“Zeno in condotta” di Massimo Vitali: come il respiro di una controversa coscienza
Prima di iniziare a commentare “Zeno in condotta”, faccio una mezza spiata.
Ho conosciuto di persona Massimo Vitali allorché presentò nella mia città il romanzo Il circolo degli ex. Ergo da allora lo stalkerizzo un po’ (non troppo, dai) in un paio di social, ma era stato lui a offrirsi in tal senso al gentile pubblico e, da quanto lo stesso non ha avuto scrupolo di confessarmi, la sua opinione sulle mie reazioni letterarie è che sono un pochino complesse. Sì, ha parlato un uomo per nulla complicato, come no!
Innanzitutto, la prima sottolineatura la faccio solo a pagina 37. Si chiede Zeno, l’io narrante, eroico tredicenne: “Vorrei capire se è possibile studiare con i libri chiusi.” – nel prossimo mondo forse sì, anche in Occidente. I Bodhisattva lo fanno regolarmente da alcuni millenni.
Lo ammetto: io fatico a reagire a un libro che non sia del tutto spalancato, con le sue paginotte belle aperte. Come questo, per esempio.
Per la seconda sottolineatura attendo altre 30 pagine: “Gli amici servono anche a questo: a convincere un amico che non esistono solo gli amici.” – ed è come se Tex Willer dicesse a Cochise, mentre i due valorosi stanno unendo i rispettivi polsi, che, in effetti, a quella faccenda della fratellanza di sangue lui non è che ci creda troppo.
L’amicizia, come l’amore, è kam’a: sanscrita passione (da cui anche Kāma Sūtra). La prima dovrebbe essere meno afflitta dalla gelosia, rispetto alla seconda almeno, ma dipende. Per il termine indicato fra parentesi è consigliabile consultare prima la psicologa.
Due pagine dopo: “Non so perché ma più Alma mi chiede di essere sincero, più sento il bisogno di fingere di essere quello che non sono.” – cioè di non essere quello che sono. Ti sei mai chiesto, Massimo, perché in genere il pubblico preferisce una fiction a un docufilm?
Strofe memorabili di un brano musicale degli anni ‘50, che mi canticchiava una collega che allora aveva una dozzina d’anni più di me (tu magari chiedi conferma ai tuoi cari, Sandro e Santina): La vitaaaa è un paradiso di bugiiiie… quelle tuuuue e quelle miiiie, e poi quella cantava anche: Tuuuu, che non sai amaaaar!
Tu, come te in tanti, anche l’inclito Professor Raffaele Simone, autore del recente Jazz Café, confidi molto nel detto nomen omen, specie quando devi sceglierlo per un personaggio o per un ambiente, ma anche per il titolo del libro che deve leggere l’io narrante, che, com’ho detto, si chiama Zeno, essendo il suo un flusso ritmato e regolare come il respiro di una controversa coscienza.
Il libro che lui deve leggere l’hai utilizzato in una sua infinitesima parte nel tuo esergo, deformando un po’: Il salmone rampante, che si presta a più di un’analogia col capolavoro di Italo; “Mortenia” è il luogo dove vivono i tuoi glabri personaggi, nonché dov’è situata la scuola media, detta, ovviamente, “Alkatraz”; “Ollivud”, è la parte del territorio, limitrofo ma non troppo, dove hanno le loro sedi le scuole superiori, e ci si si arriva in autobus. Il tuo amico Harif cita anche “Il deserto dei tartari come direbbe Boselli”, il vostro prof di lettere, e chissà se avevi in mente il cognome dell’autore di quel terribile romanzo. “Harif” in arabo vuol dire acuto, pungente, come uno spillo insomma, uno che favorisce le reazioni, a modo suo, però. Alma, beh, più nomen omen di lei c’è solo Carmelina (Giardino del Signore).
Harif dice che: “Sembra la scena di un film.” – e ora scusa, Massimo, se ti sostituisco come interlocutore. Avanti il prossimo!
Tu, Zeno, gli rispondi: “Secondo me dovresti cambiare canale.” – e non c’è male che non dici link.
A pagina 107 la tua non troppo solidale sorellina, detta “Tigre”, minacciata dalla frusta (solo leggendo il libro si capisce in che senso) ti indica i 5 principi 5 “Che deve fare un ragazzo per conquistare una ragazza” – bah! Di fatto non ne conoscevo manco mezzo, infatti non ero granché famoso nell’ambiente scolastico per il mio carnet di rubacuori.
Quella felida maldida, il sesto, che è il risolutivo, se l’è tenuto per sé.
A pagina 113 vengono citati in poche righe tre insani social che proprio non riesco a digerire e mi vien quasi la voglia di uscirne al più presto. Ma si sa, non sempre si può fare quel che si vuole… e di più non dimandare!
“Possiamo fare tutto, pure scriverne uno noi, di libro.” – proponimento assolutamente da apprezzare ma anche da discutere. È letteratura anche un post su Facciabuco, oppure trattasi di un mero rigurgito di parole? Quando avrò una mezza risposta a riguardo ne darò comunicazione sul social stesso.
A pagina 115 purtroppo leggo che non stai andando benissimo a voti: scrivi che hai “preso 3 in matematica, 4 in italiano e 5 in spagnolo perché avevo cose più importanti da fare che studiare. In una settimana ho pubblicato tre video su TikTok.”: pare che, soprattutto la prima volta, fa sempre un po’ male, perciò per il momento l’ho evitato. Non vorrei aggravare la tua situazione, ma lo dico al fine di confortarti: sappi che Pirandello aveva 5 in pagella in italiano scritto. Io pure, nonché 4 in matematica e 5 in latino, sempre scritti. In orale, non so come, mi barcamenavo. Nel secondo quadrimestre scoprii l’uovo di Colombo: bastava studiare: 6 in italiano, 7 in latino, 8 in matematica: per cui mi sentii un misto di Leonardo Fibonacci e di San Tommaso d’Aquino.
“Avendo poco budget, come ruoli secondari ho coinvolto gli attori non professionisti, Bea e Panci…” – qui a Reggio c’è un tuo collega regista che si fa offrire il caffè dalle comparse.
Colgo l’occasione per dire che “Bea” ha un Dante, che non sei tu, e che “Panci”, è un bulimico amico tuo che intuisco che si possa chiamare Panciroli.
“Ne deduco che le ragazze, quando parlano in uno spogliatoio, non sono poi tanto diverse da quando parlano fuori.” – strano… ne sei sicuro? ma forse hai ragione…
“Se fossimo stati dentro un film, qualche minuto prima uno spettatore si sarebbe trovato davanti a questa scena”: ovviamente non la riporto, serviva solo a far capire come la vita reale sembri sempre meno un docufilm, più spostata verso la fiction.
“In quel momento il protagonista del film, Zeno…” – e sei sempre tu che parli, l’io narrante, e questo che significa? Forse che per me sono io il protagonista assoluto della mia vita?
Sono, purtroppo e per fortuna, un essere estremamente, drammaticamente e insolubilmente relativo.
Nel caso in parola, quello che hai combinato tu e i tuoi due amici è grave, lo ammetto, ma è stato un atto in bilico fra l’ontologico e lo gnoseologico, dettato dalla voglia disperata di sapere, proprio quello che spingeva Giacomo a divorare follemente quelle migliaia di libri, che il giorno che li vidi nella sua casetta di Recanati, poco ci mancò che svenissi piangendo e che piangessi svenendo.
Nessuno l’ha presa bene, manco “Genitore Maschio” e “Genitore Femmina”, così diversi da quelli di Massimo, che sono cari anche a me!, ma dimmi, lo sto chiedendo a te, Max, se quei fantastici due erano così come li presenti anche quando ti colava il moccio dal nasino!
A me tanto mancano i miei, sia mia mamma, che qualche scopaccione me lo dava, eccome!, e che una volta m’inseguì col metro ligneo da sarta e che, con un suo fendente, che per poco mi mancò, produsse un piccolo cratere nella tavola di noce nazionale, appena comprata e di cui era tanto fiera. E mio padre, che tanto spesso, pensando ai miei anarchici fini esistenziali, era solito chinare il capo, sconsolato. Il quale papà mi spinse a leggere, pensa a te, L’idiota di Fëdor, opera che cambiò la mia vita per l’eternità e che mi fece urlare, nella mia brulla solitudine: Il principe Myškin sono io!
Non ti resta che stringere un’alleanza, tipo fratelli di sangue (e lo siete davvero!), con il tuo amato nonnino: sappi che è una cosa buona giusta, in quanto, te, ti trattano come un bimbetto, lui, come un inbanbî, sì, non fare quella faccia, a Rèş ci vuole la n davanti alla b.
In riferimento al bar “Barazzo”, in cui ti rifugi coi tuoi amici, voci esterne (non felsinee) mi assicurano che trattasi di un locale bolognese in cui ci vanno i bimbetti e gli anziani: allora portaci il nonnino, ogni tanto!
Una cosa ho imparato da te: l’importanza di annuire con grazia al nemico che ti sta facendo passare sotto le Forche Caudine. Può sempre servire, anche se in me sonnecchia un Amatore Sciesa.
A pagina 134 e 136 chiarisci il significato del titolo: concetto ovvio che non vale la pena di rimarcare.
Ti faccio ora una penosa domanda: qual è l’esatta differenza tra “gringe” e “Minion”? Mica l’ho capita, eh!
“Nel giro di un secondo tutta l’aula mi sta fissando.” – quasi fosse quella di un tribunale. Che orrore! Mi domando se fossi così nel torto a odiare la scuola! A proposito di Alkatraz, rammento un mio pensiero quand’ero in terza liceo: ancora due anni di galera, poi finalmente uscirò dalla gabbia!
Era un pensiero un po’ troppo ottimista: sono stato recluso fino al 30 novembre 2020.
A pagina 140 hai il tuo quarto d’ora di catarsi, che finirà dritto su un social, filmato a tradimento dal tuo peggior nemico, “Davide Vezzani, detto Vezza”, che ti odia, e non ha tutti i torti: l’hai umiliato davanti a tutti, illo tempore, ricordi?
È dal suo post filmico che nascono le condizioni della tua social resurrection.
Il tuo “Genitore Femmina” ora ti dice: “Sono proprio fiera di avere un figlio Gemelli ascendente Vergine.” – anch’io io e mio figlio siamo tali, che stramba coincidenza! In più, sia io che lui siamo canidi per i cola cola e pro-scimie per i maya-lini.
Esulta, il mai abbastanza opimo “Panci come se avesse segnato un goal tirando direttamente dalla sua porta.” – egli è il più grande portiere di tutti i tempi, ben al di là di Yashin, Gilmar e Zamora, anche se il mondo ancora non l’ha visto parare alcunché. Io amavo giocare a pallone con gli amici in campetti improvvisati, ma sempre rigettai l’idea di far parte di un club giovanile, malato di mente com’ero. Il mio sogno ricorrente era che esordivo con la maglia del Milan a quindici anni e mezzo, prima del mio amato Rivera che gli capitò, nella realtà, a sedici e che, al ventiduesimo secondo del primo tempo, grazie a un sontuoso passaggio (avrebbe detto Pizzul) di Gianni, al primissimo pallone da me toccato in serie A, trafiggevo il colpevolissimo (e compiantissimo) Giuliano Sarti!
“Sto solo studiando per esigenze di copione.” – ti va di dire, ma ormai è solo una balla. Lo sai che io amo la letteratura mondiale solo perché mi appassionai allo studio di quella italiana, che era materia d’esame in quinta liceo?
“… ho scoperto che leggere mi piace…” – a me no, e se lo leggo in modo compulsivo è perché lo giudico il mio heavy duty a cui sarò per sempre condannato. Triste storia? No! Tragica è!
“Mi piace trovarmi dentro una storia, anche se non è la mia…” – perché così si trasforma, leggendola.
Quel che capita a te e ad Harif è l’ennesima prova provata della teoria scientifica russa, che vale per tutti noi come accadde a Raskolnikov e a Nechljudov, e alla sua dolce metà, la sua tenera meta. C’è così tanta speranza nel pentimento! Nel Mea Culpa Mea Culpa Mea Maxima Culpa esala il suo estremo respiro il seme della più formidabile delle Resurrezioni!
Ti falsifico, ragazzo: tu non sei “il buono” e Vezza non “è come uno di quei cattivi dei film che non muore mai.” – voi due, forse non siete fratelli, ma siete almeno cugini. Cercate di volervi non del male e, se ci riuscite, anche del bene.
Quel che leggo a pagina 189 mi fa temere un inquietante sequel: Lo scriverai, vero?
La quart’ultima riga di pagina 195 mi fa pensare a un’allegoria che scappò detto a Jago (ispirato da William, ovviamente).
Infine, dono a entrambi le mie due ultime minutaglie.
Jack è il diminutivo di John, per cui si dovrebbe dire Jimmy “Leopardi”.
E vedete che, per me, servirebbe non “il numero 45”, per quel paio di scarpette, “che non si trovano più neanche online.” – ma il 46.
Ora devo scappare a pranzio da zia. Ciao!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Massimo Vitali, Zeno in condotta, De Agostini, 2023