Uomini contro il Femminicidio #14: le parole che cambiano il mondo con Francesco Gallina
Le parole cambiano il mondo. Attraversano spazio e tempo, sedimentandosi e divenendo cemento sterile o campo arato e fertile.
Per dare loro il massimo della potenza espressiva e comunicativa, ho scelto di contattare, per una serie di interviste, vari Uomini che si sono distinti nella lotta contro la discriminazione e la violenza di genere e nella promozione della parità fra i sessi.
Ho chiesto loro, semplicemente, di commentare poche parole, che qui seguono, nel modo in cui, liberamente, ritenevano opportuno farlo. Non sono intervenuta chiedendo ulteriori specificazioni né offrendo un canovaccio.
Alcuni hanno scritto molto, raccontando e raccontandosi; altri sono stati sintetici e precisi; altri hanno cavalcato la pagina con piglio narrativo, creando un discorso senza soluzione di continuità.
Non tutti hanno espresso opinioni univoche, contribuendo, così, in modo personale alla “ricerca sul campo”, ma tutti si sono dimostrati concordi nell’esigenza di un’educazione sentimentale e di una presa di coscienza in merito a un fenomeno orribile contro le donne, che necessita di un impegno collettivo.
Oggi è il turno, per Uomini contro il Femminicidio, di Francesco Gallina, scrittore, recensore e speaker radiofonico; ha iniziato scrivendo per la fanzine di Torino “Metal Fortress”, poi diventata «Inferno Rock», la prima rivista italiana dedicata all’heavy metal regolarmente diffusa in edicola. Dal 2005 collabora con la metal webzine “metallized.it”. Nel 2019 è uscito il suo volume “Donne Rocciose – 50 ritratti di femmine rock”. Il rock è un ambiente, addirittura machista.
Donne Rocciose è qui per fare giustizia. Ogni capitolo tratteggia prima una breve biografia dell’artista, per poi trarre conclusioni sulla sua importanza come musicista e sui suoi tratti caratteriali. Le 50 artiste scelte – dalle grandi sacerdotesse del passato alle nuove ribelli contemporanee – sono state raggruppate seguendo una linea temporale che parte dagli anni Sessanta e giunge fino ai nostri giorni. Da Janis Joplin e Joan Baez a Floor Jansen e Simone Simons passando per Doro Pesch e Cristina Scabbia, un affresco che partendo dal folk arriva al metal per raccontare donne fuori dagli stereotipi di genere.
Femmina
Trovo che molto spesso il termine “femmina” sia usato senza attribuirgli il giusto valore, la giusta sacralità. Io l’ho scelto con forza per essere inserito nel sottotitolo del mio primo libro, che parla appunto e con fierezza di “femmine rock”. Femmina è la vita, la musica, l’arte in tutte le sue forme espressive. Femmina è il principio vitale del mondo e la carica sessuale che porta con sé. Un dato di fatto che viene troppo spesso svilito in maniera da un lato tipicamente maschile/ maschilista e dall’altro da una non raggiunta coscienza di sé da parte di troppe donne ancora. La femmina, dalla notte dei tempi (il Femminino Sacro), è sempre stata rappresentazione di potere creativo e fonte della stessa esistenza del tutto. “Femmina” è un vocabolo da onorare e usare con fierezza nella sua essenza. Evitando di mascolinizzarsi per trovare un ruolo, interpretando la femminilità come valore aggiunto.
Femminismo
Anche questo è un aspetto che ho badato a mettere in evidenza durante la stesura di “Donne Rocciose”, riprendendolo pure in Dipinto Sull’Acciaio parlando di Artemisia Gentileschi e Elisabetta Sirani. La rivendicazione della parità di genere e le modalità con cui questa battaglia è stata portata avanti nel corso dei decenni (nel mio caso nel mondo del rock), serve infatti non solo a parlare della condizione della donna nella nostra società e dell’evoluzione nella presa di coscienza dei propri diritti e peculiarità, ma parla anche – se non di più – di come la parte maschile dell’umanità abbia ancora molta strada da fare in fatto di auto analisi e accettazione di certi argomenti. In ultimo, però, la parola “femminismo” ha un retrogusto fortemente amaro. Il semplice fatto che se ne deva parlare, infatti, indica come non sia mai stato davvero affrontato e risolto quel corto circuito culturale nei rapporti uomo/ donna, nato grosso modo con l’avvento della società stanziale. Nonostante siano passati migliaia di anni.
Femminicidio
Per mia natura tendo sempre a razionalizzare tutto, a parlare di ogni cosa con distacco quasi scientifico. Eppure, non ti nascondo che ogni volta che mi imbatto nel termine “femminicidio” vado in difficoltà. Non riesco a essere totalmente lucido nel trattare l’argomento, come invece dovrebbe fare un analista. Ho letto statistiche che confermano la recrudescenza del fenomeno, ho analizzato certi casi giudiziari scegliendone poi uno in particolare che è andato a finire nel libro (peraltro diventato poi di scuola, quello di Mia Zapata, insomma: ho cercato di capire in maniera coerente, fredda. Alla fine, però, al di là di tutte le analisi che almeno parzialmente si legano alla parte finale della mia risposta precedente in termini di non rispetto degli elementi essenziali che rendono un uomo tale in senso lato, il femminicidio sottende qualcosa di così terribile da renderlo repellente pure in termini di narrazione pura e semplice. Il non considerare la propria controparte naturale come essere umano, il vederla come minaccia al proprio status quo (peraltro non guadagnato, ma acquisito con la forza da tempo immemore) e, sopra tutto, quel senso di inferiorità davanti a una donna capace di fare e di essere che scatena il gesto più empio, è così enorme che non riesco a gestirne completamente l’analisi. L’inadeguatezza verso la vita sfogata contro un soggetto troppo facile da colpire è così contro natura, da scatenare in me una rabbia che mi spaventa. Aveva ragione il Goya: “Il sonno della ragione genera mostri”.
Educazione Sentimentale
La sua mancanza è indubbiamente parte notevole dei problemi che abbiamo appena affrontato. Dovrebbe essere la famiglia a fornire quella base, col semplice esempio nella vita di tutti i giorni. Un meccanismo apparentemente normale e scontato che, invece, non si avvia troppo spesso, a giudicare dagli accadimenti di tutti i giorni. Le relazioni vissute come affermazione di un sé debole e non come completamento e miglioramento personale, i rapporti affettivi frutto di una mancata educazione sentimentale e interpretati come prevaricazione invece che come dono all’altro/ a, indicano la mancanza in troppi uomini di “driver emozionali” adeguati. La voglia di manifestare apertamente i sentimenti soffocata per paura di scoprirsi e non come dimostrazione di forza ed equilibrio e tutto quanto indicato prima, sono un fardello pesantissimo inevitabilmente trasmesso ai figli. Una catena che deve essere spezzata culturalmente. Partendo dalla famiglia e dall’educazione emozionale che deve essere ricevuta in questo ambiente teoricamente protetto, per estendere la propria esperienza nel quotidiano e nei rapporti con tutti. Un ruolo chiave lo avrebbero pure i mezzi di comunicazione di massa, ma spesso anche lì troviamo atteggiamenti che riflettono una non-cultura del sentimento spacciata come libertà di essere e una leccata solidarietà da share, che creano solo ulteriori danni.
Written by Emma Fenu
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