“Buddha10 – Frammenti, derive e rifrazioni dell’immaginario visivo buddhista”: mostra al Museo d’Arte Orientale di Torino sino al 3 settembre 2023
A Torino, in via San Domenico 11, ha sede il MAO, Museo d’Arte Orientale, che affianca il Museo Egizio e il Museo Civico d’Arte Antica nella forte vocazione della capitale sabauda alla scoperta e allo studio delle culture del passato.
La sua preziosa raccolta di opere dal 2008 è ospitata nel settecentesco Palazzo Mazzonis, già Solaro della Chiusa, più volte rimaneggiato negli anni e sopravvissuto miracolosamente a una bomba da 500 libre che, il 13 luglio del 1943, si schiantò senza esplodere su uno dei suoi terrazzini.
All’inizio della stretta e suggestiva via San Domenico, si trova la chiesa gotico medioevale dedicata appunto a San Domenico, eretta nel tredicesimo secolo e per un lungo periodo sede dell’Inquisizione.
La collezione permanente del MAO annovera più di duemila opere divise in cinque sezioni: Asia meridionale e sud-est asiatico, Cina, Giappone, area himalayana, area islamica. A queste preziose raccolte si affiancano eventi e mostre temporanee sempre di grande interesse.
Dal 20 ottobre 2022 al 3 settembre 2023 è ospitato il progetto “Buddha10 – Frammenti, derive e rifrazioni dell’immaginario visivo buddhista”, curato da Laura Vigo e Davide Quadrio.
Si tratta di un’esposizione particolare, destinata ad evolvere dinamicamente nel periodo, che presenta pezzi provenienti dal MAO stesso, dal Museo delle Civiltà di Roma e dal Museo d’Arte Orientale Chiossone di Genova. Studi approfonditi su alcune delle opere sono in corso presso il Centro per la conservazione e il restauro dei beni culturali La Venaria Reale.
Molte sono le chiavi di lettura del progetto; l’intenzione è porre al visitatore domande e non di restituire risposte preconfezionate, pur fornendo i dati sempre più precisi che si possono ottenere dai moderni metodi di studio e di analisi.
A essere messi in discussione, in molti aspetti, sono i concetti stessi di opera e di museo.
Buddha10 va letto non Buddha dieci quanto Buddha alla decima, un tentativo di andare oltre le dimensioni e i limiti di un pensiero univoco, dogmatico, radicatosi nel passato, non sempre capace di cogliere i valori che le opere avevano e ancora hanno nella cultura e nella filosofia orientale, e di inserirle nel corretto momento storico.
Il Buddhismo è una antica religione, seguita attualmente da circa mezzo miliardo di fedeli. Il suo fondatore, Siddhārtha Gautama, il primo Buddha, avrebbe avuto la sua illuminazione dopo settimane di meditazione nel 530 a.C., anche se le datazioni sono molto incerte.
Dall’India, il Buddhismo si diffonde nei paesi confinanti e, spesso, si modifica entrando in contatto con le credenze preesistenti. Dalla Cina passa in Vietnam e in Giappone, dove prende piede la scuola Zen, mentre è diverso il percorso che avviene nel Tibet.
Solo nel secondo secolo d.C. il Buddhismo, che in precedenza era sempre stato una religione fondamentalmente aniconica, comincia a rappresentare il suo fondatore in statue e bassorilievi. Le prime immagini da Mathura in India e Gandhara in Pakistan diventano il modello usato in Cina e in tutta l’Asia orientale. Nasce così un’arte estremamente simbolica, dove le posizioni del corpo, delle mani, le espressioni del volto del Buddha, sono rigorosamente codificate.
In Europa le prime conoscenze del Buddhismo arrivano con le conquiste di Alessandro Magno, ma si tratta di contatti che non lasciano tracce profonde.
Con la colonizzazione dell’India e le due guerre dell’oppio, che videro la Cina sconfitta dalle potenze occidentali alleate con Russia e Giappone, i mercanti d’arte conoscono e depredano i capolavori dell’arte buddhista, cancellando per sempre luoghi di bellezza e valore storico unici e irripetibili. Le statue spesso vengono sradicate, smontate e i loro pezzi vengono dispersi tra collezioni e museo sparsi per il mondo.
Attualmente alcuni studi, come il Tianlongshan Caves Project dell’Università di Chicago, cercano di ritrovare i frammenti depredati provenienti da siti famosi, per una ricostruzione almeno virtuale. Le 21 grotte di Tianlongshan, la montagna del Drago celeste, nella provincia cinese di Shanxi, accoglievano templi buddhisti costruiti nel corso dei secoli. Pur conservando ancora migliaia di statue e sculture in rilievo, hanno visto sottrarre, intorno al 1920, moltissime delle opere più caratteristiche e preziose, così i visitatori non posso oggi avere che un’idea molto vaga dello splendore del passato.
L’avida devastazione e lo smembramento delle statue del Buddha sono una violenza che offende i fedeli in modo profondo, perché il messaggio di ogni rappresentazione sacra è sempre legato al corpo nella sua completezza, dalle mani come dalla posizione dei piedi, dalla bocca come dal copricapo.
Statue e sculture, da soggetti vivi, devotamente conservati alla luce di fuochi votivi dove venivano bruciati spezie profumate e incensi, venerati da devoti che davanti a loro pregano e meditano, diventano morti reperti da museo, oggetti ammirati solo per la loro bellezza artistica e il loro valore storico, esposti in teche di vetro allo sguardo di visitatori paganti, animati dal gusto per il mistero e l’esotismo.
I Buddha sono stati privati della loro anima e della loro sacralità.
Soprattutto in Cina, la richiesta di opere di arte orientale ha provocato in parallelo alle razzie, una grande produzione di statue per lo più lignee, spesso di grande bellezza ma senza valore storico, con cui sono stati riforniti e spesso ingannati gli avidi collezionisti, che non erano in grado di distinguere le nuove opere dagli originali antichi. Questi Buddha a centinaia hanno riempito i musei e le gallerie d’arte; spesso i falsi presentano fratture e ferite inferte apposta per suggerire le vicissitudini del tempo.
Solo da pochi anni si è in grado di valutare la reale età dei reperti, di svelarne le tecniche di realizzazione, di ricostruirne il passato individuando i pigmenti con cui era state dipinte e le prove di eventuali riparazioni.
Le analisi permettono affascinanti viaggi all’interno delle opere. Per una scultura lignea è possibile riconoscere il tipo di legno usato e da esso ipotizzare la zona di provenienza, scoprire come il corpo e la testa siano un blocco unico a cui tramite chiodi sono state attaccate le dita delle mani, come altri chiodi e tasselli abbiano rinforzato il legno nei punti in cui cedeva, come tinture diverse e raffinate abbiano originariamente colorato i vestiti, come parti deteriorate siano state sostituite, come l’argilla abbia reso più mosse le acconciature.
La mostra Buddha10 ospita inoltre opere di artisti contemporanei che offrono la loro interpretazione della spiritualità buddhista nel nostro tempo con musiche, fotografie, installazioni multimediali, interviste e dibattiti.
Written by Marco Salvario
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