“L’Arminuta” di Donatella Di Pietrantonio: comprendere le fragilità femminili

Nel mese di marzo ho vinto un concorso scolastico con un tema sulla Comunità europea– Donatella Di Pietrantonio

L’Arminuta
L’Arminuta

Vorrei festeggiare le donne proponendo oggi e domani su Oubliette la recensione di due libri che possono essere letti sia l’uno come prosieguo dell’altro (e in effetti nascono così) sia come due romanzi separati.
Sono entrambi stati scritti da Donatella Di Pietrantonio, autrice rivelazione di questi ultimi anni.

Di professione odontoiatra pediatrica, la Di Pietrantonio ha sempre amato scrivere, ma solo nel 2011 esordisce con “Mia madre è un fiume”, pubblicato per Elliot (e ora di nuovo per Einaudi); e da lì non si è più fermata, pur continuando però a svolgere la professione di dentista.

Se già con i precedenti romanzi l’autrice abruzzese aveva fatto parlare di sé, è soprattutto con “L’Arminuta” (Einaudi 2017) e “Borgo Sud” (Einaudi 2020) che arriva la consacrazione. E su questi due scritti io vorrei concentrarmi in due articoli, il primo è dedicato a “L’Arminuta”.

Ho già osservato su queste pagine che l’Abruzzo, terra magica e antica, sta vivendo una bella stagione di promozione culturale, che si sposa benissimo con la vocazione turistica, gastronomica e “industriosa” (alla latina) della regione, abitata da gente laboriosa e tenace, che ha saputo rialzarsi dopo terremoti e calamità degli ultimi anni.

Faccio solo notare a latere che, proprio ispirandosi al sisma del 2009, la scrittrice ha pubblicato “Bella mia” nel 2013 (Einaudi).

Circa la cultura abruzzese, soprattutto al femminile, ho parlato esattamente in una mia recensione del libro di Antonella Ferrari dal titolo “Adelaide”.

Oggi vorrei proseguire su questo filone.

La Di Pietrantonio è una scrittrice particolarmente attenta alla costruzione dei personaggi femminili: lei stessa, originaria di una umile famiglia abruzzese, sa benissimo quanto le donne incontrino difficoltà nel trovare l’emancipazione, soprattutto se si abita in un paesino dell’entroterra.

Questa è la storia di Arminuta, io narrante del primo romanzo che, nell’asciuttezza di poco più di centocinquanta pagine, racconta le sue vicissitudini di bambina prima rifiutata dalla famiglia biologica e affidata ad una famiglia borghese di Pescara, dove ha vissuto un’infanzia felice fino a tredici anni, poi consegnata di nuovo al suo nucleo biologico.

Quest’ultimo è dato da una famiglia contadina, povera e numerosa, dove si pensa che i maschi valgano di più delle femmine, dove una madre imbruttita dalla fatica del lavoro, non riesce, se non raramente, a fare una carezza alle figlie femmine, dove l’unica complicità può venire da una sorella.

Si tratta di Adriana ed è più piccola della protagonista che narra sempre in prima persona senza rivelare mai il suo nome: del resto quale appellativo sarebbe migliore di Arminuta, che in dialetto locale indica “ritornata”? Il dialetto abruzzese è ruvido, essenziale, austero, come la famiglia della ragazzina.

Adriana è l’opposto di sua sorella: le due giovani donne si conoscono solo ora e, pur nella diversità, imparano ad essere solidali e ad aiutarsi per sfuggire al loro destino. Arminuta, particolarmente brava a scuola, su sollecitazione della professoressa delle medie, riesce a sganciarsi temporaneamente dalla famiglia biologica per tornare a studiare in città grazie all’aiuto di persone generose e a quello, segreto, della madre adottiva.

Essere stata abbandonata, non conoscere le proprie origini, non sapere il perché dei suoi continui passaggi da una casa all’altra, l’hanno resa insicura, e le hanno aperto ferite dolorose. Capire il perché di tutto ciò sarà un’operazione dolorosa, eppure necessaria per lei ma anche per il lettore, per comprendere che le fragilità, soprattutto femminili, derivano dalle fragilità dei nostri tutori, o meglio delle nostre tutrici, anche loro donne che hanno sofferto, per diversi motivi e che, magari involontariamente, fanno del male alle loro figlie naturali o legali che siano.

Donatella di Pietrantonio
Donatella Di Pietrantonio

A volte queste donne si incontrano come ad esempio quando “la madre” (così Arminuta chiama la sua genitrice naturale, ad indicare il fatto di non sentirla come tale, avendola conosciuta sostanzialmente tardi) in cuor suo o alla professoressa riconosce di essersi accorta del valore di sua figlia: “Alla scuola non ci so’ andata, ma stupida io non ci sono, professore’. L’ho capito pure io che essa tiene il cervello per lo studio – Mi toccava la testa parlando. – Vedo come posso arrangiarmi e la faccio continuare”.

Sempre si scontrano e si incontrano le due sorelle, spesso in disaccordo per il modo di concepire la vita, le regole, l’ordine, ma sulla stessa lunghezza d’onda per quanto riguarda il modo di considerare gli affetti; e lo imparano insieme, dal momento in cui si conoscono fino a quando Arminuta, venuta a conoscenza della verità circa la sua storia, si rende conto che anche la vita borghese condotta con la famiglia di adozione aveva le sue crepe, così come la famiglia naturale aveva le sue spigolosità anaffettive:

“Ci siam fermate una di fronte all’altra, così sole e vicine, io immersa fino al petto e lei al collo. Mia sorella. Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccato alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza. Ora ci somigliamo meno nei tratti, ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere gettate nel mondo. Nella complicità ci siamo salvate”.

La sorellanza, del resto, sarà la chiave di volta anche in “Borgo Sud”. Per questo, però vi rimando a domani, insieme ad altre considerazioni sull’universo maschile delineato da questa bravissima artista della parola.

Buona vigilia dell’8 marzo in lettura.

 

Written by Filomena Gagliardi

 

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