“Cieco” di Massimo Fini: quando uno scrittore perde la vista
“La prima rinuncia fu alla guida, mi parve molto dolorosa…” – causata da problemi di ipovisus, mentre la mia, da giovane, fu un tentativo, consapevole ma coronato da insuccesso, di sentirmi anormale: tutti miei coetanei guidavano e andavano pazzi di farlo (driven mad), poi mi sposai e soccombetti. La mia quasi ex con-sorte, laureata in lettere, prese la patente a diciott’anni, dopo aver commesso varie infrazioni durante l’esame, a quanto mi disse, facendo sghignazzare l’esaminatore, e andò a ritirare i documenti circa due anni dopo. Per forza, abitava ad Amalfi e la Motorizzazione civile era a Salerno. E mai poi guidò.
“Sono sempre stato trasandato, scarruffato, disordinato…” – finalmente qualcosa che ci fraternizza. Del resto sono solo alla prima pagina, ma il libercolo Cieco di Massimo Fini è corto e stavo già temendo.
Mai ho avuto il tuo massimo coraggio, un po’ ti invidio e un po’ no, per aver imitato “il principe Stavrogin – ero imbevuto di letteratura russa…” – anch’io, ma preferivo il suo gemello diverso, il Myškin – “gli morsi, non ricordo per quale disputa, un orecchio” – un monello sei, quale io mai lo fui (anche se le prendevo sia a casa che a scuola). Sì, t’invidio, più che altro perché a occhio avresti meritato almeno dei rimbrotti.
“Come scrive Nietzsche: ‘Non fa onore al suo maestro chi rimane sempre allievo.” – una massima che mai e sempre reciterò ai figli e agli eventuali nipotini.
“L’auto mi piace per il senso di libertà che ti dà.” – a me piace perché ti porta da qua a là, e per null’altro: un mero elettrodomestico che va a benzina, metano o gpl, che talvolta reca problemi di manutenzione. Rinuncio all’idea dell’elettrico, troppo complicato per me.
“Confesso che anche l’aereo non mi dispiace. Mi sento totalmente affidato al pilota e mi rilasso.” – idem, e se posso schiaccio un pisolino, anche se russo e, di questi tempi…
Anch’io amavo giocare a calcio, dilettandomi nel passare subito la palla e poi correre come un ronzino in avanti, attendere il momento giusto e concludere l’azione con un geodetico (nel senso di minore sforzo) tiro in rete: gol! – una volta ogni morte di papa polacco.
“E in macchina io ero sempre concentrato al massimo.” – io pure, sui libri che avevo appena terminato di leggere.
Poi dici che ami correre in autostrada. Io no. Anche se devo ammettere che nel tragitto Lazio-Campania, con quelle noiose salite e quelle immediate e catartiche discese, io variavo abbastanza la velocità, massimo a 140 km/h. Ora non più e non se sono maturato o qualcosa di peggio.
“Alle volte il Dio, in modo del tutto arbitrario, ti tiene la mano sulla testa, altre volte, in modo altrettanto arbitrario, no.” – anch’io ho le mie colpe, e alle volte (bell’espressione, davvero!) mi chiedo cosa Gli dirò allorché mi chiederà perché non abbia mai confidato in Lui, dopo i miei primi quattordici anni. Probabilmente Gli confesserò che m’ero un po’ distratto e che nel mio cervello c’era un casino del diavolo.
“… la mia fidanzata dice che sono diventato ‘buono’” – la tua paura è di essere diventato umile, mentre io ho l’opposto timore di diventare supponente, quando in verità suppongo solo una cosa: di esistere. Ma dopo aver letto l’ilare Putnam qualche dubbio mi è sorto.
“Ero caduto in giù sulla carrettiera, da un’altezza di circa tre metri.” – io fui sbalzato a sette anni a venti metri dall’urto con un’auto (mentre mi recavo beatamente a dottrina): entrambi (anche tu, immagino) battemmo la testa. E questo ci assimila, temo. Tu perdesti un po’ la vista, io iniziai a confidare nel mio terzo occhio.
“Non potendo distinguere nitidamente, da lontano, i particolari degli oggetti, miravo, per così dire, alla loro essenza.” – il tratto che li rendeva unici, intendi?
“Credo che la mia totale indifferenza per gli oggetti, per la loro estetica, derivi da lì, così come, al contrario, il mio interesse per l’introspezione psicologica.” – così disse di sé il guercio Acheo.
“… il mio ‘realismo’ è stato sempre letterario, di seconda mano, di risulta.” – che è quello che rende meglio dipinto un vano. Il miglior realismo è dello scrittore reale che scrive in modo irreale.
E ciò ti ha “facilitato la visione d’insieme.” – che è pur sempre un’illusione, che muta a seconda che tu sia un aquilotto oppure un acaro.
“Se avessi saputo dipingere sarei stato un impressionista.” – e io un emulo di Piero (dal Manzoni, non della Francesca o dal Pollaiolo).
“… perché descrivere, narrare, era per me uno sforzo molto più innaturale che lavorare con i concetti, con le idee, con le astrazioni, con la logica.” – anche per me, e mi aiutai con la meta-logica, su qualunque stramberia essa sia fondata.
“I prof, anche se noi ragazzi li consideriamo tali, non sono del tutto scemi.” – alcuni di loro non mi amavano, altri non fecero tempo a conoscermi. Sulla loro intelligenza non mi esprimo: non la capivo.
La morte di tuo padre ti fece “un grande favore, perché mi sottrasse alla contestazione anarcoide e arruffona…” – della mia, papà non si accorse mai, o forse finse, e io ancora lo rim-piango.
“… e mi costrinse, inconsciamente, a guardare in faccia la realtà.” – a me condusse a una domanda: perché i genitori non ricrescono sugli alberi, come capita alle ciliegie? A quel tempo, con mia madre ammalata di demenza senile, io fui la persona relativamente più adulta a cui riuscivo a rapportarmi.
“È stato quello il culmine della mia vita, il nadir…” – il che la dice lunga del versante in cui ti senti più in sintonia.
“Se fossi morto in quell’istante, la mia vita sarebbe stata solo felicità.” – orba, ma serena.
Parli ora di “Maspes” di “Reginald Harris”, che conosco grazie a te! Il mio preferito era Beghetto.
“Nella grascia del suo viso non c’era più nulla della…” – di quel termine che comincia con la g, non cesserò mai di esserti grato.
Anche nel dire di quella tipa che “lepegava con uno”, mi doni un bel termine, genovese a quanto ho capito. Belin!
Ora esamini la sorte di alcuni celebri portatori di handicap, fra cui Galileo, e io non dico, come te, che ha ragione Baudelaire, col suo “L’unica scusante di Dio è di non esistere.” – perché, mentre non lo fa, non cessa di sconvolgere i fatti nostri. E non so se lo perdonerò mai.
Spieghi che i medici sono “iatrogeni” – e dopo aver consultato zio Google ammetto che raramente ti tolgono la fortuna di dosso, con o senza la s davanti.
Con gli occhiali, come capita a una mia consanguinea, riesci a “decifrare nitidamente dei particolari infinitesimali, per esempio certe iscrizioni microscopiche sulle monete.” – essendo entrambi diversamente ipervedenti.
“Ero un bel ragazzo, anche se non lo sapevo.” – e gran parte dell’umanità condivideva la tua ignoranza. E tu lamenti che l’uomo, per quanto riesca a spingere i suoi detriti fino a Giove, non sappia trovare rimedi per la cecità: concordo. È uno scandalo programmato e fortemente voluto, mi sa. Meno la gente scorge la verità e maggiormente può crescere l’ingiustizia.
Un medico disse che eri “una persona egoista e cattiva.” – come dire bellamente brutto, un ossimoro. L’egoista non è captivus di nessuno, ma in fuga perenne dagli altri, come una cometa.
“Ritornai al Fatebenefratelli…” – pensa se fossi stato ammesso agli Incurabili.
Vedesti due soli, in realtà “il sole che era alle mie spalle, si rifletteva su un alto grattacielo di vetrocemento, biforcandosi però in due.” – questo mi fa pensare a quel profeta biblico, cui accadde un fenomeno analogo, quando gli parve di vedere due mari separarsi fra loro.
“Ma forse in quel caso giuocò più la mia fantasia morbosa che una malattia che era ancora molto di là da venire.” – i nostri talenti sono spesso i prodromi delle future nostre fragilità.
Quel tuo discorso sulla “macchia cieca” che coviamo dentro i nostri occhi, mi fa temere per il futuro immediato e quello a lungo termine.
“Capii che non avrei mai più visto un cielo così e che era l’inizio della fine.” – che avrebbe senz’altro condotto a un diverso inizio.
“Per l’intanto…” – e qui cosa devo dirti, se non grazie! Ho finalmente compreso i per intanto che colsi in Eco e in Bacchelli, e in misura minoritaria, in Fabio Fazio. Quell’l’, la dice lunga sulle potenzialità inespresse da un linguaggio che taluno vuole siano fissate per sempre come se fossero delle stelle fisse (non ne esiste alcuna!).
Tante storie, tutte ugualmente legittime, vale la pena di narrare!
Citi alcuni versi della poesia che più amo, nel senso che sento più mia, quella in cui sovvien l’eterno, e questo, più di tutto quello che ho letto finora, ti rende mio fratello o se, i rapporti stretti ti turbano, mio cugino di secondo grado.
Prima di quel tornado esistenziale (“il glaucoma”), “io pensavo alla mia vita, al senso che non ero stato capace di trovarle, o di darle, al mio passato.” – panta rhei, con la erre durissima! Dare un senso a un vago concetto è più cogente che seguire il più saggio dei precetti.
Quel “vecchio signore, almeno a me pareva vecchio, che al parco, seduto su una panchina, leggeva i giornali aiutandosi con una lente…”, e tu che sei ora messo così, mi fate pensare ad Anselmo, ex carabiniere marchigiano, poi commesso parastatale, con la sua ineffabile lente d’ingrandimento. Ciao caro!
“…’i ciechi se la cavano meglio dei semiciechi’…” – come i conduttori trasmettono l’energia meglio dei semiconduttori.
“Questo mostro ti mangia gli occhi giorno dopo giorno, in modo quasi impercettibile ma costante, inesorabile, irreversibile, per cui tu non sai se domani potrai…” – esistere meglio di oggi, o peggio, o uguale, ma… esistere è in fondo esistere!
“Una volta scambiai la moglie di Travaglio con la Spinelli perché si chiamano entrambe Barbara…” – capita anche a me, fin dalla mia fanciullezza: per me A, ma non sempre, è B, mentre B è, ma non sempre, A; A e B sono talvolta B e talvolta A; eppure ho un visus quasi ottimo. È che non ricordo i visi altrui. Diciamo che non li fisso a sufficienza, come se non mi riguardassero.
“Io quando vedo il mare non sento ragioni, mi ci devo cacciar dentro.” – e io quando intravedo le mie cosce sott’acqua, mi chiedo Ma perché?
“Ti sei perso Baricco.” – ti disse Travaglio, e io è una vita che lo sto perdendo. Ho avuto bisogno di leggere Il caviale e i fichi di Donatello Santarone per capire che non mi è mai mancato. Sento che dovrei iniziare a leggerlo per affrontare il fatto con maggior consapevolezza. Eventualmente, ti dirò.
“Verrà il tempo, e non è lontano, in cui anche il…” – No! Mi oppongo, Vostro onore! E chi mi porterà a vedere i caruggi, e chi mi presenterà alle Graziose? Senza il tuo aiuto non mi sarà possibile dimenticare le loro inclìte ghigne.
Per ultimo ti riporto quel che scrisse Pier Bruno Cosso, al termine della sua critica a Il calendario degli animali di Alberto Cocco: “Un libro dovrebbe fare così: parlare agli occhi che scorrono sulle righe, e far sognare sulle ali della fantasia. Sono metafore, sono chimere, sono sogni, sono scatole che aprono la mente. Non vi disturbate a capire, cercate di sentire, e allora il libro avrà un senso compiuto.” – nonché uno ancora da compiere, quando verrà il suo tempo.
Uno scrittore agisce, il lettore reagisce. Questo è il senso dello scrivere, sempre in avanti, entropicamente, come avviene nel cosmo. Ci si allontana, ego da ego, così pare, ma è forse soltanto un’illusione. Si è invece, probabilmente, stabilita una correlazione, un entanglement.
È come quando si collega un cavo elettrico da una batteria all’altra, riattivando un’auto che pareva morta, senza che si spenga chi ha donato parte della sua vita all’altra.
Come scriveva Borges, o come ho immaginato io che abbia scritto: ogni lettore continua a scrivere il libro che ha appena letto e, parafrasando il mio Arthur, finché c’è l’Autre… il y a de l’espoir!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Massimo Fini, Cieco, Marsilio Editore, 2023