“Il mistero della pittrice ribelle” di Chiara Montani: un giallo storico ambientato nella Firenze del 1400
“Il mistero della pittrice ribelle” (Garzanti, 2021, pp. 334) è il romanzo di esordio di Chiara Montani; architetto di formazione, è specializzata in arteterapia. Proprio l’Arte è l’anima di questo giallo storico che intreccia i fatti di sangue alle passioni: l’amicizia, inossidabile, delusa, tradita; l’amore; gli inganni e le menzogne. Sullo sfondo, un’età incerta; tra le pieghe vi si insinuano come serpi oscure trame e intrighi politici.
Firenze, 1458. Lavinia, ferma davanti alla tela, immagina come mescolare i vari pigmenti: il rosso cinabro, l’azzurro, l’arancio. Ma sa che le è proibito: una donna non può dipingere. Nella bottega dello zio arriva Piero della Francesca, uno dei pittori più talentuosi dell’epoca. Lavinia si incanta mentre osserva la sua abile mano lavorare all’ultimo dipinto; Piero è tutto quello che lei vorrebbe diventare. Giorno dopo giorno, Lavinia capisce che la visita di Piero nasconde qualcosa. Il sospetto della ragazza acquista concretezza quando lo zio viene ingiustamente accusato dell’uccisione di un uomo e Piero decide di indagare. Ma Lavinia questa volta non vuole restare in disparte; grazie alla vicinanza dell’artista, comincia a guardare il mondo con i propri occhi.
Il 20 luglio 1458 Piero della Francesca è a Roma. Il cardinale Bessarione gli ha commissionato un lavoro prestigioso; l’importanza di quella tavola trascende la raffigurazione formale. Pur oppresso dalla calura, il maestro dà anima e corpo: La flagellazione di Cristo non può essere meno che perfetta. La luce abbacinante di un sole impassibile, un’atmosfera rarefatta e immota; così Piero interpreta l’episodio. Fuori dalla tavola, in quel torrido giorno, la stessa luce, la stessa immobilità.
Poi un rumore di zoccoli rompe quella calma irreale; tra la polvere della via Appia sopraggiunge un cavaliere che chiede di Piero. È partito da Borgo San Sepolcro; deve consegnare un messaggio urgente appena arrivato da Firenze. La missiva è accompagnata da una medaglia; Piero accarezza con il pollice la strana incisione, un complesso motivo geometrico racchiuso entro un serpente che si morde la coda. Il mittente è il pittore Domenico Veneziano; egli si rivolge al frater Piero con tono accorato. Teme per la propria vita, che sente minacciata da una forza oscura; in nome del loro patto di fratellanza, lo supplica di raggiungerlo a Firenze. Due giorni dopo, nella città medicea, Lavinia viene travolta da un cavallo su Ponte Vecchio.
Il cavaliere è visibilmente infastidito; gli occhi fiammeggianti di collera hanno il colore delle acque dell’Arno in piena, rughe sottili tradiscono una maturità celata da un aspetto giovanile. Il tono tagliente e il carisma che emana dalla sua persona abbagliano Lavinia, incapace di rispondere per le rime alle parole di biasimo. Sotto lo sguardo dei curiosi, la ragazza avvampa di vergogna; ma finge noncuranza mentre si lascia il ponte alle spalle. Lavinia è la nipote di Domenico; già orfana di padre, ha perso anche la mamma.
Lo zio l’ha strappata alla solitudine e l’ha presa con sé; l’uno è per l’altra l’unica famiglia. Da tempo il Veneziano non riesce più a procurarsi appalti prestigiosi; commesse meno importanti gli permettono comunque di tenere in piedi la bottega. Domenico ha appena inaugurato un cantiere in casa di Felice Peruzzi; il banchiere lo ha incaricato di affrescare le pareti di un salone.
Che sia questa l’occasione per rientrare nel giro degli artisti?
La Fortuna sembra sorridergli anche grazie all’avvenenza di Lavinia; Lorenzo Guidi ha perso la testa per lei, l’ha chiesta in sposa e l’atto di fidantiae è già stato siglato. Il giovane è figlio di un notabile della potente Arte della Seta; come il padre, è membro della magistratura degli Otto di guardia e balia. Domenico presenta un ospite alla nipote; in quello sconosciuto ella riconosce il cavaliere che l’ha investita: è Piero della Francesca. Il maestro conteso da tante corti è un connubio di talento e pessimo carattere, di ingegno acutissimo e lingua affilata. A quanto pare, il frater ha affrontato invano il lungo viaggio; divertito, Domenico lo rassicura.
La lettera? Egli non ha scritto nessuna lettera. Sta bene, pericoli non ne corre. Fino a quel momento. Dal giorno seguente, un’ombra inizierà ad addensarsi su di lui; sempre più cupa, avvolgerà anche Piero. Lavinia varca la soglia di palazzo Peruzzi; deve consegnare del cinabro allo zio. Un silenzio innaturale la accoglie all’ingresso, la segue per le scale ed esplode al piano superiore; la ragazza socchiude la porta del salone. Sul pavimento giace il cadavere del banchiere; l’affresco è sfregiato da un grosso simbolo circolare. Domenico è stato tradotto alle Stinche insieme al garzone Francesco; sono entrambi accusati dell’omicidio di Peruzzi.
Corre Lavinia, corre a perdifiato, il cuore impazzito, il mondo in pezzi. Piero ottiene il rilascio degli imputati fino al processo; sta per ripartire quando le porte di Firenze vengono chiuse. Da mesi in città l’aria è irrespirabile, avvelenata da una tensione crescente; il malessere è sfociato in una congiura contro il gonfaloniere. Piero approfitterà della permanenza forzata per portare a termine La flagellazione.
L’opera attrae irresistibilmente Lavinia, aspirante pittrice. La fascinazione verso la pittura è giunta a maturazione quando ha osato prendere in mano lo stilo d’argento; ha dato forma alla propria immaginazione. Francesco le ha impartito delle lezioni; l’ha introdotta nel mondo del disegno, dei pigmenti e degli strumenti. Ma quel mondo Lavinia, donna, deve frequentarlo di nascosto. A lei, a tutte le donne, è preclusa la possibilità di concepire e partorire forme, immagini; il loro dovere è concepire e partorire la prole.
“Nel ruotare lo strumento con la mia mano maldestra […] avevo già intuito le infinite possibilità di quel linguaggio e mi ero lasciata catturare dall’esaltante potere della creazione. Una sensazione tanto più spiazzante in quanto sapevo bene che si trattava di un piacere proibito, qualcosa che per una donna era considerato sconveniente, inappropriato. Anzi, del tutto inconcepibile”.
La notizia che Piero è a Firenze giunge alle orecchie di Cosimo de’ Medici; quest’ultimo non intende rinunciare a un incontro. Ma conosce Piero; sa che non accetterebbe mai un invito cortese. Il maestro è in compagnia di Lavinia quando tre uomini sbarrano loro la strada; inutile il tentativo di fuggire, inevitabile la visita a palazzo. Perché Cosimo bracca Piero con tanta ostinazione?
Il Medici e Bessariore si contendono il Corpus Hermeticum; un prezioso manoscritto che racchiude un’antica sapienza. Piero ha appreso dal cardinale informazioni riservate; che riveli quel segreto: Cosimo glielo strapperà per fas et nefas. Ma il maestro è leale; non tradisce il suo mecenate. Il popolo viene convocato in assemblea; il gonfaloniere dà l’annuncio ufficiale dell’avvenuta congiura e rende noti i nomi dei cospiratori.
Gli animi si accendono; nel corso di un tumulto Domenico viene colpito alla testa da una pietra. Le sue condizioni sono critiche; a fatica viene trasportato all’ospedale di Santa Maria Nuova. Un lampo di terrore passa sul volto del Veneziano; quel pio luogo evoca una vicenda tragica che risale al 1439. All’epoca egli era impegnato insieme a Piero e a Filippo da Verona sui ponteggi della chiesa annessa all’ospedale; i tre erano amici, fratres. Il nome di Filippo diventò tristemente noto quando fu accusato di un reato infamante; quella macchia lo portò alla damnatio memorie.
In quello stesso luogo ora Domenico lotta tra la vita e la morte. Nonostante sia su questo limen viene cacciato come paziente non gradito, in spregio alla pietas che si conviene ai religiosi. Il camerlengo viene trovato senza vita; il corpo massacrato con ferocia, sulla fronte lo strano simbolo circolare. Singolare, troppo, per non intuire un legame con la morte di Peruzzi.
Lavinia e Piero si dividono tra il lavoro nella bottega di Domenico e una instancabile indagine per arrivare alla Verità. Si inoltrano nei vicoli più sordidi di Firenze, tra donne di malaffare e spietati tagliagola; la loro recherche svela la faccia miserabile di una città splendente dei fasti medicei. La coppia scopre una corte picaresca che si inchina a un temuto e temibile dux: l’Imperatore.
Chi è questo personaggio inafferrabile? Tutti lo conoscono, tutti avvertono la sua presenza; nessuno vuole parlarne. L’Imperatore è la chiave dell’enigma; ma arrivare a lui è arduo e pericoloso. Piero non si lascia intimidire; insieme a Lavinia si introduce nell’archivio del palazzo del Podestà. Trovare una traccia tra i documenti di anni è quasi impossibile; ma la Fortuna aiuta gli audaci.
Gli occhi del maestro frugano tra le carte, la mente assimila, crea collegamenti. Se per Lavinia quella sortita notturna è stata un inutile rischio, per Piero è la svolta: ora sa. L’Imperatore persegue con pazienza una antica vendetta; non si fermerà finché non avrà colpito tutte le vittime designate. Mancano solo tre nomi: due di essi sono quelli di Domenico e Piero.
L’ultimo velo cade; è Lavinia a strapparlo. Nello squarcio, ella trova più di una Verità, tutte sconcertanti. Ma una è tale da frastornarla; una agnizione che riscrive la sua vita intera. Il mistero della pittrice ribelle presenta una struttura composita. La calce, vagliata e cotta, l’intonaco, i pigmenti: così è composto un affresco; così nel romanzo si compenetrano vari livelli narrativi.
La vicenda mette a nudo le contraddizioni politiche e sociali della gloriosa età di Cosimo; corruzione, pregiudizi, emarginazione. Proprio le categorie marginali sono sacrificate dalla cecità di un sistema giudiziario distorto; le masse assetate chiedono un olocausto, anche di sangue innocente, purché sangue venga versato. Piero è uno degli artisti più enigmatici della Storia, come del resto i suoi dipinti; universi che Bernard Berenson definì “ineloquenti”.
L’aura misteriosa rende Piero il protagonista ideale di una vicenda in cui il mistero assume molte facce; ma la statura di Lavinia sopravanza quella del maestro. Un impareggiabile quid la distingue: è una donna che osa osare. Osa coltivare un sogno; osa desiderare, volere, sfidare la corrente.
La crescita di Lavinia nel corso del romanzo è prorompente; ella si scopre ricca di capacità e talenti che non immaginava di possedere. La sua bildung inizia quando conosce l’esaltante potere demiurgico della creazione artistica. La grazia benefica dell’Arte investe Lavinia ogni volta che dipinge: essa libera la mente, calma le angosce.
Written by Tiziana Topa
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