Vincitrice e Finalisti della seconda edizione del Contest di poesia “Free Poetry”
Si è conclusa il 31 maggio 2021, a mezzanotte, la possibilità di partecipare alla seconda edizione del Contest nazionale di poesia “Free Poetry” promossa dalla casa editrice Tomarchio Editore in collaborazione con il portale web Oubliette Magazine.

Una competizione a suon di versi che ha visto più di 120 partecipanti per la sezione poesia.
La casa editrice Tomarchio Editore, dopo attenta lettura, ha decretato tredici opere finaliste dalle quali è stata tratta la vincitrice.
Vi presentiamo, dunque, le meritevoli poesie dei finalisti ed a chiudere la vincitrice che riceverà, come premio dichiarato nel bando di concorso, la possibilità di pubblicare gratuitamente una raccolta poetica con un regolare contratto editoriale.
Nel 2020, la prima edizione del Contest ha visto come vincitore il poeta palermitano Francesco Paolo Catanzaro con la pubblicazione della silloge “Dal profondo dei nostri sospiri”.
Il Contest “Free Poetry” vi dà appuntamento al 2022 con la terza edizione che, anche in quel caso, vorrà festeggiare con gli autori ed i lettori il giorno genetliaco dell’editore Rosario Tomarchio.
Tutte le opere partecipanti alla seconda edizione possono essere lette cliccando QUI.
FINALISTI “FREE POETRY”
“I fogli della storia” di Filomena Gagliardi
“A bassa voce” di Marcello Comitini
“Quando muore un amore” di Angela Casale
“So che ti troverò” di Carlo Zanutto
“Attesa” di Renata Pieroni
“Dolce solitudine” di Andrea Tosches
“Per questo sentiero” di Ester Carrara
“Rivoli di essere piovono” di Alberto Rossignoli
“A mio padre” di Antonietta Fragnito
“Bramo” di Achille Schiavone
“La psicosi puerperale” di Ninetta Pierangeli
“Nell’impronta” di Paolo Lazzini
“La bambina con la valigia” di Serenella Menichetti
OPERE FINALISTE
“I fogli della storia” di Filomena Gagliardi
Scricchiolano
accartocciati
al tocco umano
segnano il tempo
e mi ricordano
qui e ora
il prima e il dopo
le conseguenze delle cose.
Nei fogli
il profumo dei secoli.
“A bassa voce” di Marcello Comitini
Coloro che scrivono versi intrecciandoli di speranze
come alberi sontuosi e sottane di luce
e augurano a tutti una vita assolutamente nuova
parlino pure a voce alta.
Tu che sei arso dal lungo fuoco del disinganno
che sei meno di quel che pensi
e sei meno di te stesso parla a bassa voce.
Ancora non sai
cosa sia l’assenza, la paura, l’ansia.
Parla a bassa voce.
Un’acqua che brucia scende dagli occhi
un’aria fetida nei polmoni ha invaso
lunghe file di uomini poi svaniti
lungo corsie desolate.
Sai cos’è il dolore la disperazione il lutto?
Parla a bassa voce.
Il silenzio tesse trame di panico e d’angoscia.
Affondano le unghie nel petto
soffocano i battiti di coloro
che sono separati per sempre
condannati
nelle prigioni fredde vaganti nell’infinto.
Parla a bassa voce. Usa la poesia
per consolare le lacrime
di coloro che guardano le lunghe file dei morti.
Scrivi pacatamente.
Fai trasparire dai versi una stella a coloro
che sono rinchiusi
nella scatola delle quattro pareti
con le mani e il cuore legati
dalla disperazione e dal lutto.
“Quando muore un amore” di Angela Casale
Quando muore un amore
Immobile, sulla cima del burrone.
Inerme senza soluzione.
Ci sono ma non serve,
rimani tra le belve.
Vorrei poterti salvare,
ma non ti lasci andare.
Io ci credevo,
mio piccolo grande amore,
ma non ti avevo,
ero in errore.
C’ero io,
c’eri tu
ma dove eravamo Noi?
Senza amore
non si può essere eroi.
Volevo poterti amare
all’infinito,
ma tu invece
mi hai colpito.
Abbandonate sulle sponde,
vicine ma distanti,
non le hai mai sentite quelle onde,
invece io vivevo di istanti.
Mi hai detto addio all’improvviso,
nessuna lacrima sul tuo viso,
il tuo cuore già di un’altra,
sei stata molto scaltra.
Ma tu hai l’inferno dentro,
ed io non sono mai stata
il tuo baricentro.
Tu vuoi essere felice,
mi hai detto all’improvviso,
‘perché non lo facciamo?’
ti ho sussurrato piano.
È tardi poi mi hai detto,
non è facile certo,
ma io sarò con te,
allora cosa c’è?
Mi hai detto ancora addio
ma lì non c’ero io.
Tra noi c’era l’amore,
anche se funzionava ad ore.
Tu non sai mai chi sei,
io invece morirei.
Perché tra noi è successo?
Amore perché hai smesso?
Tu non sei mai stata mia,
era pura follia.
“So che ti troverò” di Carlo Zanutto
So che ti troverò,
in attesa,
come sempre…
Mi verrai a prendere
per togliermi le paure,
come facevi…
Ti vedrò col tuo sorriso,
con ancora quegli occhiali
che avresti dovuto rifare…
Mi chiederai di loro
anche se le avrai seguite
un minuto prima;
mi guarderai le braccia
ma i miei tatuaggi
li hai già visti…
Mi farai la predica
per qualcosa che ho fatto,
ti lamenterai,
ancora,
per quella poesia
in cui ti ho chiamato
“Madre”,
mi toccherai i capelli e,
come allora,
ti toglierò la mano…
Mi abbraccerai,
poi un bacio
e mi prenderai per mano
per togliermi tutte le paure,
come facevi…
“Attesa” di Renata Pieroni
Lascia la porta socchiusa,
forse vorrà tornare
e una lama di luce
gli indicherà il cammino.
Se lo vedrai, lontano,
non corrergli incontro,
forse non è lui:
sorridi solo e tendi le mani.
Quando, nel silenzio,
sentirai vicini i suoi passi
taci e ascolta il suo cuore:
forse è lui il più stanco.
“Dolce solitudine” di Andrea Tosches
In questa gelida notte,
Non vorrei altro che calore.
Un corpo steso accanto a me
Con le sue mani tese sul mio viso,
Mi accarezza dolcemente
Senza sapere chi sono.
Fisso il vuoto più vasto
Panorama senza costo,
Mordo labbra carnose
Incatenato a questo letto.
Caldi i suoi palmi sulla pelle mia,
Ma freddo il cuor suo,
Spinto da fame e sete
E un eterno bisogno di denaro.
Uomo senza età
Uomo senza amori
Uomo senza valori
Uomo senza pietà
Ecco chi sono
E nel buio di una stanza, si è perso ancora quest’uomo.
“Per questo sentiero” di Ester Carrara
Per questo sentiero
sconosciuto
saliremo
passo dopo passo
scostando
pietre e sassi
lo sguardo fisso
oltre il raggio
di luce
non sprecheremo
un solo sorso
di vita
lungo il cammino.
“Rivoli di essere piovono” di Alberto Rossignoli
Rivoli di essere
Piovono
Nello scorrere
D’un surreale silenzio…
Anatema infranto
È ogni goccia,
Attonita dinanzi
Agli occhi della libertà,
Sofferto e vivo palpito
Che il cielo sfida.
“Bramo” di Achille Schiavone
A me dinanzi sconfina l’infinito
Scorgo sdraiato su di un fianco
Volgo verso il tuo il mio corpo
D’immagini il baluginare è improvviso:
“Sei come schiuma bianca
Che si increspa sul mio petto
Mentre per te mi faccio mare
Bramo che dentro me tu ti faccia inabissare
Sei come cirro nell’azzurro
Che d’un tratto si incupisce
Mentre repentina ti fai acqua
Bramo che di te io mi bagni le assetate labbra
Sei come sole nel rosso orizzonte
Che si arroventa e tutto scalda
Mentre bruci e ti fai fiamma
Bramo che dalle tue ceneri io felice rinasca
Sei come aria trasparente
Pura essenza che accarezza il viso
Mentre per te mi faccio vento
Bramo di te quel bacio che imprigioni il respiro.”
“La psicosi puerperale” di Ninetta Pierangeli
Dal ventre della madre
procedevano nefasti nemici.
Irrompevano feraci dalla vagina,
rompendo le acque placentee
con fitte dilatatorie,
contrazioni rapide travaglio
rivoli di sangue sparso
nella più crudele delle guerre:
il parto.
Non il dolore di un figlio ucciso,
non quello di un figlio tradito
non quello di un figlio malato.
Ma quello di aver procreato,
perso per sempre qualcosa di sé
per un altro sconosciuto e nemico.
Succhia vorace il colostro, la forza,
gli anticorpi, l’anima stessa.
Nato all’odio in un funesto giorno
perse il figlio la madre nel gorgo
della disperazione inghiottita,
privata di sé nel latte profuso,
nel mare della solitudine persa.
È lui il dolore dell’assenza e della privazione.
Della violenza e della sopraffazione.
Di Lei, l’Invincibile, la Pura,
la Vittima sacrificale: la madre.
“Nell’impronta” di Paolo Lazzini
I
Per quell’ora incerta
distaccata dalla vita
senza tregua un profumo
di canti mi insegue
nel volo delle rondini.
II
Le stagioni
non ci avvisano più
nei versi stanchi
si sono ammutinati
i sogni:
III
Le lettere smarrite
confondono i ricordi
e tremano i confini
sulla soglia canuta
degli autunni
Fiammeggiante cielo
che ci turba
nell’ingorgo di memorie
audaci
IV
Lascio che il mio cuore
si disgeli
e in questo mio passare
muore il giorno
Seduto nell’ombra
di architetture azzurre
divento un frammento
sospeso
di silenzio
V
Affido queste mani
alla memoria della terra
al suo canto umile
di un’età contadina
VI
Ascolto la risacca
di voci e passi
nell’inganno del vento
nell’attesa del cielo
quando s’incrina l’anima
VII
I passanti si dilungavano
vestendosi
di parole inutili
Il rito borghese
della gente perbene
parlare di altro
che non sia il loro male
VIII
Fingo di ascoltare
queste anime di pietra
come un esiliato
inadeguato
a questa vita
IX
Cadono le idee
in queste ore randagie
un divagare consueto
di parole
per l’inganno.
X
Nella luce nuda della sera
navigano le ombre
di petrolio e catrame
lasciano pallide tracce
aspettando che la notte
le nasconda
XI
La luna in questa pagina bianca
diventa il sole per una falena notturna
mi addormento
e non mi ferisce più la parola.
XII
Polvere luminosa di lucciole
che migravano dai miei occhi
ai tuoi
dovevamo solo abbandonarci
alla vita
XII
Assalirò l’anima
con parole sorde
ad ogni richiamo
non le darò udienza
sarò sangue nervi
muscoli e dolore
lascerò ai poeti
l’amore
XIV
Distratto scrivo pagine
parole che nessuno
leggerà mai
versi dimenticati in un baule
cibo per topi
coperta di polvere
per ogni mio dolore.
XV
Il destino di ritrovarci
nei disavanzi della memoria
quando il richiamo degli anni
si distende come fuliggine
su tutte le nostre croci
XVI
Per quell’ora incerta
distaccata dalla vita
senza tregua un profumo
di canti
mi insegue
in questo cielo di rondini
XVII
Nell’impronta di destinazioni opposte
come un attore del cinema muto
sono invecchiato con la fretta negli occhi
XVIII
Una valigia da acrobata di parole taciute
… ma tutto questo non prova niente
“La bambina con la valigia” di Serenella Menichetti
È uscito con due signori, mio padre,
senza far ritorno. La sua sciarpa grigia,
adesso abbraccia il collo di un titino.
Il pericolo si è introdotto nella mia casa.
Con enormi zampe nere cammina sulle pareti.
Il suo smisurato corpo invade le stanze.
Percepisco il suo fiato alitare sopra le nostre teste.
Allarmi, fughe, rifugi:
falene impazzite che volteggiano nella mente.
Negli occhi dei miei cari la paura
soffio gelido che inghiotte ogni mio piccolo sogno.
È uscito con due signori, mio padre,
senza far ritorno. La sua sciarpa grigia,
adesso abbraccia il collo di un titino.
Indosso l’abito nuovo confezionato
con lo scampolo di seta dalla zia.
Aggrappata alla valigia mi metto in posa,
seduta, sui gradini della mia dimora, per l’ultima volta.
I petali della mia pianta di geranio presagiscono
l’epilogo della cura e la sua conseguenza.
Ancora le mie gambe conservano
la struggente sensazione della pietra accogliente.
Ancora i miei occhi ospitano la sagoma dell’amata casa.
Il mio mare infinito mi abita e nelle vene ancora scorre.
È uscito con due signori, mio padre,
senza far ritorno. La sua sciarpa grigia,
adesso abbraccia il collo di un titino.
Oggi che tra le mie vuote mani, stringo
la foto della bimba con la valigia, che fui
Esule Giuliana n° 30 001.
Penso a mio padre scaraventato nelle fauci della terra.
E neppure il sole riesce a sciogliere il gelo che mi pervade.
Né il tempo, a tamponare il sangue, che sgorga dalle mie lacerate radici.
OPERA VINCITRICE
“A mio padre” di Antonietta Fragnito
Ho steso un fazzoletto di te sull’erba
Ti ho perduto in una tazza di terra
Ora le margherite ti allacciano le scarpe
La vincitrice sarà contattata via e-mail.
Complimenti alla vincitrice, finalisti e partecipanti!
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Info
Ringrazio l’Editore Tomarchio per avermi incluso nella rosa dei finalisti.