“L’Arminuta” film di Giuseppe Bonito: la dissonanza con il clan di appartenenza
Il film “L’Arminuta” (termine dialettale che equivale a “la Ritornata”) è uscito nell’ottobre del 2021, con un record d’incassi di 572.000 euro.

Diretto da Giuseppe Bonito, è la trasposizione cinematografica del romanzo di Donatella Di Pietrantonio, vincitore del Premio Campiello 2017 e del Premio Napoli.
Incoronato altresì al David di Donatello, ha ricevuto quattro candidature ai Nastri d’ Argento.
Protagonista nel ruolo dell’Arminuta Sofia Fiore; una bravissima Carlotta De Angelis nel ruolo di Adriana e una non meno convincente Vanessa Scalera nella parte della madre.
Il film, come il libro, narra le vicende di una tredicenne che improvvisamente viene allontanata dalla famiglia dov’è cresciuta e che ha creduto essere la sua per essere “restituita” alla popolosa famiglia biologica, passando da un contesto signorile a uno sotto-proletario.
Dovrà adeguarsi con difficoltà alla nuova realtà, ma il disagio contestuale iniziale cederà il posto a una precoce rivalutazione di valori, che passerà precipuamente per il rapporto con la sorella minore
“Ci siamo fermate l’una di fronte all’altra, così sole e vicine, io immersa fino al petto e lei al collo. Mia sorella. Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccato alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza. Ora ci somigliamo meno nei tratti, ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere gettate nel mondo. Nella complicità ci siamo salvate.”
Se è vero che il libro si presta molto bene alla sceneggiatura per la struttura narrativa “a fotogrammi” col quale è imbastito, che quasi trasporta nelle scene, esso lascia altresì dei varchi, o almeno io ho creduto di coglierli, per un eventuale seguito.
Il film tralascia alcune crudezze e particolari (vuoi per scelta registica, vuoi per ragioni di spazio), come nella descrizione degli approcci incestuosi tra l’Arminuta e il fratello maggiore Vincenzo (“Quando ha spinto le dita sul pube, gli ho stretto il polso con la mano. Si è bloccato, ma sembrava per poco, e nemmeno io sapevo quanto sarebbe durata la mia resistenza”), o nella descrizione invero più macabra nel romanzo della morte di questi: in effetti, il libro descrive il volo da un motorino a seguito della fuga susseguente ad un furto, i cui proventi, assieme a quelli di altri illeciti commessi dal ragazzo e di cui la scaltra Adriana è a conoscenza, fanno sì che “Vincenzo il funerale se l’è pagato da solo”.

Nel film si è scelto altresì di sottolineare somaticamente la dissonanza della protagonista col resto del clan: dai delicati colori quasi irlandesi lei, scuri di anonimato e di precarietà d’igiene gli altri. “Guarda che acqua nera – ha riso Adriana – sono stati i miei piedi, i tuoi già stavano puliti.”
Una nota sulla madre: Vanessa Scalera (Imma Tataranni) riesce a dare una resa più umana, quasi di compassionevole rassegnazione, sottolineandola con le espressioni facciali, laddove nel libro si respirava una palpabile ostilità e quasi aggressività genitoriale.
“«Questa i pollastri li ha visti solo cotti» – l’ho sentita che borbottava tra i denti.”
Il dialetto è molto più sottolineato nella versione cinematografica, la cui visione attenta consiglio senza riserve.
Written by Barbara Orlacchio