót i cajòun a gh ân la só pasiòun: la mia passione è attualmente (da circa mezzo secolo) l’uso, possibilmente anormale, delle parole. Ogni tanto tendo a scordarmi un fatto: il protagonista di un articolo letterario dovrebbe essere lo scrittore esaminato, non il giocoliere autobiografico quale a volte pretendo d’essere.

Leggo a pagina 37: “A un certo punto non faceva più male essere solo, e neppure mi sentivo più così solo.” – neanche quello strambo silenzio t’assordava più di tanto. Finito il liceo, mi chiusi in una quasi ermetica solitudine che, per ridere, definirei leopardiana, mirata alla lettura più che ad altro. Un po’ come Peter Parker che, come lessi in una strip, viveva con gli zii, privo di ragazza e di vita sociale, ma era contento così. Io non ero affatto depresso, ma m’infastidiva il fatto che ogni tanto un amico di nome Luciano (che tanto oggi vorrei rivedere) veniva a trovarmi per spingermi a uscire in società. Anche questo finì, dopo che erano passati tre o quattro anni, quando, sia pur lentamente, mi resi conto che qualcosa doveva cambiare nella mia vita. Da quello che arguisco, tu, Daniel, sei uno che vive nella perpetua ricerca della cognizione di sé. E mi puoi capire. Anch’io sono come te. Potremmo essere due consanguinei, se ci pensi.

“… la solitudine di chi vive da solo ha tempi e ritmi diversi: cresce per poi scemare.”Panta Rhei, come tutto, o se preferisci: E = mc2. Ed è anche E – mc2 = 0, tót à fîn: e godiamocela finché si può.

“Penso spesso a una frase di Derrida sull’amicizia: ‘Io rinuncio a te, l’ho deciso’, scrive il filosofo, ‘è la più bella e la più inevitabile delle dichiarazioni d’amore’.” – rinuncio a invaderti, siamo amici, non belligeranti. Lessi, commentai a suo tempo, Politiche dell’amicizia di quel filosofo che, in una foto che beccai su zio Google, mi parve il doppelganger di Gian Maria Volontè, ma non sono certo di averlo fatto mio com’è accaduto con altri scrittori. Mi piacerebbe incontrare il suo spettro, magari anche lui seduto in quel bistrot celeste dove ho tante amicizie, e dove non mi sentirei più solo. Dove non leggerei più. Né scriverei più un rigo.

“La vera gioia dell’amicizia deriva dal donare attenzione…” – ho appena chiamato per telefono Tonino, il mio trapanese preferito, per augurargli con 24 ore di ritardo un buon compleanno. Purtroppo m’ha informato che ieri andò a lavorare, anziché poltrire a letto. L’ho rimproverato e lui m’ha spiegato che sono i tristi effetti collaterali del quinquennio passato a Reggio Emilia, tipo quelli del Covid… Ovvio che dalla telefonata è esplosa una bomba di gioia da entrambe le parti.

“Oggi ho spesso la sensazione di avere troppo poco tempo per me, per tutte le cose che vorrei fare, per i libri che vorrei…”Halt! Stoppen! Anch’io ci sono passato. Sto ora capendo, sia pure a fatica, che Gino Ruozzi, mio saggio amico ancor più che docente universitario, fece davvero bene ad abbozzare un sorriso, e a piegare serenamente la testa da destra a sinistra, socchiudendo impercettibilmente l’occhio sinistro, quando gli dissi, stando seduto di fronte a lui in un bistrot cittadino, che erano troppi i libri da leggere. Credimi (e qui Gino Ruozzi forse arriccerebbe il naso): qualsiasi numero di libri tu abbia letto, ne bastava la metà (più uno, quello del quale stai sbirciando la copertina).

“La solitudine non crea solo distanza nei confronti degli altri, ma anche un inquietante allontanamento da se stessi, da tutte le parti di noi che esistono solo in virtù della relazione con gli altri.” – anche una navicella spaziale con un equipaggio di scimmie nude tende ad allontanarsi dalla gravitazione terrestre, ma il suo fine ultimo è ammarare sul pianeta azzurro. La solitudine, come tutto, come anche Genova per il cantautore Paolo Conte, “è un’idea come un’altra”. Che sia buona o cattiva dipende dalla traiettoria che ti spinge a seguire. L’astronauta fugge dal se stesso che andava a giocare a bowling con gli amici, o che sorbiva un Martini ‘ncoppa a ‘o divano. Ma in quel locale e su quel sofà ci intende ritornare al più presto.

“Tuttavia, ‘vivere da soli e sentirsi soli sono’, sostiene Svendsen, ‘due fenomeni del tutto indipendenti l’uno dall’altro, tanto dal punto di vista logico quanto da quello empirico” – come dicevo prima, io e Peter Parker eravamo abbastanza soli ma quasi indifferenti al fatto d’esserlo.  Qualcosa cambiò in me quando m’accorsi che tale solitudine pareva sempre di più un vicolo corto, stretto e cieco, per cui, soprattutto grazie all’amico Onorio, e a una delle più assurde delle collezioni umane, quella dei gettoni (a proposito, com’eravate messi in Germania negli anni ‘70?), e poi delle schede telefoniche, e poi di tanto altro, uscii dal tunnel, come quella particella che pare occlusa da uno una lastra di densissimo acciaio, ma che di fatto non lo era. Non è stato facile.

“… era subentrata una forma di insicurezza che si autoalimentava: più mi sentivo solo e più ero incapace di parlarne. E meno ne parlavo, più aumentava il senso di solitudine…” – idem per me.

“Non mi sentivo più me stesso e mi vedevo sempre più spesso in quell’alone in cui tendiamo a relegare le persone che soffrono di solitudine.” – occorre reagire al calo della percezione di sé, che reca alla diminuzione dell’autostima che si mischia all’aumento della supponenza, condizione che ci fa barcollare, ma anche affermare con tracotanza: tanto io basto a me stesso, frase che non direbbe di sé manco un sannyasin. No! Per comprendere se stessi bisogna perseguire la tranquillità.

Vedendo alla tivu tutta una serie di telefilm sull’amicizia, che per fortuna o purtroppo non ho mai seguito (proprio a causa della mia mania di leggere più di quel che serve), ti rendi conto che: “nonostante tutti i giuramenti di fedeltà, i rapporti di amicizia appaiono dunque come dei preparativi per riuscire a condurre una vita di coppia, come cuscinetti che attutiscono delusioni d’amore, una sorta di assicurazione emotiva di cui a un certo punto si può fare a meno.” – e c’è del vero in questo. Andai con Onorio in vacanza ad Amalfi e lì incontrai colei che per oltre tre decenni fu la mia con-sorte. Poco dopo anche il mio amico convolò a nozze e ci perdemmo un po’ di vista: “Spesso queste amicizie hanno una vera e propria fase di arresto.” – di sosta forzata, come in autostrada nei sabati di luglio per andare a Rimini.

“Le perdite ambigue sono caratterizzate da scarsità di informazione, da un paradosso di presenza e assenza, da un sia/sia ambivalente che fa sì che l’elaborazione del lutto subisca rallentamenti o venga meno.” – con annessa, secondo Pauline Boss, una “particolare forma di trauma”.

Sono davvero tante le opere sull’amicizia e sulla solitudine da te citate, il che significa che, almeno oggi, questi sono i problemi che più t’inquietano.

Sul periodo del Covid, con annesso imboscamento in casa, sono d’accordo con te quando dici, non ricordo più in che punto, che ognuno l’ha vissuto a modo suo: per me è stato un periodo leggero, anche perché lo smartworking mi consentiva una certa flessibilità di orari, essendo importante per il mio datore di lavoro soprattutto la qualità e la quantità di lavoro, e non tanto l’assiduità temporale. Inoltre, vedevo tutti i giorni due consanguinei. Era bello attraversare la strada di via Adua, dove io a 7 anni e mio padre a 87, che morì dopo una decina di giorni, fummo a suo tempo investiti sulle strisce pedonali. Lui stava tornando dal fornaio. Io stavo andando a catechismo e per un pelo evitai l’eterna beatitudine. In quell’ameno 2020 non passava nemmeno un umano (a parte me, che andavo a desinare dalla consanguinea che amo da più tempo, distante un centinaio di metri)! Solo cani, gatti e qualche topo, immagino. Vivevo con mio figlio e mangiavo ogni giorno cappelletti in brodo e paste varie. Non ero affatto solo! E trovai il tempo di leggere I fiori del male di Charles Baudelaire in lingua originale.

“Quando si vive da soli, l’aspetto più difficile delle perdite ambigue non è tanto il dolore causato dalla mancanza di una relazione. Molto più difficile è rinunciare a tutti i sogni che si nutrivano per la propria vita…” – a cui lo stand-by non va proprio giù. A me non capitò, ma l’avrai capito che non sono normale.

Parli della tua “anoressia affettiva”, che affrontavi in “riunioni di gruppo” – espressione bruttissima e splendida. Fossi in te la brevetterei. C’è anche la forma bulimica. Gli affetti sono sempre dominati dalla passione che, quando non c’è, manca e, quando c’è, tende a ex-agerare.

Dopo di cui cominci “a lavorare all’uncinetto”, a “lavorare a maglia” che, per te, non per me che ignoro il fenomeno, “significa trasformare, al pari di tutti loro, un gomitolo di lana in qualcosa che si può indossare…– così un fotone sposta di livello un elettrone, creando la sensazione che il vuoto sia pieno e se uno ti stia dando un ceffone, così lo senti bruciare sulla guancia (che, come il pugno, è fatta soprattutto di vuoto). Maledetta e purtroppo benedetta interazione elettromagnetica!

Morale della favola: “Si accetta la propria solitudine e la si trasforma in qualcosa di bello.” – e questo, se ci pensi, accade a tutte le forme di arte.

“Le persone che vivono da sole, anche quelle più ottimiste, ammettono di tanto in tanto quanto sia improbabile per loro l’idea di ricominciare un rapporto d’amore.”confermo. Probabilmente la delusione ti fa ingigantire le cose che hai sacrificato in nome di quel rapporto.

“… il nostro essere diversi e diverse ci avrebbe condannati a una vita in solitudine e prova di amore.” – e la cosa più triste è che lo temevate fin da “quando eravamo giovani” – non so che dire se non che la cosa mi reca tristezza.

“… la depressione era sempre lì, dietro l’angolo, indipendentemente da quel che facessi, e qualche volta avevo perfino la sensazione di non sapere più perché fossi in vita.”per scrivere questo libro, che tanto mi sta donando?

Parlando di te e di due tuoi amici, uno più giovane di “dieci anni”, uno più anziano “di quindici” anni, dici: “apparteniamo a tre diverse generazioni di omosessuali” – che hanno convissuto in tre diverse misure la paura “dell’HIV”. Quel virus si è diffuso inizialmente in una città americana dove la promiscuità sessuale tra i gay era altissima e che nulla aveva a che fare con il fatto di essere, come dici spesso tu, “queer”. In alcuni periodi della mia vita c’era chi amava diffondere la notizia che anch’io lo fossi, fraintendendo taluni miei comportamenti o mancate frequentazioni. Il che mi è servito per avere una mente più aperta sull’argomento. Come reagirei alla notizia che uno dei miei figli fosse gay? Non lo amerei di meno, né di più, né in modo uguale. Lo amerei in modo diverso, perché ogni informazione che si riceve fa variare sia te che il fenomeno osservato. Lo amerei e basta. Li amo entrambi al punto che darei la vita per loro, però, mentre scrivo, sono contento di saperli Altrove.

Quando leggo, l’autore e il sottoscritto sono portatori (in)sani di entanglement (come quelle due particelle che, entrando in collisione, restano per sempre correlate). La letteratura è assai più infettiva dell’HIV e del Covid. L’importante è essere vittime consenzienti dell’altrui verborum vis. Se ci sono tanti gay al mondo, in cui tutto esiste per svolgere una funzione, significa che servono. Con questa battuta la discussione dovrebbe essere chiusa. Anche se poi resterà, temo, socchiusa.

Onorio e il sottoscritto per scherzo ci chiamiamo reciprocamente getunêr (token addict). Dopo aver frequentato numerosi convegni numismatici-filatelici, aver studiato alcune opere a riguardo e aver scartabellato migliaia di gettoni, abbiamo raggiunto la consapevolezza che gli amati gettoni, nella massima parte, sono a rotazione verticale (come le monete), mentre alcuni, più rari (per esempio IPM 7603) sono anche a rotazione orizzontale (come le medaglie): in gergo essi son detti varianti. Anche tu lo sei. Anch’io, a modo mio, lo sono. Sennò non starei qui a scrivere.

“… la mia agenda era piena di incontri da moderare e di letture pubbliche…” – come ho letto in alcuni punti della tua opera, tu sei un anchor-man, uomo da palco, e io questo mestiere non lo eserciterei mai, se non con la pistola alla tempia. Quando vincerò il Premio Nobel, manderò a ritirarlo la mia ex con-sorte, la quale, pur essendo laureata in lettere, non a digiuno di latino e di greco, essendo amalfitana, dal palco svedese alluccherebbe: ‘o merito è tutto mio che lavavo e pulizzavo mentre lui se ne steva ‘ncoppa a ‘o divano a leggere! – al che io, standomene tranquillo nel salotto di casa, m’alzerei immediatamente in piedi e applaudirei a scena aperta.

Tutto nasce dal fatto che ho sempre avuto dei problemi d’accettazione della figura del nobile docente, che, almeno qui in Italia, stava assiso su una scrivania sopraelevata rispetto a noi miserabili sudditi. Credo che da tutte queste fobie mai più guarirò, ma me ne sto facendo una ragione. Ed è anche la ragione per cui mai accetterei d’utilizzare quel che tu definisci self-care, tipo “i soggiorni nelle spa” – che mi parrebbero come un ritorno a quel CAR (Centro Addestramento Reclute) a cui seppi sopravvivere con una certa dignità, non potendo purtroppo esimermi.

“… a un certo punto si può imparare a guardare le proprie ombre interiori, guardare lì dove fa male.” – si deve, io lo faccio quotidianamente.

“Secondo Hannah Arendt senza solitudine non ci sarebbe vita contemplativa, non ci sarebbe il pensiero stesso.” – ma forse ci sarebbe ancora, confuso col rumore del mondo, più sporco che bello.

A pagina 122 enumeri tante specie di vegetali. Ora ti farò gemere o sorridere. In italiano, specie al nord, il gay è detto finocchio. Ma ti posso garantire che uno dei migliori liquorini fatti in casa dalla mia citata consanguinea è il finocchino, fatto con le fogliolette della pianta che cresce spontaneamente nei prati. Se vuoi ti invio la ricetta. Io non so prepararlo, ma lo so trangugiare.

“Alcuni anni fa, un conoscente ha tentato più volte di spiegarmi che dovevo imparare a convivere con i problemi irrisolti.” – io lo faccio da anni. Non deve dirtelo lui, bensì tu stesso. Ma so che ci sei arrivato da solo. Non me l’ha detto nessuno, lo sento soltanto.

Ho letto Sorella outsider di Audre Lorde, autrice che tanto ami, e ti garantisco che in genere non pensavo a lei come a una donna, un’afroamericana, una lesbica, ma come a una scrittrice intrigante, a un essere umano in coraggiosa sfida col proprio tragico destino.

Daniel Schreiber
Daniel Schreiber

“Il terapeuta sembrava non capirmi…”potresti rivolgerti a un altro, a me per esempio. Pensa che io di recente ho trovato ein deutscher Schriftsteller und Journalist che mi ascolta pazientemente, ogni tanto annuisce sorridendo, e che non mi fraintende mai.

“Forse era questo ciò a cui si riferiva Simone Weil descrivendo le amicizie come un miracolo, un ‘miracolo come la bellezza’…” – sono gli effetti del sanscrito kam’a, da cui derivano amore e amicizia (nonché kāma sūtra): una passione, che può bruciare, oppure soltanto scaldare, a seconda della temperatura che si ottiene (e non sempre si riesce a decidere quale debba essere).

Pensa che strana e bella cosa è la cultura: nella Bibliografia sono presenti, uno appresso all’altro, “Hannah Arendt” e “Aristotele”, come se fossero due cuginetti.

Ora che ho finito di scorrere la tua opera, corri il serio rischio di diventare una perdita ambigua, sorte che tocca a tutti i libri che leggo. Non c’è che una soluzione per te, se vuoi evitare tale finto problema: scriverne un’altra. Ogni perdita ambigua è un deposito nell’imo della nostra anima, dove tutto rimane per sempre e, rimescolandosi col resto, in qualche modo agisce sul nostro presente.

Scrivere è un mestiere che richiede solitudine.

Dopo qualsivoglia lettura, secondo la mia interpretazione di Borges, lettore e scrittore diventano compagni di camminamento in quel Magico Parco che conduce Lassù.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Daniel Schreiber, Soli, Add Editore, 2023

 

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