“L’età della resa” di Christian Olcese: la colpa del corpo tra Libertà e punizione
Christian Olcese (Genova, 1995) sceneggiatore, regista e scrittore, impegnato tra cinema e poesia, ha esordito nel 2019 con Venticinque (prefazione di Sara Ciampi). Nel 2020, grazie a un concorso Dantebus, inaugura la collana poetica Isole.
Vincitore di numerosi premi cinematografici per il cortometraggio Lettera a Faber, come la menzione d’onore al festival Paris Film Awards, premio miglior cortometraggio al festival di cinema italiano Milan Gold Awards, tra i primi venti semifinalisti al festival internazionale Lonely Wolf International Film Festival in Usa. Il suo impegno nel sociale, rivolto specialmente alla sensibilizzazione del mondo studentesco, lo ha visto protagonista col corto Il volto nascosto del Cyberbullismo.
A luglio di quest’anno Olcese approda alla sua seconda pubblicazione, L’età della resa, edita da Fermenti nella collana Minima Verba (Nuova Serie) dove le sue poesie sono accompagnate da fotografie in bianco e nero di Edoardo Nervi.
Con un linguaggio che, già dalla premessa dell’Autore, è dichiaratamente simbolico e allegorico, si manifesta la volontà di creare immagini capaci di sorprendere, lasciare anche interdetto il lettore, mai indifferente. La ricerca poetica, indirizzata a scandagliare la realtà, invero la fotografa in pochi, definiti e, parrebbe, definitivi tratti essenziali. Senza appello.
La Resa, Vuoto, La Ballata dell’Ignavo, La Sospensione del Reo, La Pena, La Fedeltà del Vento, La colpa del Corpo, Il Chiarore del Buio (Anima), Abbaglio abbuiato, Alba di Resa: questi i 10 componimenti della plaquette, tradotta in arabo dal docente e traduttore Reddad Cherrati.
L’umana impotenza è destino, è realtà preesistente alla nascita del singolo e sua connaturale è la Resa.
“Quando l’uomo scopre di non poter raggiungere la libertà, bistrattata e agognata libertà, cerca invano di salvarsi dal giudizio dell’umanità, cerca invano di salvarsi dalla schiavitù della Resa
…
L’uomo è impotenza, non appena nasce, e per tutta la vita cerca d’esser libero, senza riuscire a fuggire alla Resa.”
L’Autore fa parlare un Io che non è solo il singolo, ma che è capace di dare coralità al proprio canto stonato, che poi è anche d’altri, dei “fratelli scevri di volti”, quelli di tutti i poeti dagli “usurpati versi di gnosi,/ ormai sepolti”.
Smarrirsi, perdersi, accecarsi, sospensione sul vuoto: è la vita. Il vuoto avvolge anche chi s’illude, stoltamente, “di non esser schiavo”.
Il tono pessimistico indulge alla rappresentazione sofferta e l’Io lirico stesso è intriso e portavoce di umana sofferenza. Tutto ciò che la Voce, in un avvoltolarsi di parole, tra rime e assonanze, cerca di esprimere, infine muore soffocato da uno stringente Vuoto. La costrittiva chiusura, che annienta spazi di libertà e ampiezza d’immaginazione, si riflette nella chiusura quasi ermetica del dire. I versi finiscono per incatenare al loro interno significati altri, in sintesi di pensiero ellittiche del percorso, stridendo volutamente con l’anelito alla libertà di volo del discorso, del pensiero, dell’esistenza.
Nel leggere si può avvertire il disagio di un percorso di comprensione spesso frustrato e frustrante: siamo dinanzi a un cammino metaforico che si snoda in tappe comprese tra nascita e morte e da cui non si esce mai assolti. Il Vento assurge a presenza autonoma, costitutiva, governativa, che sia scirocco, ostro o fortunale, in ballo c’è la vita (e la morte), il soffio-vita-respiro che entra nella carne e ne esce per abbandonarla, il soffio vitale, il Ruah biblico, che è anche una Vita oltre.
Soffio umano e Soffio divino.
Il Vento e il Corpo sono i due estremi protagonisti di un discorso metaforico, fisico e metafisico.
La condotta organica verrà punita: il corpo viene fatto letteralmente a brandelli, massacrato fin dal principio da un Tribunale che ne sancisce la colpa e lo condanna: “sii onesto, corpo, e ammetti il tuo reato”.
Cosa cerca la Voce poetica della silloge? La Libertà o liberazione dai lacci che mettono in scacco e umiliano ogni velleità? Alba e tramonto, alla fine, si confondono e pure vago resta il senso dell’attesa.
“Questa è un’opera poetica senza inizio e senza fine, questa è un’opera poetica dal sapore agrodolce di realtà”, proprio come ci avverte l’Autore.
Written by Katia Debora Melis