“Il profumo” di Patrick Süskind: esiste l’etica? una domanda assurda, ma necessaria
Piccola lezione di vita, cioè di scrittura, che è la medesima cosa, che impartisco a me stesso: se non riesci nemmeno a ipotizzare come poter reagire per iscritto a un libro, è solo colpa tua, non di quel criminale che l’ha confezionato né del suo odioso manufatto di cellulosa. Che poi tanto odioso non è, anzi, è grazioso, con al centro una donna piacente col petto ben ignudo e il braccio destro teso, il cui polso mostra un bracciale, la cui mano sinistra regge un panno, forse un lenzuolo, che le cela le pudenda.
Nella quarta di copertina leggo quattro brevi commenti dell’opera, fra cui mi colpisce quello di Giulio Nascimbeni, il quale promette “un raffinato congegno narrativo generatore di sorprese, di incantesimi, di crudeltà, di orrori e di sogni, perfettamente autonomo, sontuosamente letterario.”
Stamattina, ho deciso che avrei iniziato a reagire al romanzo per iscritto, costi quel che costi in termini di tempo, sofferenza, noia, divertimento, ludibrio, panico, estasi. Come si vede, anch’io sono in grado di ammucchiare l’uno sull’altro diversi aspetti della realtà. Questo è il compito della scrittura letteraria: una cernita a cui segue un’esibizione di oggetti, di sensazioni, di emozioni, di paure, di accadimenti, di… ehi… ci risiamo?!
L’inizio ha tinte molto fosche, e ricorda un po’ la prosa del Balzac, tanto che a pagina 12 già si assiste alla decapitazione della mamma degenere del protagonista.
A pagina 16 “la balia, brusca” allontana il canestro contenente il pargolo il cui nome completo è Jean Baptiste Grenouille, i cui “escrementi hanno un buon odore. È lui. Il bastardo, che non ha odore.” Egli è diverso dai suoi figli, che “hanno l’odore che tutti i bambini devono avere.” I figli sono piezz’e core e sanno di latte e “hanno un odore di pietra calda liscia… no… piuttosto di ricotta… oppure di burro, di burro fresco, sì, proprio così, sanno di burro fresco. E i loro corpi hanno l’odore di… di una galletta quando è inzuppata nel latte.” E quella donna è un fiume in piena quando va cianciando degli odori dei bambini e che “bisogna amarli, che siano figli propri o di altri…”
Ma quest’odioso esserino non emana odore e lei lo teme, lo evita, non vuole averci a che fare, lo rifiuta, e quel buon uomo di Padre Terrier che tanta pena prova per lui, “prese il canestro, inspirò a fondo ancora una volta il caldo odore di latte e di lana che si andava dileguando e chiuse la porta con il chiavistello. Quindi si recò nel suo studiolo.”
Egli sa che gli uomini antichi e ignoranti credevano possibile “di poter annusare il sangue, pensavano di distinguere al fiuto l’amico dal nemico, di essere fiutati da cannibali giganteschi e da lupi mannari e di essere riconosciuti all’odore da Erinni, e portavano ai loro dèi mostruosi olocausti puzzolenti e fumanti. Spaventoso! ‘Il matto vede col naso’ più che con gli occhi, e probabilmente la luce della ragione concessa da Dio ha dovuto brillare per altri mille anni prima che gli ultimi residui della fede primitiva fossero dissipati.” E mai del tutto lo saranno. A Reggio Emilia si dice andêr a ósta (usta è l’odore della selvaggina), mentre ad Amalfi sento l’espressione ì a uósemo, andar a fiuto. Anche nei gialli si dice che il tale investigatore ha fiutato quella pista, che lo condurrà a catturare la selvaggina, l’assassino.
“L’odore dell’uomo è sempre un odore carnale, quindi un odore peccaminoso.” – e “che odore dovrebbe avere un lattante, che non conosce il peccato carnale neanche per sogno?” E qui forse c’è la soluzione dell’inghippo: il peccato non è collegato all’epidermide, o alla carne che da essa è ricoperta, ma dalla mente, che non è per nulla odorosa o, se lo è anche, la scatola cranica protegge il mondo dai suoi effluvi e dai suoi impulsi elettrici e chimici.
Il prete è sgomento nel vedere come quell’animaletto umano “lo stava annusando spudoratamente, così era! Lo fiutava! E d’un tratto Terrier si sentì puzzare, di sudore e di aceto, di crauti e di vestiti non lavati. Si sentì ignudo e brutto, come fissato da qualcuno che, per parte sua, non rivelava nulla di sé. Era come se il bambino penetrasse con l’olfatto anche attraverso la sua pelle, fin nel suo intimo più profondo. I suoi sentimenti più teneri, i suoi pensieri più turpi erano nudi davanti a quel piccolo, avido naso, che non era ancora un vero e proprio naso, bensì soltanto un accenno, un minuscolo organo con buchi che si arricciava, si gonfiava e vibrava di continuo.”
Citare le parole di quest’autore non è un problema, ma a volte si fatica a smettere. Patrick Süskind è straordinario nell’attorcigliar dei rami attorno ai tuoi arti, alla mano che scrive soprattutto, e non ti molla più. Devi essere tu che, con un atto che pare sacrilego, devi spezzare quel legaccio, scegliendo una pur provvisoria libertà, restando consapevole che egli è sempre là, pronto ad acciuffarti di nuovo.
Tornando a quel buon Padre, che buono lo è davvero, quell’innocente “in un accesso di disgusto l’avrebbe scagliato lontano da sé come un ragno”, se solo “non avesse avuto un carattere così posato e governato dal timor di Dio e da un giudizio razionale”. E sta per definirlo “demonio”, ma riesce a trattenersi, limitandosi a chiamarlo “questo mostro, questo bambino insopportabile!”. Il mondo ne è pieno, di mostri, ognuno con le sue caratteristiche.
Tra questi spicca Madame Gaillard che, a causa di una violenza paterna, “aveva perso l’olfatto e qualsiasi senso di calore umano e di freddezza umana e soprattutto qualsiasi passione.” Si dice cinico, che deriva dal greco kynikós, canino, per dire di uno che non sente nulla per l’altro. Quanta e quanto vile supponenza umana!
“Per il piccolo Grenouille l’istituto di Madame Gaillard fu una benedizione.” E in quel triste luogo egli superò numerose malattie e sopravvisse a mirabili disavventure, anche “a una caduta di sei metri in un pozzo e a un’ustione al petto con acqua bollente.” Egli “era tenace come un batterio resistente e parco come una zecca, che se ne sta quieta su un albero e sopravvive come una minuscola goccia di sangue succhiata anni prima”: un essere economico anziché no! Egli non necessitava delle sicurezze umane che tutti noi, compreso i più forti e sprezzanti del pericolo giudicano fondamentali, e l’autore ipotizza, no, dice chiaramente che fu con quel grido che emise in piena consapevolezza nascendo, che egli “si era pronunciato contro l’amore e tuttavia per la vita.” Quell’immondo diavoletto, mi è scappato!, “al mondo non dava nulla se non i suoi escrementi; non un sorriso, non un grido, non un guizzo degli occhi, neppure un proprio odore.”
Se qualcuno avesse mai desiderato toglierlo di mezzo, schiacciandolo come si fa con un dittero che disturba, o con una serpe che si rinviene nell’orto, col tempo aveva cessato di farlo. “Si limitarono a sfuggirlo, a stargli lontani, a evitare qualsiasi contatto con lui. Non lo odiavano.” Molto peggio: “Non riuscivano a sentire il suo odore. Avevano paura di lui.”
Per oggi ho deciso di ritirare i remi in barca, perché voglio assopirmi cogitando tanta penosa irrealtà. A me capita di scrivere mentre sono in dormiveglia, ma non sempre questo accade. Ora l’unica frase che sono riuscito a vergare mentalmente è: Si tratta di una… favola… non di una… realtà… A domani, caro il mio inodore fanciullo… Una scrittura non è mai normale ed è sì composta di algoritmi, di frasi fatte, di argomenti risaputi, ma essa raggiunge il suo senso quando è compiutamente abnorme. Tale è l’impressione che mi sta donando alla grande la presente lettura.
Grenouille era come “un bambino-prodigio” il quale “avesse carpito alle melodie e alle armonie l’alfabeto dei singoli toni e ora componesse da sé melodie e armonie del tutto nuove…”, anche se “l’alfabeto degli odori era di gran lunga più vasto e più differenziato di quello dei toni”, un’arte però, quella del grazioso bimbetto, che “si svolgeva soltanto dentro di lui e non poteva essere percepita da altri che da lui stesso.”
In “una sporadica frequenza di un anno e mezzo” presso una “scuola parrocchiale”, egli “imparò a sillabare un poco e a scrivere il proprio nome, nient’altro. Il suo insegnante lo giudicò deficiente.”
Il tipo comincia a essermi simpatico, pur spaventandomi il suo non avere, nemmeno da piccolo, paura del buio. Aveva un carisma: anticipava il futuro, di solito quello di scarso valore, tipo “la visita si una persona molto prima del suo arrivo”. Chissà che vedeva, chissà che sentiva?!
Nel corso del quinto capitolo Patrick Süskind mi stupisce un po’ per un dono che è comune in chi scrive, ma che sempre stupisce il lettore: riesce a percorrere in poche righe diversi decenni. Parla dell’esistenza grama ed eccelsa di questa Madame che così poca simpatia risveglia in me: ella morì, “nell’anno 1799. Grazie a Dio, in quel giorno, dell’anno 1747, quando Madame tornò a casa e abbandonò il ragazzo Grenouille e la nostra storia, non sospettò nulla di questo destino incombente su di lei.” – la qual cosa capita a tutti noi, cari amici.
Grenouille diventa operaio, di quelli bravi però, assai più degli altri, e “non era più tanto facile come un tempo sostituirlo”. Grimal, il suo padrone, che secondo il ragazzo avrebbe “potuto picchiarlo a morte”, se la cosa gli fosse convenuta, quando ebbe dodici anni, “gli concesse mezza giornata di libertà la domenica” e ormai “non lo teneva più come un animale qualsiasi, bensì come un animale domestico utile.”
Grenouille “aveva vinto, poiché viveva, e possedeva una porzione di libertà, che bastava per continuare a vivere” e “Grenouille la zecca si ridestò. Fiutò l’arrivo di tempi nuovi. Fu preso dal piacere della caccia. Dinanzi a lui si apriva l’area olfattiva più grande del mondo: la città di Parigi.” Divenne “avido. L’unico scopo delle sue battute era quello di possedere tutto ciò che il mondo aveva da offrire in odori, e l’unica condizione era che gli odori fossero nuovi.”
E nuovo era, per lui l’effluvio che usciva dal corpo di una “fanciulla” dai “capelli rossi”. E “quando l’ebbe uccisa, la depose a terra tra i noccioli delle mirabelle, le strappò il vestito e il flusso di profumo divenne una marea, che lo sommerse con la sua fragranza.” Stavo pensando a un assurdo detto delle mie parti, secondo cui i ròss a pósen ed salvâdegh. Una cosa simile la dicono anche delle persone di colore. Ognuno emana odori per conto suo, e diffida dell’altrui aulenza. L’unico dato certo l’ha rilevato mia madre che, parlando dei neri, diceva che a gh ân al sângov ròss cme al nôster, con i globuli d’entrambi i colori, le piastrine, tutto quanto, insomma.
Grenouille sapeva di essere “un genio; e che la sua vita avesse senso e scopo e fine e un destino più alto, vale a dire niente di meno che rivoluzionare il mondo degli odori…” Ah ah ah! Rido perché mi viene in mente il mio proverbio arşân preferito: tótt i cujòun a gh ân la so pasiòun, ognuno a rincorrere non solo i suoi guai, come vanta il poeta, ma le sue passioni che non mancheranno mai di procurartene finché vuoi, di guai. Conosco alcune persone care, il cui tormento è di voler a ogni costo vendere la propria merce al prossimo, attività connessa al secondo principio della termodinamica, che conduce al disordine cosmico, la cosiddetta entropia, che si oppone al principio a essa antagonista, che tende all’unificazione, la gravità. Ed ecco che questi ottimi utilissimi ragazzi conducono la loro vita a da accumulare oggetti diversi per esempio libri, per poi disfarsene nel minor tempo possibile e alle migliori delle condizioni, cedendole ai clienti: tutto questo si chiama, se vuoi, emozione cosmica, che ha la sua ragione prima e ultima nella volontà di correlazione, di entanglement direbbero le persone studiate, per cui due particelle, venendo a contatto, si sono scambiate un’informazione, e resteranno, per l’eternità, collegate, in modo che, mutando l’una, si trasforma al contempo l’altra.
Al contempo è un’espressione avverbiale che non vuol dir nulla e, al tempo stesso, tutto.
Ora Patrick svolazza lassù, in alto, lasciando lì dov’è l’infante Grenouille, senza però mai dimenticarlo, ma occupandosi ora d’altri, il profumiere e merciaio Baldini, per esempio. Questo sbalzo mi rammenta l’opera dei grandi scrittori, francesi per lo più, del secolo decimonono. Ma anche il russo Turgenev.
Un esempio di scrittura accumulatrice: “E così, accanto alle pasticche, ai coni e ai nastri d’incenso, si trovavano anche tutte le spezie possibili, dai semi d’anice alla scorza di cannella, sciroppi, liquori e distillati di frutta, vini di Cipro, Malaga e Corinto, miele, caffè, te, frutta secca e candita, fichi, cannelle, cioccolato, marroni, persino capperi, cetrioli e cipolle in salamoia e tonno marinato. E poi ancora ceralacca odorosa, carta da…” e qui mi stoppo perché la lista dei prodotti in offerta non è giunta manco a un terzo… Forse è per questo che non amo andare al supermercato: trôpa grâsia Sânt’Antòni!
“Di conseguenza in casa Baldini regnava un indescrivibile caos di odori.”
La prosa di Patrick, a volte ironica, ma mai scherzosa. Ora dice che tutti quegli odori hanno reso insensibili le narici di Baldini e dei suoi dipendenti, “come certi vecchi direttori d’orchestra, i quali appunto sono tutti duri d’orecchio…” A lui, a Grenouille, no: “Il miscuglio di profumi che vi regnava lo colpiva come un pugno in faccia, lo esaltava e lo stordiva a secondo della sua costituzione, e comunque confondeva i suoi sensi al punto che spesso non ricordava neppure la ragione per cui era entrato.”
Baldini fu ricco, benestante, abbiente, ora è quasi rovinato e medita di cessare l’attività e di tornarsene a Messina. La concorrenza ha stravolto i suoi piani. “… si sarebbe comprato una casetta in campagna vicino a Messina, dove i prezzi erano bassi.” – in una delle regioni italiani più aulenti. – “E là sarebbe morto, Giuseppe Baldini, un tempo il più grande profumiere di Parigi, in povertà estrema, quando fosse piaciuto a Dio. Così dovevano andare le cose.”
Ognuno deve imparare a convivere non solo coi propri balzacchiani splendori, ma anche con le inevitabili miserie, e col destino entropico (e antropico), di cui scrissi poc’anzi.
Alla fine del tredicesimo capitolo i due personaggi cardine s’incontrano, né era possibile che ciò non accadesse. Anche questo si chiama destino, quando chi lo provoca ne è assoggettato.
Grenouille non è un ragazzo né timido né sfrontato, ed è se stesso quando dice all’anziano italiano: “Ho il miglior naso di Parigi, Maitre Baldini” – aggiungendo poi: “Conosco tutti gli odori del mondo, tutti quelli che esistono a Parigi, tutti, solo che di alcuni non conosco il nome…” – e continua a pronunciare parole che paiono sbruffonate, che nel suo caso non lo sono, bensì verità ineccepibili, ancorché da dimostrare.
Patrick descrive Grenouille come “un piccolo rospo nero”, usando quell’epiteto animalesco anche poche righe sotto. Più tardi lo definirà “ragnesco”.
Baldini s’incavola non poco, dicendogli che non deve più avere la sfrontatezza d’interromperlo mentre sta parlando. E poi, più quietamente, gli spiega che se uno sa riconoscere gli ingredienti di una pietanza non è detto che sappia cucinarla, se non conosce la ricetta, e nel caso di un profumo si tratta della formula.
Grenouille, inconsapevolmente esuberante, gli dice che ha “la ricetta nel naso” e che non ha bisogno di altro e che se lui vuole è in grado di miscelare davanti ai suoi occhi, nella giusta dose, gli elementi che compongono il profumo “Amore e psiche” creato di Pélissier, il rivale di Baldini.
Prima scrissi che Grenouille si credeva un genio dei profumi. Ricordo le parole di Carmelo Bene, secondo cui “Il talento fa quello che vuole, il genio fa quello che può. Del genio ho sempre avuto la mancanza di talento”. Non so bene cosa questo significhi: forse che il talento si acquisisce in parte e in parte è connaturato, ed è composto anche dalla cultura, che compie la sua azione a volte distruttiva, a volte ri-edificante. Il genio è l’immagine di un individuo, la sua genetica, quello da cui è quasi impossibile esistere distante, o sfuggirgli, se non con la dipartita da quest’agone terrestre.
Baldini è indeciso se consentire a quel batrace (è stato Patrick a indurmi a chiamarlo così) di pocciare nel negozio con le sue preziose essenze, ma alla fine quasi a malincuore accetta la sfida e quest’atto disperato gli muterà l’esistenza. Ed è sbalordito dalla riuscita della prova da parte di Grenouille e, pur fingendo di doverci pensare su, corre da Grimal e compra il ragazzo per la somma considerevole di venti lire.
Grimal festeggia quella somma per lui enorme, beve come una spugna, e finisce per piombare “lungo disteso e a faccia avanti nell’acqua come in un soffice letto”, e “fu il fiume che impiegò ancora un certo tempo per trascinarlo via dalla riva poco profonda e portarlo, passando accanto alle chiatte ormeggiate, nella corrente di mezzo più forte, e soltanto nelle prime ore del mattino il conciatore Grimal, o piuttosto il suo carattere intriso d’acqua, si diresse galleggiando a valle, verso ovest.” – tanto pare che, dopo l’ultima ora, il tempo cessi di trascorrere per l’eternità.
Nel negozio il giovane Grenouille impara di tutto ed estremamente in fretta. E ha le sue prime delusioni, quando scopre che alcuni vegetali “non si potevano distillare affatto, e questo” lo “esasperava al massimo”.
Questi parziali insuccessi, a lui che si credeva, ed era, un genio, ma come tutti, anche i più grandi, solo in parte e mai assoluti, lo condussero ad ammalarsi, “con pericolo di vita”. Gli fu diagnosticata “una varietà sifilitica di vaiolo nero mista a morbillo suppurativo in stadio ultimo.”
Stava forse tirando le cuoia e “Baldini era fuori di sé. Si lamentava e urlava di disperazione.” – quel ragazzo aveva risollevato le sorti del suo commercio ed egli era diventato di nuovo una persona ricca. Odiava quell’impunito che proprio ora aveva scelto di morire, e l’avrebbe voluto “far uscire a forza di botte i preziosi segreti dal corpo morente.”
Chi pensasse, non senza ragione, a Grenouille come a un empio, sappia che egli non provava sentimenti, né malevoli né benevoli. Egli si limitava a osservare, a sentire, ad agire, senza porsi questioni etiche. Esse non gli servivano nella vita pratica. Quella spirituale in lui non esisteva affatto.
Inaspettatamente egli guarì e tornò all’opera e grazie al suo lavoro, “Baldini a settant’anni era diventato incontestabilmente il profumiere più importante d’Europa e uno dei cittadini più ricchi di Parigi.” Ma ora quell’immondo essere se ne doveva soltanto andare. Baldini gli concesse “Il diploma di garzone”, ma a condizione che sparisse dalla città di Parigi, rinunciando a ogni futura attività di profumiere e di tacere su tale promessa. “Doveva giurare tutto questo su tutti i santi, sulla povera anima di sua madre e sul suo onore.” – e così fece, con la sua consueta indifferenza.
Baldini provava una “profonda simpatia” per quell’essere, ma, nel salutarlo per sempre, “non gli diede la mano, la sua simpatia non si era spinta fino a tal punto.”
Il fatto non gli produsse del bene: “durante la notte” gli capitò un accidente, non troppo diverso da quello che occorse a Grimal: la sua casa, per un editto reale, precipitò insieme a un’altra a essa limitrofa: le due uniche vittime furono Baldini e gentil consorte.
Subito dopo inizia la parte seconda del romanzo, che narra delle peregrinazioni di Grenouille e qui mi viene in mente che due sono le sue possibili fini: o sarà distrutto dalla sua amoralità, oppure giungerà a una condizione salvifica (e qui mi vien in mente la sorte che capitò al Siddharta di Hesse). Quien sabe, direbbe Tex Willer.
Chiunque potrebbe solo se ha già letto quest’opera singolare, mi verrebbe da dire. La scrittura ha questa capacità di fissare la storia for ever, anche se poi i sequel possono rendere ogni cosa caduca.
Grenouille ha scoperto di non reggere facilmente il puzzo dei suoi simili (si fa per dire): “provava disgusto per l’odore umano dei cavalieri”. Il suo destino è, al momento, di fuggire “sempre più lontano, sempre più sensibile all’odore di uomo che era sempre più raro.” Egli rinviene, per caso e per necessità, un ricovero arcano e quasi irraggiungibile, “a decine di metri di profondità sotto terra, come nella propria tomba.”
Il suo pensiero è l’unico a lui consentito: “Che il mondo esterno andasse pure in fiamme, qui non si sarebbe accorto di nulla. Cominciò a piangere in silenzio. Non sapeva chi ringraziare per tanta felicità.” – era diventano un essere senziente, non soltanto un naso geniale.
“… respirando appena, quel tanto da far battere il suo cuore… e tuttavia viveva in modo così intenso e sfrenato, come mai un uomo di mondo aveva vissuto nel mondo.” – lui viveva nel suo.
Il periodo che vive ora non si può definire con termini usuali, né con altri particolari, forse solo esistenziali. Egli vive così, in modo non analogo ma dissimile da quello in cui trascorse i suoi anni d’apprendistato spirituale il Siddharta di Hesse, perché non può agire diversamente. Ci si può chiedere se egli abbia scelto di abbandonare il mondo o se questo l’abbia espulso da sé. Non si potrà mai definire una teoria a riguardo. Fa parte delle religiosità indimostrabili, per cui conviene adeguarsi alla propria credenza e nulla più. Egli sogna per sé d’essere quell’Altro (il “grande, meraviglioso, incomparabile Grenouille), colui che potrà tutto, sovvertendo l’ordine delle cose. E lo vede come un altro Sé, un suo Futuro che prima o poi…
“L’odore di quel mattino per Granouille era un odore di speranza. Lo serbava con cura. E ogni giorno ne beveva un poco.”
E in un tempo che non esiste dentro di lui, egli vive la sua empia e insieme pia illusione: “Così avvenne giorno per giorno, settimana per settimana, mese per mese. Così avvenne per sette anni interni.”
Qualcosa accade e qui non posso che riportare le parole di Patrick: “… nel sogno nel sonno nel cuore nella sua fantasia.” – avrebbe potuto scrivere: nell’anima, oppure: nella psiche, che è il suo inclito sinonimo. Il bello e il brutto di ogni sogno (eccetto forse l’ultimo) è che ci si risveglia con nulla in mano, se non a volte il proprio cuore.
Jean Baptiste Grenouille tornò nel mondo di quelli che non erano i suoi simili. “Aveva un aspetto orribile. I capelli gli arrivavano fino alle ginocchia, la barba, pur se non folta, fino all’ombelico. Le sue unghie erano come artigli di uccelli e sulle braccia…” – basta!, l’abbiamo capito che era un mostro, uno dei tanti… forse il maggiore! Si presenta al volgo e narra a loro delle fandonie che giustificano la sua condizione. Il maire “riferì l’accaduto al marchese de la Taillade-Espinasse”, strano individuo che a quarant’anni “si era ritirato nei suoi possedimenti e là aveva vissuto per le scienze”. Egli aveva coltivato per anni una teoria particolare che non manca di buon senso, ancorché potrebbe risultare errata: “sosteneva la tesi che la vita potessi svilupparsi soltanto a una certa distanza dalla terra, poiché la terra stessa emanava di continuo un gas di putrefazione, un cosiddetto ‘fluidum letale’, che paralizzava le energie vitali e prima o poi portava definitivamente alla morte.”
Pigliò Jean Baptiste Grenouille, lo fece sgrassare e spelare per bene, e poi lo sottopose a una folle ventilazione, grazie a cui, gli parve che guarisse da quell’eccessiva esposizione ai velenosi effetti causati dalla crosta terrestre, in tutti quegli anni di segregazione nella caverna. Quello che non sapeva era che essa era stata volontaria, avendo Jean Baptiste Grenouille mentito a tale riguardo. Questa era stata la sua nuova acquisizione: la capacità di falsificare con le parole il vero, o quello che lui credeva che fosse tale.
Il marchese gli dice: “Lei era un animale, e io ne ho fatto un uomo. Un’impresa addirittura divina” – e per paragrafare Andy Warhol mi scapperebbe da dire che ognuno di noi ha il suo quarto d’ora di sacralità, e che prima e poi un qualche miracolo squarcerà le nubi.
“Quello che sconcertò più di tutto Grenouille fu il fatto di avere un aspetto così incredibilmente normale.” – finalmente, anch’io è una vita che ci penso. Chissà!
Ora Jean Baptiste Grenouille ha uno scopo nella vita, che è quello di creare “il profumo dell’umano”, lui che ne era privo e che ora comincia a soffrire del fatto! Unisce gli effluvi più disgustosi a quelli più sublimi, e lo realizza. “Poi se lo picchiettò sotto le ascelle, tra le dita, sul sesso, sul petto, sul collo, sulle orecchie e sui capelli, si rivestì e lasciò il laboratorio.”
Fuori, avverbio di luogo che a volte fa fremere di paura, s’accorge che la gente non lo fugge più, per quel lercio profumo che emana: “inalavano il suo puzzo raffazzonato di merda di gatto, formaggio e aceto come l’odore di un loro simile e che accettavano, lui, Grenouille, la prole del diavolo, in mezzo a loro, come uomo tra uomini.” – Evviva!
Concepì “il progetto di dominare gli uomini” e la cosa gli dava serenità, “perché era malvagio fino alle midolla. E questo lo faceva sorridere, ed era molto contento. Aveva un’aria del tutto innocente, come una persona qualsiasi che è felice.” Di chi ciarlava, di sé, quando diceva che “Dio puzzava”? E cosa intendeva quando sbraitava che “Dio era un povero puzzoncello”? Era sempre un altro, un disgraziato, che “veniva ingannato, questo Dio, oppure lui stesso era un impostore, non diversamente da Grenouille… soltanto molto peggiore!” Cominciò a riacquistare “una certa abitudine al linguaggio”, con cui poteva raccontare ogni sorta di frottole al prossimo. Ormai era pronto per partire per la sua decisiva avventura umana.
Il marchese seguì la sorte di chi l’aveva preceduto nei contatti con quel divino e demoniaco ragazzo. Nonostante l’età s’era messo in testa di scalare una vetta “alta 2800 metri”. Proposito ammirevole, ma “l’ultima cosa che videro di lui fu la sua silhouette che scompariva cantando nella tempesta di neve con le braccia levate al cielo.”
Assicura Patrick che “non si trovò più nulla di lui, non un capo di vestiario, non una parte del corpo, non un ossicino.”
Inizia ora la parte terza, che sarà probabilmente la peggiore, mi viene da pensare.
Quell’assassino cammina per la strada e viene quasi strappato dai suoi miserabili pensieri: “Il sangue gli salì alla testa come a un monello colto sul fatto, poi scivolò nel centro del suo corpo, e risalì di nuovo e di nuovo ridiscese, e lui non riusciva a controllarsi.”
Il romanzo di Patrick è basato su un paradosso: l’uomo è un animale che ha fondato la sua esperienza su una cinquina di sensi, il più antico dei quali è l’olfatto. C’è chi lo possiede forte e chi l’ha indebolito per un’eccessiva civiltà. Si tratta di una qualità che la natura dà oppure toglie, un po’ come le gira. E se si ipotizzasse il più grande degli odoranti, cosa ne uscirebbe? Un mostro, senza dubbio, che raggiungerebbe effetti impensabili. Jean Baptiste Grenouille è quel demoniaco mostro.
“Gli vennero le vertigini, barcollò un poco e dovette appoggiarsi al muro, e lì si lasciò scivolare lentamente a terra a gambe piegate.” Presto (o immediatamente?) “constatò che il profumo dietro al muro era estremamente simile al profumo della fanciulla dai capelli rossi, ma non del tutto uguale.” Pare che non esistano due spiriti identici, ma che solo il principio che li anima sia il medesimo. Ma la ragazza è “dietro il muro”, irraggiungibile, e l’esperienza dovrà rimanere al momento sospesa non si sa fino a quando.
Jean Baptiste Grenouille non si perde d’animo, c’è tempo per ogni cosa. Si fa assumere come garzone in seconda nella profumeria di Honoré Arnulfi, che “era morto l’inverno precedente e che la sua vedova, una donna vivace dai capelli neri sui trent’anni circa, dirigeva il negozio soltanto con l’aiuto di un garzone.” – di nome Druot, un tipo grossolano, che non vale un’unghia del nostro, si fa per dire, eroe, ma che stupido non è.
Egli comprende da subito quanto immense siano le doti di Jean Baptiste Grenouille e, pur comandandolo a bacchetta, gli affida tutto il lavoro, sia quello fine che quello pesante e che nel suo beato ozio riesce ad accaparrarsi la padrona, finendo per sposarsela.
Jean Baptiste Grenouille pensa sempre al “profumo della fanciulla dietro il muro”. L’alternativa era o venire in possesso o morire. Ma bisognava vivere e possederlo, perché “bisognava conservarlo. Bisognava eliminare la sua fugacità senza privarlo del suo carattere: un problema da profumiere.” – e da assassino, ovviamente.
È il compito della scrittura, dell’arte in genere, e finanche dei sogni: idealizzare un oggetto al fine di conservarlo per sempre. Ed è un po’ che non ti estraggo dal cappello, caro peloso Johnny: A thing of beauty is a joy for ever.
In quel periodo si compiono, l’uno appresso all’altro, venticinque omicidi di ragazzine, per lo più in fiore ma già un po’ formose, e dalla chioma di vari colori, la quale è stata sottratta dal loro assassino. Questo è l’articolo che Jean Baptiste Grenouille sta ora cercando di accumulare.
Le autorità hanno allarmato la popolazione, anche il vescovo è intervenuto scomunicando l’ignoto assassino. E la gente comincia a tranquillizzarsi.
Richis è un ricco signore innamorato della propria figlia Laure, al punto che a stento trattiene la pulsione di abusare di lei.
“Poi, un giorno di marzo, Richis era seduto in salotto passeggiare fuori in giardino: la ragazza indossava un abito blu su cui ricadevano i suoi capelli rossi, fiammeggianti alla luce del sole; Richis non l’aveva ancora mai vista così bella.” Egli sente che, con un mostro simile in giro, la sua adorata consanguinea si trova in grave pericolo. Adotta perciò tutta una serie di accorgimenti che gli permettono di ritardare il suo assassinio, che avviene regolarmente, anche perché Jean Baptiste Grenouille, come si suol dire, gioca facile: è l’unico (più che) umano dotato di un super potere, un fiuto assurdamente perfetto.
“Tutto il suo lavoro omicida fino ad oggi non avrebbe avuto senso senza di lei. Lei era l’elemento conclusivo della sua costruzione.”: e questo non era il pensiero del killer, ma di Richis. Egli aveva intuito tanto, ma non l’essenziale: il destino aveva previsto tutta un’altra storia.
“Durante le ultime settimane questo filo odoroso era diventato così intenso che Grenouille l’aveva percepito con chiarezza persino oltre la città, nella sua capanna.”
Quando quella scia non si può più cogliere, occorre uscire nel mondo e cercarla ovunque. Grazie a un’indicazione fortuita ricevuta da una sentinella, Grenouille sa già in che direzione volgere i suoi passi fatali.
Eccola! “Il profumo dei capelli di Laure era predominante, perché era distesa sul ventre, e il suo viso, incorniciato dal braccio piegato, era affondato nel cuscino, dimodoché la sua nuca si presentava in modo addirittura ideale per ricevere il colpo di clava. Il rumore del colpo fu stridente. Genouille lo odiò. Lo odiò soltanto perché era un rumore, un rumore nel corso del suo lavoro che altrimenti era silenzioso.”
Genouille quando vuole sa (sempre) essere chirurgico e salvifico (per sé).
“Per lui Laure non esisteva più come corpo, bensì soltanto come profumo privo di corpo. Ed era questo che teneva sotto il braccio e che portò con sé.”
Jean Baptiste Grenouille viene catturato e condannato al fracassamento delle articolazioni, per essere infine “issato in croce”, come accadde al Redentore. Nell’attesa, “si era steso sul suo tavolaccio ed era subito piombato in un sonno molto profondo.”
Mi sovviene ora il caso di Mersault, quell’altro assassino che altrove non pareva patire alcun rimorso. Ma poi mi dico che si tratta di due esseri completamente diversi. Lo straniero possedeva il proprio odore, che gli consentiva di adirarsi e di venire alle mani con chi gli propone la salvezza in nome di un dio così assente nel suo cuore che gli crea angoscia. Jean Baptiste Grenouille pare invece così tranquillo…
Quando apparve in piazza, tutti capirono che lui… Jean Baptiste Grenouille… “non poteva esserlo, non poteva essere un assassino. L’uomo che si trovava sul luogo dell’uccisione era l’innocenza in persona.” – anche il boia si commosse.
“Liquido puro erano ormai tutti, sciolti nello spirito e nell’anima, un unico amorfo fluire, soltanto il loro cuore si muoveva all’interno come un debole grumo, e ognuno di essi, ognuna di esse, lo depose tra le mani del piccolo uomo in giacca blu, nella buona e nella cattiva sorte: lo amavano.” – Amen!
Per ogni fesso che era in piazza Jean Baptiste Grenouille era “l’essere più bello, più attraente e perfetto che si potesse immaginare…” E lui? “Stava a guardare e sorrideva. A coloro che lo vedevano il suo sorriso sembrava il più innocente e il più seducente del mondo. Ma in verità sulle sue labbra non c’era un sorriso, bensì un sogghigno orrendo, cinico, che rifletteva tutto il suo trionfo e tutto il suo disprezzo.”
Era Jean Baptiste Grenouille il grande, il “nato senza odore nel luogo più puzzolente del mondo.” E qui nascono i problemi, ragazzo mio: “Ciò che aveva sempre agognato, e cioè che gli uomini lo amassero, nel momento del suo successo gli era intollerabile, perché lui stesso non li amava, li odiava.”
L’orrenda verità sbucò come dal nulla: “questo, qui e ora, era il mondo, e questo, qui e ora, era il suo sogno divenuto realtà.” – Richis stesso lo amava e lo voleva per figlio! E non solo lui!
Detto en passant, venne catturato Druot, incolpato dei tanti delitti, reo confesso dopo un’opportuna tortura, e fu giustamente giustiziato. A quale altra fine poteva aspirare?
Inizia ora la breve, per fortuna, quarta parte della storia, ché ormai non reggo più questa Via Crucis.
Jean Baptiste Grenouille, da vero supereroe, teneva nelle sue narici il potere sul Tutto. “Solo una cosa non riusciva a fare, questo potere: non riusciva a fargli sentire il proprio odore.” – che aveva la qualità di non esistere. Brutta cosa essere un dio inodore, un’atrocità che finalmente riesce ad angosciare quel superuomo!
Per un dio l’unica cosa è farsi ingoiare dagli uomini, così si risolve il problema dell’assenza di puzza. Questo capita a Jean Baptiste Grenouille, che viene cannibalizzato da dei delinquenti che diventano, al vederlo e sentirlo, fanatici adepti della sua religione.
Sono come quegli empii che aspirano a diventare pii trucidando il prossimo e, qualora sia possibile, ingurgitandolo: “dopo mezz’ora anche la più piccola fibra di Jean Baptiste Grenouille era sparita dalla terra.” – ma non è del tutto vero: era penetrata in quei corpi che prima o poi s’infileranno in altri, più viscidi forse, ma senz’altro meno complessi e incomprensibili. Panta rei! Esiste un detto cilentano, con cui i padri ammoniscono i figli: quannu su muortu tinni fai nu tianu, un tegame.
I giovani hanno sempre cannibalizzato i vecchi, scavando là dove quelli hanno costruito, giungendo a sradicare fin le fondamenta.
Non penso di aver compreso bene lo spirito di questo romanzo, né il suo significato. Azzardo un’ipotesi. L’uomo crede di essere Altro rispetto al creato. E se non fosse altro che un groviglio di cellule, composta da molecole, che sono a loro volta un intersecarsi di particelle che girano l’una attorno all’altra senza meta?
Esiste l’etica? A quel Jean Baptiste Grenouille, che poca dimestichezza aveva con le parole, sarebbe parsa una domanda priva di senso.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Patrick Süskind, Il profumo, TEA Edizioni per conto della Mondadori, 1996