“Arianna” di Jennifer Saint: due risposte diverse al femminino
Un re virtuoso, una splendida regina, due deliziose principesse. E un eroe che uccide il mostro.

Sembra la più classica delle fiabe, sembra scontato il lieto fine. Il mito, come la fiaba, affonda le radici nel campo semantico della parola ma non ha lieto fine.
Dèi ed eroi sono lo specchio della natura umana, anche negli aspetti più vili. Arianna (Sonzogno, 2022, pp. 362, trad. di Ginevra Lamberti) è un romanzo palpitante di emozioni in cui Jennifer Saint riscrive un mito che presenta tutti gli ingredienti di una fiaba, ridotta però a pallida eco. Arianna e Fedra, le voci narranti, sono due donne impigliate in una ragnatela di strategie e inganni ordita dagli uomini.
Arianna e Fedra sono le figlie di Minosse, re di Creta, e di Pasifae, nata da Elios. Esse crescono ascoltando risuonare il rumore degli zoccoli del Minotauro, rinchiuso nel labirinto costruito nei sotterranei del palazzo. Ogni anno quattordici giovani ateniesi vengono sacrificati per placare la fame del mostro.
Quando il principe Teseo arriva a Creta per immolarsi, Arianna se ne innamora. È lacerata dal dubbio: vuole salvarlo ma sa che questo gesto significherebbe tradire il padre. Sceglie il coraggio e aiuta il giovane a uscire dal labirinto. Questa decisione segnerà il destino di entrambe le sorelle. Abbandonata a Nasso da Teseo, Arianna incontrerà Dioniso, mentre Fedra siederà sul trono di Atene e vivrà un amore tormentato. Le due donne si ritroveranno per poi perdersi ancora.
Una madre e una figlia danzano insieme; nell’aggraziato furore le loro energie si fondono ed esse diventano un atomo indivisibile in grado di respingere ogni paura. Ma Arianna rimarrà a danzare da sola. Danzerà sempre più forte, sempre più vorticosamente. Per attutire, con il ritmo martellante dei suoi passi, il mormorio delle malelingue che le risuonano in testa. Per soffocare il rumore degli zoccoli e il muggito del Minotauro. Per dimenticare.
Asterio, la “stella”, non va a illuminare il cielo notturno di Creta, anzi lo sprofonda in un buio più fitto. La nascita della creatura reca in sé un germe di morte; prima dei figli di Atene sono straziate la divina luminosità di Pasifae e l’infanzia di Fedra.
Arianna non è certo immune alla viscosa aria di terrore ma in lei una lieve pietas apre uno squarcio tra le brume della repulsione. Quel parto mostruoso è pur sempre suo fratello, Asterio, prima che il Minotauro.
Ma se la pietas è una fiammella, l’amore per Teseo è un incendio. E la giovane, arsa dal gelido verde di quegli occhi, offre la “bestia” al macello e tradisce il suo stesso sangue, rinnovando il peccato di Scilla, quasi figura di Arianna. Per amore di Minosse, la figlia di Niso tradì il padre e da Minosse fu condannata per il crimine commesso. Arianna sa che quella su cui si è inoltrata è la strada del non ritorno. Ma di quell’incendio resta solo cenere. Sposa ribelle ed esiliata, ella si sente abbandonata dagli uomini e dagli dèi. Dioniso, l’immortale innamorato dei mortali, la strappa alla morte. E due volte le restituisce la vita; ne nutre il corpo con grappoli prodigiosi e, con cura paziente, rigenera nell’anima inaridita della sventurata la fede perduta. La rende moglie e madre, regina dell’isola e stella del cielo.
Creta è polverosa e rocciosa, un locus horridus funestato dalla presenza del Minotauro e dalla tirannia di Minosse. Nasso è un locus amoenus pervaso dallo spirito gaudente di Dioniso.

Il filo che Arianna offre a Teseo è robusto; metaforico ma altrettanto robusto è il filo che la lega a Fedra. Sempre affamate di notizie sulle rispettive sorti, le sorelle non si sono mai dimenticate. La tela di bugie di cui è intessuta buona parte del romanzo viene lacerata e quella verità che Fedra ha cercato ostinatamente si fa chiara. E la riporta da Arianna, mai veramente pianta, mai veramente immaginata nelle fredde sale di Ade. Fedra sente, sa che Arianna non è morta come vuole far credere Teseo. Con astuzia femminile da vera stratega, ordisce un disegno che svela implacabilmente gli inganni del marito.
Teseo è narcisista e manipolatore o volgare bugiardo vanesio? Egli è alla ricerca di una fama imperitura ed è il principale biografo di sé stesso. Ma non è un biografo onesto; nel costruire il proprio mito, è attento a limare con le menzogne tutte le asperità che possano incrinarne la perfezione.
Arianna e Fedra si sono lasciate poco più che bambine e si ritrovano donne. Due donne partite dallo stesso luogo e approdate a mete vicine nello spazio ma assai lontane nel modus vivendi.
Da piccola, Fedra sognava un matrimonio che la portasse via da Creta, in un lussuoso palazzo di marmo. Ma Fedra, tu vivi già in un lussuoso palazzo! Cosa cerchi? Fedra vuole vivere in una reggia nel cui sotterraneo siano custodite riserve di grano, non un mostro affamato di carne umana. Vuole vivere in una città in cui possa camminare a testa alta, senza vergognarsi per le maldicenze attirate sulla famiglia da Pasifae. Piena di fuoco, la piccola Fedra non esita a fornire la clava a Teseo.
Se Arianna vacilla per un attimo, Fedra non ha smarrimenti. L’unico smarrimento lo conosce quando comprende di essere rimasta da sola a Creta. Il dolore per la perdita di Arianna è quello che morde di più. Fedra aveva desiderato tanto Teseo e sarà proprio lei la sua sposa; eppure darebbe volentieri uno dei momenti con lui in cambio di una sola conversazione con la sorella. Ad Atene la compagnia di Fedra è la solitudine.
Il vuoto di Arianna riempie ogni aspetto della sua vita. Potrebbe danzare. Ma a danzare è sempre stata Arianna. Potrebbe tessere. Ma erano solite tessere insieme; farlo da sola sarebbe straziante. E allora non le resta che sorridere, uno dei doveri della regina. Ma quel sorriso è solo una maschera. Per lunghi anni Fedra accusa un profondo senso di colpa: per essere sopravvissuta, per aver sposato Teseo, per aver indossato il ruolo che spettava ad Arianna. Con la verità il senso di colpa svanisce e Fedra può sorridere anche nel cuore. Ippolito le porta un’esplosione di speranza. Egli incarna un modello maschile atipico rispetto a quelli da lei conosciuti; è un mondo inesplorato in cui la gentilezza ha più forza della brutalità.
Arianna e Fedra sono due risposte diverse al femminino. Arianna è la Grande Madre prolifica che nutre i figli dal suo seno. Fedra è un utero in cui si formano esseri umani, estranei che abitano nel suo corpo.
Arianna realizza la propria libertà grazie all’immersione panica nel rigoglio di Nasso. Apprende un sapere antico, legato al ciclo delle stagioni, l’arte di fecondare la terra e trasformarne i frutti. Incarna il modello della donna secondo la concezione patriarcale che la vuole laboriosa e dedita alla famiglia. Per contro Fedra è “politica”. È l’abitatrice della πόλις, il πολιτικόν ζῷον che vive nella società. Ma è anche politica in quanto βασίλεια; è lei che detiene il potere, siede in Consiglio e decide. Perché il re, Teseo, è sempre altrove.
Così diverse, Arianna e Fedra condividono l’amara consapevolezza che la loro vita è fondata sull’illusione. La prima vede la purezza dell’idillio corrompersi irrimediabilmente. Dioniso, il dio che si sentiva uomo, avvelenato dal dolore per l’umana caducità, diventa ciò che ha sempre ripudiato: un olimpio. Fedra, accecata come una falena dalla luce emanata da Teseo, scopre che quella luce è solo fumo. Il casto Ippolito le appare come una promessa di gioie future. Ultima, fatale illusione. Non è l’amore che ella ha sempre desiderato. La fuga. La fuga è sempre stata il desiderio inconscio di Fedra.

Quello tra Arianna, Teseo e Fedra non è un triangolo amoroso ma un chiasmo. Teseo è il punto di incontro e inversione di due membri antitetici. Dedalo aveva regalato ad Arianna un ciondolo raffigurante due api intrecciate intorno a un favo. Aureo presagio. Quel favo non è forse Teseo? Le due api non sono forse le due sorelle?
Arianna è un romanzo che celebra la sorellanza, non solo come legame di sangue ma come condivisione di un’alterità dolorosa e forte rispetto al prepotente mondo maschile. Dolore e forza sono le due eliche del DNA femminile. Fin da piccola Arianna apprende che, per quanto le donne possano condurre una vita irreprensibile, esse saranno sempre vittime delle passioni degli uomini.
“Pasifae, Semele, Medusa. E ora un centinaio di madri dolenti. Il prezzo che pagavamo per il risentimento, la brama di piacere e la cupidigia di uomini arroganti era il nostro dolore, scintillante come la lama appena affilata di un coltello.”
Maschi sono i protagonisti dei canti degli aedi ma tra le pieghe di quei versi, da cui le donne sono escluse, pulsa la loro sofferenza. Proprio da quelle escluse promana una forza viscerale che schiaccia la forza bruta degli uomini e assume la dimensione di un’epopea. E solo la κοινή femminile possiede quella forza speciale capace di combattere una battaglia preclusa a qualsiasi esercito maschile: quella che si consuma ogni volta che, dal grembo di una donna, una nuova luce va ad accendersi nell’universo.
Written by Tiziana Topa