“Sole della coscienza” di Édouard Glissant: Poetica I – uno scambio energetico alla pari
Sole della coscienza è una raccolta di saggi, di brevi testi poetici, di poesia pura, di prosa pura, di prosa poetica o di poesia prosastica?

Domande che paiono banali se paragonate alla seguente: è una raccolta?
Fa’ conto di recarti in un luogo, per esempio Mirandola, partendo da Reggio Emilia. Davanti a te hai varie possibilità. Una è tirare dritto finché non sei arrivato, oppure sostare in ogni singolo paese (a Bagnolo in Piano col suo torrazzo, a Novellara con la sua rocca, a Reggiolo col suo castello diroccato, eccetera). Giungi (non inevitabilmente, perché ti si può forare una ruota e decidi di rincasare, incavolato e, se è luglio, anche accaldato) a destinazione e fai quello che devi fare, per esempio girare le bancarelle del mercatino, che viene organizzato la seconda settimana di ogni mese. A quali di esse presterai maggiore attenzione? Ovviamente a quelle che… Torno ora alla silloge. Alla…?
Cos’è la poesia? Una raccolta? Di cosa? Cosa non è una poesia? Una dispersione di… energia?
“Ecco che il bagliore stesso della vita si volge verso di sé e si rischiara a lungo: la Misura appartiene alla conoscenza.” – misuro, conosco. Rapporto il valore dell’Altro col mio: uno scambio di informazioni, una collusione. Bohr dice che una particella esiste solo allorché la si misura. Durante quell’atto, esisto anch’io, perché anch’essa misura me, conoscendomi, mutandomi. Si coesiste tutti in una reciproca inter-azione,
Cos’è la poesia di Édouard Glissant? Esotica? Un po’. Erotica? Non troppo. Eretica? Forse. Emetica? Quando serve. Ermetica? No: lascia sempre (socchiuso) uno spiraglio, una fessura in cui si incunea la particella, che attraversa la più densa delle schermature e giunge Colà. Glissant è scorrevole. Pluf!
“Questo è per me la neve: un’illuminazione” – nel senso di cui sopra: “un’apertura”, “l’allargamento, la comunicazione stabilita”. Sto pensando all’infante siculo che in Cuore scopre la neve e l’infila in bocca, cibandosi di essa. Il mettere in bocca è l’atto con cui il bambino assaggia l’esistente. Il gusto, insieme all’odorato, è il senso più atavico che abbiamo. Una cosa bisogna penetrarla per capirla, e farsi penetrare da essa. Poi si rimarrà per sempre entangled, correlati.
“Il mio tempo non è una successione di speranze di stagione, ma è fatto di zampilli e radure tra gli alberi.” – la materia è continua, è discontinua, è non si sa. La luce viaggia a quasi trecentomila chilometri al secondo (nel vuoto), in misura costante e insuperabile, come stabilirono i fisici alla fine del secolo diciannovesimo, spianando la strada a infinite altre teorie.
Eppure pare che il vuoto non esista, essendo gonfio d’energia, grazie a particelle virtuali che non ce la fanno a (o non intendono) esistere, ma è il loro contributo energetico che permette a quelle reali di apparire (e di scomparire), restituendo quanto ricevuto. E = mc2.
“Questo significa che la ricerca del vento libero (l’apprendistato della terra) è caos e dismisura, paesaggio forsennato, foresta senza una radura organizzata; ma che è nella Misura (arature, semine, raccolti) che si trova la libertà”: di esistere per quell’attimo che un istante dopo sfuma nel (quasi) nulla, nel mondo virtuale. Così è la scrittura di Glissant: appare, scompare, ricompare, per poi dileguarsi per un’eternità che dura un attimo. A thing of beauty is a joy for ever, essendo tutto relativo.
“Perché una poesia è un frangiflutti. È lambita dalle terre, e poi, una poesia non si lascia dirigere e depredare così, per volontà o per ingiunzione a esistere.” – non si lascia, né tu ti devi lasciare coinvolgere. Il coinvolgimento accade da solo, senza le reciproche, assurde e antagonistiche libertà.
“L’Europa non ha già vissuto a sazietà questo splendore sovrano che l’ha relegata ad altri cieli?” – la verità, fratello scuro, è che l’Europa non esiste, è un’illusione creata dai non europei, che anch’essi non esistono, formulati come mere ipotesi in cui si può confidare o evitare di credere.
“… la riuscita artistica non è che un continuo avvicinarsi.” – e un perenne dissolversi. Esiste un momento in cui l’artista non può che rinnegare la propria arte, se non ne vuole rimanere schiavo. La deve distruggere, pubblicare, calpestare, ignorare; deve liberarsene.
“Ma il viaggio ha senso solo nella misura in cui il viaggiatore sa ciò che lascia e ciò che trova.” – che crede (verbo odioso ma necessario) di aver lasciato, di aver trovato. Se tutto è vanità, perché non rimettersi a quell’immensità?
“La verità che tuttavia sgomenta è che la poesia, la conoscenza, l’arte sono presenti. Fanno maturare questo universo, crescono attraverso questa solitudine moltiplicata.” – panta rei, tutto glissa, appare, s’inabissa, per riemergere con mutata (ma non troppo) forma. Poesia è apparizione, trasformazione, processo, non è oggetto, né soggetto. È il (quasi) nulla che si agita, perché ha fame.
“Oggi, il carattere generale dell’arte occidentale, ciò che è condiviso dagli artisti, è l’assenza di comunità…” – oggi? È sempre stato un miracolo assistere alla condivisione di quel che manca. L’immaginare un mondo altro, in cui non si esiste è una delle illusioni più sfruttate dalla coscienza umana, sempre alla ricerca di miti inesistenti. E se si fosse tutti in una vasca in cui…?
“… l’esuberanza e l’infantilismo dei negri è nel profondo questa possibilità del senso collettivo, che indirizza l’individuo verso le fonti più accessibili e chiare di partecipazione (risate, canti, danze).” – e poi ci si meraviglia che i giovani (bianchi e negri) amano la musica (bianca e negra). Anch’essa è un’illusione, così luminosa e sferzante!
“… la possibilità di inneità talmente inesistente” – (ringraziando l’autore): dal francese innéité, l’essere innato. Non sappiamo nemmeno se siamo realmente nati, ma se non lo fossimo saremmo innati. Se non è illusione questa!
Scrive, altrove, l’autore: “La poesia offre al lettore uno spazio che soddisfa il suo desiderio di muoversi, di uscire da sé stesso, di viaggiare in una terra nuova, dove non si sentirà straniero”.
Ieri, a Mirandola, mi sentivo a casa mia. Ma che fine ha fatto quel viaggiatore, ora che è ritornato? Alcuni fisici affermano che il tempo non esiste e che lo spazio stesso è un grumo che si agita in un ciclo continuo che saltella da qui a lì e poi da lì a qui. Il poeta è colui che, è quello. E colui che legge il poeta? È quello che saltella da là a qua e poi da qua a là. E colui che poi reagisce scrivendone? Non so, chiedimelo più tardi, se vuoi. Ora proprio non mi va.
Devo ancora cogliere altri Bagliori del pensiero di Glissant nella brillante postfazione di Giuseppe Sofo.
Il Sole della coscienza è un saggio (poetico?, filosofico?, andiamo oltre…) scritto dall’autore quando non era ancora trentenne. È “un diario di viaggio”, in cui si annota l’essenziale, perché poi lo si ricordi per la vita. La meta è l’energetica Parigi, che diventa il nuovo punto di partenza, per poter tornare a casa (come capitò a me, ieri mattina), avendo opportunamente riempito il serbatoio del veicolo. Diversamente puoi anche guidare una Ferrari, ma non ti schiodi dal luogo dove l’hai parcheggiata. La scrittura è una preghiera che funge da filtro dell’olio: départ dans l’affection et le bruit neufs!

Scrive Sofo: “… Glissant parlava inoltre di queste poesie come ‘bagliori’ che vivono delle loro imperfezioni, del loro eterno trasformarsi, per fissarsi nella loro incertezza e nella loro dispersione” – distinguendo poi tra “opera romanzesca” e “poesia”: nella prima “Glissant lavora solitamente per accumulazione”; nella seconda “la tendenza è invece opposta, a togliere” – è anche questa una forma di illusione? Nulla si crea, nulla si distrugge: si limita a cambiare residenza. Per cui: “Nel rispetto del continuo movimento del testo, ogni edizione deve attestare un movimento dell’opera.” – dopo di cui Sofo indica vari refusi e variazioni (mutazioni genetiche) che segnano il passaggio delle varie edizioni e traduzioni, compresa la presente.
L’ultima considerazione di Sofo: “Tradurre Glissant significa situarsi sulla soglia di un paradosso, quello tra ‘trasparenza’ e ‘opacità’…” – essendo ogni traduzione una nuova scrittura che deve riprodurre un fenomeno che è Altrove e che non si riesce mai a trasferire in modo identico, ma in toto, come identità energetica. Non serve che ogni termine, con o senza maiuscola (“conscience” o “Conscience”? Questo è il finto problema) sia rispettato come un dio intangibile: esso deve sparire e riformarsi, mantenendo la medesima quantità d’energia, nel rispetto del primo principio della termodinamica.
Ho letto un’opera di Glissant o di Sofo? D’entrambi, penso e credo.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Édouard Glissant, Sole della coscienza, Meltemi Editore, 2022