“Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Carlo Emilio Gadda: il romanzo della molteplicità
Verso la fine del 1945 Carlo Emilio Gadda si dedica alla composizione di quella novella poliziesca che si dilaterà nella forma del romanzo: Quer pasticciaccio brutto de via Merulana.
Il romanzo qui non diventa mera traslazione delle proprie ossessioni personali ma espediente tramite cui innalzare il genere giallo a strumento esemplare di registrazione dell’ambiente, veicolo d’eccellenza di percezione di profili umani: non è un caso se alcuni contorni di questa storia poliziesca somigliano ad alcuni tratti dei romanzi realisti.
E dalla Roma popolare e dialettale, dove la vicenda si svolge, s’innalza una voce interna alla realtà rappresentata:
“Era una giornata meravigliosa: di quelle così splendidamente romane che perfino uno statale di ottavo grado, ma vicino a zompà ner settimo, be’, puro quello se sente aricicciasse ar core un nun socchè, un quarche cosa che rissomija a la felicità. Gli pareva davvero di inalare ambrosia cor naso, de bevela giù ne li pormoni. Un sole dorato sur travertino o sur peperinod’ogni facciata de chiesa, sul colmo d’ogni colonnetta, che già je volaveno intorno le mosche. E poi, lui, s’era già messo in testa tutto un programma. A Marino, artro che quel’ambrosia ce sta!”
Con straordinaria efficacia Gadda gestisce insomma una vocazione realista che si manifesta in tutte le sue diramazioni: è un realismo storico, ambientale e gestuale.
È anche il romanzo della pluralità, con una molteplicità discontinua di accadimenti dispiegati e disciplinati dalla prospettiva oggettiva del narratore che disambigua ciò che altrimenti apparirebbe come un groviglio inestricabile: è come se ci venisse presentata, al rallentatore, la disintegrazione del cosmo e la sua consequenziale riorganizzazione in cui simultaneamente coesistono, in armonica sinfonia, frammenti del passato e del presente.
Con una minuzia particolareggiata, Gadda descrive gli oggetti non tanto per esigenze narrative quanto per fornire autentici indizi attinenti alla trama.
“Attaccata ar muro, da una parte del lettino, c’era da vede un’oliografia molto bella: un ber branco de regazze gnude, a la visita medica. E un dottore cor pizzetto nero che le stava a guardà una per una, ma vestito da romano antico, senza occhiali, e invece co li sandali. Er pollice l’aveva infilato ner buco d’una tavoletta e coll’artre dita de l’istessa mano stringeva un mazzetto de pennelli, da spennellà co la tintura nun se sa che pezzo de pelle, si gnente gnente j’avesse trovato un quarche strugnoccolo, a quarchiduna.”
Le descrizioni della realtà possono essere ricondotte ad uno spiccato gusto artistico per la pittura: la qualità visiva delle rappresentazioni rassomiglia ad una raffigurazione pittorica che evoca la bellezza di ogni oggetto di questo universo discontinuo, secondo la tecnica dell’ekphrasis che consiste nella descrizione verbale di un’opera d’arte visiva.
“I due destri, enormi, gli erano venuti d’impeto: e lautamente si tentacolavano i diti, protesi avanti nel passo a bucacchiare il primo piano, l’ideal foglio (verticale e trasparente) a cui è ricondotta ogni occasione del vedere. Con particolare vigore enunciativo, in un mirabile adeguamento al magistero dei secoli, erano effigiati gli alluci. In ognuno dei due protesi la correggiuola di non altrimenti percepita calzatura segregava e unicizzava il nocchiuto in quella preminenza che gli è propria, che è dell’alluce, e soltanto dell’alluce, sbrancandolo fuori dalla frott de’ ditonzoli meno elevati in grado e meno disponibili per il giorno di gloria, ma pur sempre negli atlanti degli osteologi e nei capolavori della pittura italiana, diti di piede. I due ditoni insuperbiti, valorizzati dal genio, si proiettavano, si scagliavano in avanti: viaggiavano per conto loro: ti davano, così appaiati, dentro un occhio, a momenti: anzi, dentro a tutt’e due: si sublimavano a motivo patetico centrale del fresco. La storia gloriosa della pittura nostra, di una parte di sua gloria è tributaria agli alluci”.
È un occhio acuto ed oggettivo al servizio della scrittura di Gadda, che si muove in una perenne tensione volta a scrutare il mondo e simultaneamente a tentare di riordinarlo denunciandone la tumultuosa confusione.
Il Pasticciaccio si erge dunque a migliore trasposizione, sul piano tecnico, di quell’universo intricato ed enigmatico che Gadda, fin dagli esordi della sua carriera narrativa, ha sempre inteso sublimare.
Written by Manuela Muscetta
Bibliografia
Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, Garzanti